“Anche se ogni tanto mi lamento, diceva il suo cuore, lo faccio perché sono il cuore di un uomo e i cuori degli uomini sono così: hanno paura di realizzare i sogni più grandi, perché pensano di non meritarlo o di non riuscire a raggiungerli. Noi, i cuori, siamo terrorizzati al solo pensiero di amori che sono finiti per sempre, di momenti che avrebbero potuto essere belli e non lo sono stati, di tesori che avrebbero potuto essere scoperti e sono rimasti per sempre nascosti nella sabbia. Perché, quando ciò accade, noi ne soffriamo intensamente.” – L’alchimista, Paolo Coelho
C’è chi teme la felicità perché crede di non meritarla
E per i cuori che hanno paura della felicità, come si può fare?
Temere la felicità sembra impossibile. Tutti noi passiamo la vita a desiderarla e cercarla, ma in realtà la cosiddetta “Cherofobia” o “fobia della felicità” esiste e ha risvolti importanti nella vita delle persone.
In realtà quello che si teme non è la felicità, ma la sofferenza conseguente alla transizione da uno stato di felicità ad uno di perdita (considerato conseguente ed inevitabile).
Non si tratta di un disturbo riconosciuto dal DSM 5 (per ora!), ma di un corredo di manifestazioni che compaiono quando ci si trova a fronteggiare situazioni piacevoli.
La mente si è settata sulla convinzione che la sofferenza segue inevitabilmente il divertimento. Per una sorta di bilanciamento, se sto vivendo una cosa bella ne seguirà sicuramente una brutta.
Possiamo ricondurre questa fobia ad una manifestazione ansiosa. E’ una forma acquisita per cui, come in color che hanno sofferto di attacchi di panico e temono di ritrovarsi nella situazione in cui si sono verificati i sintomi, qui si teme l’evento felice considerato l’anticamera del successivo malessere.
Si tendono così ad evitare attività, incontri e momenti che possono dare benessere e piacere e, quando questo non è possibile, si sviluppano sintomi fobici.
In questo modo si esercita un estenuante tentativo di controllare e proteggere la propria vita emotiva da scossoni e movimenti bruschi.
E’ come se la persona si consentisse di provare solo emozioni dalle tinte tenui, non è mai felice ma neanche disperata. Sceglie un limbo di non benessere e non malessere in cui sentirsi meno vulnerabile e crede di vivere protetta dal momento che è lei a scegliere a cosa esporsi e da cosa ritrarsi.
Quali sono le cause della cherofobia
Come si origina? Secondo la letteratura, è possibile che sia frutto di un condizionamento. A seguito di un evento felice, ne è accaduto uno infausto. Si iniziano a creare dei nessi e a mettere in relazione le due cose come se fossero una la logica conseguenza dell’altra.
Si rischia così un progressivo ritiro sociale, un ritiro dal “bello” per evitarne le conseguenze.
E’ correlata anche al concetto di punizione: come se essere troppo felici, troppo autentici facesse sentire troppo esposti e vulnerabili, correndo il rischio di essere “puniti” dagli eventi o, come in realtà accade, da un giudice interno molto più feroce di qualsiasi evento esterno.
Come in una profezia che si autoavvera, ogni volta che si agisce ci si aspetta che se è accaduto qualcosa di piacevole, inevitabilmente avverrà qualcosa di brutto. Si interpretano così tutti gli eventi in tal senso e se non accade niente di esterno, arriva comunque puntuale il malessere emotivo a rafforzare la credenza che la felicità porterà inevitabilmente alla sofferenza.
Ci si abitua così a muoversi in assenza di stimoli soffocando sul nascere slanci di gioia e felicità. Si tendono anche ad allontanare le persone che potrebbero portare fuori da questa zona di confort e far sperimentare sentimenti “troppo” vitali e gioiosi. Si distanziano amicizie e amore.
Come se ne può uscire?
E’ un disturbo non riconosciuto ufficialmente, quindi difficilmente chi ne soffre ne è a conoscenza. Può essere confuso con disturbi del tono dell’umore, con cui effettivamente si può associare, ma è importante andare a lavorare sulla connessione errata che si è andata a creare.
Bisogna cioè esplicitare una convinzione inconscia e radicata e lavorare per modificarla. Nel fare questo lavoro, un percorso di psicoterapia o di EMDR possono essere di grande aiuto per lavorare sulle associazioni che ognuno ha interiorizzato.
E’ opportuno che la persona riesca a sviluppare un’identità forte a sufficienza da poter tollerare di sperimentare l’intera gamma delle emozioni. E’ normale e sano tentare di allontanarsi da situazioni allarmanti e spiacevoli, ma solo una vita vissuta nella sua completezza può permettere di sviluppare un’autentica felicità.
Questa condotta non ci metterà al sicuro per sempre dai momenti difficili o delicati che ognuno si troverà ad affrontare nel proprio percorso, ma garantirà di poter vivere con pienezza, senza avere costantemente il freno a mano inserito.
“Perché non riesco mai a raggiungere la felicità, Lloyd?”
“Forse dovrebbe cambiare allenamento, sir”
“Cioè, Lloyd?”
“La felicità non è di chi la rincorre, ma di chi sa andare al suo passo”
“Questione di polmoni, Lloyd?”
“Questione di cuore, sir”
Autore: Stefania Canil, psicologa (psicoterapia e nutrizione)
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