Titolo: Little Fires Everywhere
Miniserie di 8 puntate
Anno: 2020
Temi trattati: pregiudizi di genere, discriminazioni razziali, bullismo, etichette sociali, classismo, giustizia sociale, maternità.
Voto: 2/5
Colonna sonora: 8/10
La serie è tratta dall’omonimo romanzo di Celeste Ng.
La trama
“Continuiamo a bere del pessimo vino preoccupati che i calici siano di cristallo“. Questa frase di Mirco Stefanon non ha nulla a che vedere con Little Fires Everywhere ma ne descrive l’essenza.
Protagoniste delle serie sono l’impeccabile Elena Richardson (Reese Witherspoon) e la schietta Mia Warren (Kerry Washington). Le due donne sono la perfetta antitesi l’una dell’altra: Elena, ossessionata dall’apparire, programma minuziosamente ogni singolo giorno, rapporti sessuali compresi (rigorosamente fissati per mercoledì e sabato). Mia, vive alla giornata, si sposta da una città all’altra e disprezza classismi ed etichette. C’è un altro dettaglio non trascurabile su Mia, è nera.
La miniserie è ambientata negli anni ’90 a Shaker Heights, un sobborgo alle porte di Cleveland dove lo sviluppo immobiliare e le regole civiche sono scandite da un’urgenza politica: consentire l’integrazione dei neri.
Il primo episodio si apre con la scena di un crimine, un incendio doloso con la casa di Elena (che somiglia di più a un castello delle favole) che va in fiamme. Da questo momento, si riavvolge il nastro per arrivare a narrare tutti gli sviluppi a partire dall’incontro tra Elena (la bianca borghese) e Mia (la nera spiantata).
La serie vive di contrasti, Elena ha una famiglia che all’apparenza è perfetta, una casa da sogno e discende da una famiglia benestante. Mia è una mamma single, squattrinata e proviene da una famiglia di ceto medio-basso. Mia ha molti scheletri nell’armadio, segreti che saranno svelati episodio dopo episodio e soprattutto, scontro dopo scontro.
Little Fires Everywhere racconta la storia di una donna ossessionata dalle apparenze, dall’ideale di famiglia perfetta e, all’opposto, di una donna nera che disprezza tutto ciò che è apparire.
Per chi intende leggere il romanzo, ecco il link da Amazon del libro aggiornato alla sua ultima edizione rilasciata il 28 maggio 2020: Tanti piccoli fuochi
Dinamiche psicologiche
Attenzione!
Da leggere solo dopo la visione. La spiegazione delle dinamiche psicologiche è ricca di spoiler.
Nonostante le diverse estrazioni socioeconomiche, è curioso vedere come entrambe le famiglie di origine (quella di Elena e quella di Mia) tenessero in modo esasperante alle apparenze.
La pressione genitoriale e la cura maniacale per l’apparire, ha avuto effetti diametralmente opposti sulle due protagoniste: Elena si è uniformata agli standard dettati dalla famiglia, fino a renderli il credo principale su cui basare la propria esistenza. Mia si è sentita costretta ad allontanarsi da casa per eliminare l’etichetta di sgualdrina e ripudiare tutto ciò che è “apparire”.
Mia è stata messa a dura prova dalla vita: la sua omosessualità nascosta, la perdita del fratello prima e della compagna dopo, genitori che preferendo l’apparire le hanno negato addirittura la partecipazione al funerale del fratello, la precarietà economica e il dover convivere con scelte difficili.
Mia si allontana presto dalla famiglia di origine e per emanciparsi si sposta a New York. Vediamo che la città di New York rappresenta l’emblema della libertà sia per Mia che per Elena. Sogno che Mia tenta di perseguire spostandosi a New York ma che Elena sfiora appena ritornando poi nella sua città natale.
New York rappresenta il sogno infranto: Mia è costretta a lasciare la città per precarietà economica e perché dopo aver dato il suo utero in affitto, decide di tenere la bambina infrangendo illegalmente un contratto.
Elena sfiora appena l’idea di una carriera come reporter al New York Times, insieme al fidanzato dell’epoca… fidanzato che si ritrova a lasciare per avere più certezze e coronare il sogno materno di “fasi una famiglia”. Elena rinuncia ai suoi sogni per soddisfare i desideri genitoriali, per non deludere le aspettative materne. Quella di Elena è una corsa al perfezionismo dettata da una mancata accettazione da parte della figura materna.
In un episodio Elena disprezza Mia affermando che non è stata capace di prendere buone decisioni. In risposta Mia le dice “tu non hai fatto le scelte giuste, tu hai avuto le scelte giuste”. In realtà Mia ignora che quando di mezzo ci sono le pressioni genitoriali e le aspettative di una figura di accudimento dalla quale si dipende emotivamente, le scelte vengono scandite da obblighi emotivi quindi mancano di libero arbitrio.
Elena ha 4 figli ma a nessuno ha concesso di essere se stesso: i figli sono vissuti come oggetti per confermare l’immagine ideale che Elena ha costruito per sua madre.
Dei 4 figli, la più piccola, Izzy, è omosessuale e cova una forte rabbia reattiva perché non riesce a essere accettata da sua madre. Al contrario, la sorella maggiore Lexie, sembra essersi adattata al ruolo che la madre Elena la ha cucito addosso.
Elena è una madre anaffettiva: ciò che sembra fare per i figli, lo fa per se stessa. Imponendo ai figli determinati standard, avvalla l’idea di aver preso la decisione giusta rinunciando ai suoi sogni. In pratica, Elena cerca conferma nella condotta dei figli.
Paradosso vuole è che anche Mia cerca conferme circa le sue scelte. In particolare, Mia si imbatte in una donna asiatica (Babe) che vive in America illegalmente e che, costretta dagli stenti della fame, ha dovuto abbandonare sua figlia. Mia, in Babe rivede un’altra versione di se stessa e fa di tutto affinché l’asiatica possa ritornare in possesso di sua figlia che intanto era in affido in una famiglia benestante.
La conclusione della serie è emblematica: un grosso incendio nella casa da favola di Elena. Ad appiccarlo sono stati i figli, ribellandosi in modo deciso all’ossessione materna. Elena, con le autorità, si prende la responsabilità dell’incendio come per ammettere di essere lei la responsabile di ogni male della famiglia, come per ammettere di aver finalmente aperto gli occhi su tutto. Con questa ammissione, Elena spazza via ogni sovrastruttura costruita sotto le pressioni genitoriali e sociali, è qui che si svela la profondità del personaggio.
“Ero l’uccello o ero la gabbia?”, è il domandone esistenziale di fondo che rimane senza risposta nell’ultimo episodio. Affermando di aver appiccato l’incendio, Elena si rende conto che era la gabbia di se stessa e dell’intera famiglia.
Commenti d’Autore
La serie affronta grandi tematiche come la maternità (a partire dal pregiudizio che chi non è mamma ha meno valore in quanto donna), la giustizia sociale, la lotta di classe, il razzismo e bullismo.
Se il messaggio della miniserie è così potente, perché il voto è di soli 2/5? La miniserie tocca importanti questioni di psicologia sociale ma lo fa in modo superficiale, esasperando numerosi cliché e banalizzando temi come la discriminazione di genere, il razzismo e il classismo. Gli uomini sono trattati come figure marginali. Anche se la trama è plausibile, nella costruzione ci sono molte sbavature a partire dai dialoghi che appaiono eccessivamente artificiosi.
Questo articolo è parte della rubrica cinematografica e delle serie tv di Psicoadvisor, curata dalla dott.ssa Anna De Simone. Se ti è piaciuto questo articolo, puoi seguirci su Facebook:
sulla Pagina Ufficiale di Psicoadvisor e sul profilo FB di Anna De Simone