Perché guardiamo i film horror? Perché ci piacciono le pellicole o le serie TV che fanno paura? Qual è la psicologia che spiega le nostre preferenze? Secondo la scienza, la passione quasi morbosa che si è sviluppata nell’uomo nel corso dei secoli per tutto ciò che macabro o addirittura disgustoso, avrebbe una chiara ragione fisiologica, da ricercare nelle profondità della nostra mente, in particolare, nel rapporto tra il lobo frontale del nostro cervello e l’amigdala.
Questa parte della nostra mente, infatti, è incaricata di gestire e dar voce a tutti i nostri istinti, come la rabbia, il desiderio sessuale e la paura. Insieme al diencefalo è, inoltre, responsabile delle reazioni istintive che abbiamo quando ci troviamo di fronte a situazioni pericolose o emotivamente molto stressanti, alle quali rispondiamo prontamente per puro istinto di sopravvivenza.
Ma cosa c’entrano l’amigdala e il nostro istinto con la passione per i film horror? Quali motivi ci spingono a cercare una distrazione in una pellicola che può generare orrore e disgusto?
Perché ci piacciono i film horror?
Se provate a chiedere ad un amante del genere il motivo per il quale sia così appassionato agli horror, probabilmente riceverete diverse risposte. Alcuni potrebbero dirvi che apprezzano la sensazione di adrenalina che percepiscono, altri sono spinti dalla curiosità nei confronti dell’ignoto o di ciò che risulta vietato, altri ancora vi direbbero che, semplicemente, trovano le trame di alcune opere molto avvincenti. Andiamo quindi ad analizzare i differenti casi, scoprendo le motivazioni psicologiche più profonde dietro al perché ci piacciono gli horror.
Gli horror come mezzo di distrazione
Diversi studi hanno cercato di approfondire l’argomento, trovando negli horror la capacità sia di intrattenere e stimolare gli spettatori, sia di attivare alcune aree della nostra mente, mettendo a tacere le zone invece dedicate alla gestione di tutti i problemi quotidiani, del lavoro o della famiglia. Insomma, gli horror sarebbero in grado di farci dimenticare più efficacemente tutto ciò che di noioso e pesante affrontiamo ogni giorno, portando la nostra attenzione sulle intense emozioni primordiali, come la paura e l’orrore.
Gli horror e la psicologia dell’espressione dell’inconscio
Come abbiamo detto precedentemente, è presente una parte più istintiva, primordiale, profondamente radicata in ciascuno di noi, nonostante le norme sociali – giustamente – abbiano nel tempo messo a tacere, e cercato di reprimere, gli istinti inconsci più violenti e crudeli.
Per alcuni, quindi, gli horror possono diventare una valvola di sfogo per tutti quei pensieri ed azioni inconsci che, fortunatamente, non possiamo esprimere in prima persona. Un po’ come la curiosità quasi morbosa che proviamo per i casi legati a serial killer o agli omicidi particolarmente cruenti. Pellicole che hanno poi portato alla nascita di tanti programmi televisivi legati alla cronaca nera. Le persone sono affascinate dalla psicologia di chi certe azioni non solo le pensa, ma che le mette anche in pratica.
Gli horror come ricerca di stimoli
Un altro motivo comune di interesse per gli horror è quello legato alla necessità di provare sensazioni forti, al pari di chi pratica sport estremi, come il bungee jumping o il lancio con paracadute (i cosiddetti “high sensation seeker“). Gli spettatori di film spaventosi sono quindi alla costante ricerca di reazioni fisiche e biochimiche legate al rilascio di dopamina, endorfina e adrenalina da parte del nostro cervello autosuggestionato.
A questi ormoni sono legate sensazioni di benessere, felicità, euforia, riduzione dello stress e, proprio per questo, durante la visione di un film horror alcune persone possono provare sensazioni positive e quasi in grado di generare una specie di dipendenza. Insomma, gli horror sarebbero in grado di “giocare” con la nostra mente, stregandola quasi al pari di una droga!
Gli horror come ricerca dell’ignoto
Spesso, ciò che spinge molti utenti a guardare dei film horror è la voglia, quasi infantile, di tornare a guardare il mondo con curiosità e timore. L’età adulta, infatti, porta con sé anche la consapevolezza di cosa sia la vita e delle motivazioni logiche e razionali che si celano dietro alcuni eventi o esperienze, levando quel brivido che provavamo da bambini di fronte all’ignoto. I film horror, quindi, sono in grado di farci, in un certo senso, regredire momentaneamente all’età infantile.
Danno di nuovo voce a quel bambino curioso che vive ancora in ciascuno di noi e che affronta le esperienze di vita per la prima volta, con più partecipazione e impegno emotivo. Non a caso, in molti film, si gioca proprio su alcune paure legate alla nostra infanzia, come il buio o i mostri, oppure legate all’ignoto e a ciò a cui la scienza ancora non può dare risposta, come la vita dopo la morte o gli alieni.
Psicologia: gli horror come sollievo
Non da ultimo, i film che fanno paura ci regalano una sensazione di sollievo. Quando scopriamo che non siamo noi i protagonisti di situazioni inquietanti, o non siamo noi la preda di loschi personaggi mossi da istinti oscuri, tiriamo letteralmente un sospiro di sollievo. Soprattutto se siamo comodamente seduti al caldo sul divano di casa con una tazza di tè. Possiamo quindi realizzare di essere al sicuro tra le quattro mura, e che nulla di terrorizzante di ciò che abbiamo visto sta minacciando le nostre vite.
La visione dei film horror è un tentativo, talvolta, di allontanare da sé il tema della morte, dissacrandolo e rendendolo più maneggiabili e affrontabili le nostre paure.
Perché ci piacciono i film horror?
I film horror, quindi, piacciono e catturano tanto la nostra attenzione sia per questioni biochimiche sia per ragioni esistenziali e psicologiche, legate alla curiosità e al desiderio di scoperta innato nell’uomo, soprattutto riguardo ad argomenti che sfuggono dalla logica umana, scientificamente irrisolti o socialmente visti come tabù. A ciò si aggiunge l’aspetto più puro e semplice della ricerca di contenuti d’intrattenimento e di trame avvincenti, interessanti e coinvolgenti, che ci tengano col fiato sospeso, da vivere con un pizzico di distacco, solo come spettatori, e non in prima persona.
A cura di Chiara Venturi, psicoterapeuta a Milano
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