La sindrome di Burden, nota anche come sindrome del caregiver, è una patologia poco conosciuta, che tende pertanto a passare spesso inosservata da parte dei diretti interessati e di chi sta loro vicino. L’attività di caregiver familiare è particolarmente impegnativa sia dal punto di vista emotivo che da quello pratico e fisico, per questo, tra coloro che assistono i propri congiunti bisognosi di cure e attenzioni particolari non sono rari casi di problemi di salute, fisica e psicologica, in particolar modo quando il periodo di cura si protrae per lungo tempo.
Chi è un caregiver?
Con il termine anglosassone caregiver si intende, in generale, “colui che si prende cura”. Il termine caregiver viene utilizzato per definire la figura di riferimento di qualcuno che si trova in una condizione di necessità e non completa autosufficienza. È il caso, ad esempio, di persone che si trovano limitate nella propria autonomia a causa di una malattia, o di una disabilità fisica, ma anche dei bambini piccoli e degli anziani.
Il caregiver spesso presta la sua assistenza volontariamente e a titolo gratuito: si tratta di una scelta che, anche nelle situazioni migliori, comporta un carico di responsabilità, preoccupazioni ed incombenze. Inoltre il caregiver spesso assume questo ruolo in modo inatteso, improvviso o graduale con l’insorgere e l’aggravarsi della malattia di una persona cara.
Pertanto, spesso può non essere preparato, né tecnicamente né psicologicamente e, in mancanza di supporto da altre figure o di risorse materiali per delegare la cura a figure professionali, può sentire di non avere una scelta. Il caregiver non ha ferie stabilite né giorni di malattia e spesso non va veramente in vacanza anche quando fisicamente ci riesce.
In momenti di crisi ha una reperibilità pressoché totale e non può decidere di “cambiare lavoro”. Una certa dose di stress e sofferenza è attesa e connaturata nella scelta di prendersi cura di un altro, e il caregiver può trovarsi senza rendersene conto a fare sforzi e rinunce, a negarsi occasioni di svago e socialità. Lo stress non è di per sé un problema, è invece una reazione normale, fisica e psicologica, a situazioni importanti che richiedono energie, sforzi e concentrazione.
Ma i guai iniziano quando questi stimoli sono troppo intensi
Quando questi stimoli sono eccessivi, o si prolungano nel tempo, costringendo la persona a “consumare” moltissime energie e risorse psicologiche per tamponare la situazione. Già di per sé poco nota, la sindrome di Burden presenta anche sintomi che assai di frequente vengono sottovalutati perché confusi con un normale e fisiologico periodo di stanchezza e stress psico-fisico.
Lo stress non è di per sé un problema, è invece una reazione normale, fisica e psicologica, a situazioni importanti che richiedono energie, sforzi e concentrazione. Ma i guai iniziano quando questi stimoli sono troppo intensi, eccessivi, o si prolungano nel tempo, costringendo la persona a “consumare” moltissime energie e risorse psicologiche per tamponare la situazione.
Questo insieme di responsabilità può trasformarsi in un fardello che affatica e mette a dura prova il benessere psicofisico del caregiver. Inoltre spesso il caregiver si trova da solo e ha poco supporto da altre persone con cui condividere queste incombenze. Si parla proprio di burden del caregiver, dall’inglese “fardello” o “peso”, per definire un insieme di condizioni che gravano sul caregiver e che creano disagio e sofferenza.
Quel voler aiutare a tutti i costi
Alcune persone hanno questo tipo di atteggiamento già insito in sé, spesso per la propria indole empatica o per la propria storia personale di vita, anche quando loro stessi avrebbero bisogno di “essere salvati”, quindi di occuparsi di risolvere le proprie problematiche (che, sappiamo bene, richiede una buona dose di energie).
La sindrome del caregiver non si manifesta da un giorno all’altro, piuttosto è la sintesi di diversi vissuti emotivi, alcuni di questi fondano le loro radici nell’infanzia. Chi soffre della sindrome del caregiver è stato un bambino adultizzato, che fin da piccolo si è dovuto fare carico dei problemi degli altri, accollarsi molte preoccupazioni, troppe per un bambino. Crescendo avrà interiorizzato che per prendersi cura di se stesso, deve occuparsi dell’altro. O meglio, quel bambino, non avendo mai avuto la possibilità di occuparsi davvero dei suoi bisogni, ha invece imparato a farsi carico dei bisogni altrui.
I sintomi da riconoscere
A rendere difficile il riconoscimento del problema, e quindi anche il cercare una soluzione, è quindi ancora una volta l’intreccio di dedizione assoluta alla persona cara e di sensi di colpa qualora non si riesca a sostenere interamente il proprio impegno. Spesso il caregiver può sentirsi ipercoinvolto, sentendo di aver assunto una responsabilità che non può delegare, al punto da percepire come una propria colpa anche eventuali criticità o peggioramenti nel proprio parente ammalato.
I segnali da rilevare sono uno stato d’ansia spesso collegato a insonnia e una diminuzione delle difese immunitarie che porta a un calo della salute del caregiver, con il manifestarsi di disturbi di vario grado, che spesso vengono sottostimati proprio per continuare a occuparsi del proprio caro. Il caregiver pensa insomma che si tratta solo di un momento di stanchezza passeggero, mentre invece può trattarsi del segnale con cui l’organismo sta lanciando il primo allarme per un ben più serio disagio psicologico”.
L’intensità dei sintomi può essere tale da portare il soggetto a dover ricorrere egli stesso ad una cura medica. I principali sintomi sperimentati dal caregiver quando questa condizione di stress persiste per molto tempo sono:
- problemi del sonno
- problemi nell’appetito
- flessione dell’umore
- difficoltà di attenzione e concentrazione
- difficoltà a ricordare
- irritabilità, ansia
- preoccupazione persistente
- sintomi da somatizzazione
- facilità ad ammalarsi
Per questo motivo è bene che familiari e amici insistano con il caregiver sull’importanza di curarsi anche della propria salute, proprio per riuscire a garantire la migliore assistenza possibile al proprio caro”, suggerisce la psicologa. Se si ha il sospetto che una persona a noi vicina sia vittima della sindrome di Burden, solo facendo leva su questo aspetto si potrà portarla a percepire la cura di sé come un fattore da promuovere e non come un comportamento da stigmatizzare.
Come uscirne?
Non sempre per il caregiver è facile ammettere di aver bisogno d’aiuto o riconoscerlo prima che stanchezza e carico emotivo superino la soglia limite di tolleranza. Il primo passo da uscire da questa situazione è accettare di avere bisogno di aiuto e di essere esposti ad una situazione di sovraccarico emotivo. Ma non solo: per prima cosa bisogna imparare a trovare il giusto equilibrio tra la cura di sè e quella del proprio caro e bisogna riconoscere a se stessi il valore e l’impegno di quel che si fa, per trovare una sorta di conforto interiore; poi bisogna studiarsi per riconoscere i sintomi del malessere, e quindi imparare a chiedere aiuto, magari anche ad altri caregiver che sapranno comprendere e dare forza.
Non ti perdere! La filosofa Ayn Rand sosteneva che se vogliamo sviluppare una buona salute mentale, dobbiamo coltivare l’egoismo razionale, che non è altro che soddisfare i nostri bisogni e interessi, dato che spesso li releghiamo al secondo o terzo posto e terminiamo soffrendone le conseguenze.
A cura di Ana Maria Sepe, psicoanalista
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