Ogni azione è preceduta da valutazioni, riflessioni, osservazioni e infine scelte, tutti processi cognitivi guidati dalla personalità. La guerra in Ucraina ha acceso i riflettori sulla personalità di Vladimir Putin tanto che anche per l’Intelligence statunitense comprendere lo stato mentale del presidente russo è divenuta un’assoluta priorità. Un rapporto ufficiale stilato da servizi segreti americani, ha descritto lo stato mentale di Putin come «molto preoccupante e imprevedibile» (Fonte CNN).
In ambito mediatico, anche in Italia se n’è molto discusso. Testate giornalistiche e diversi professionisti, hanno azzardato addirittura una diagnosi. L’analisi indiretta, ovvero, l’osservazione esterna dell’individuo, rende difficile un reale inquadramento diagnostico; tutto ciò che ci consente di fare è un’attenta osservazione del funzionamento psichico e ipotesi retrospettive.
Come tutti noi, anche Vladimir Putin è la sintesi di una precisa traiettoria evolutiva, una complessa e intricata rete di fattori causa-effetto che l’hanno reso l’uomo che è adesso e che l’hanno indotto a fare le scelte che oggi compie, come quella di invadere l’Ucraina.
Il profilo psicologico di Vladimir Putin
Per comprendere una persona bisogna guardare al suo passato, alla sua infanzia, oppure bisogna analizzare le sue affermazioni per poi fare deduzioni sui suoi vissuti interiori e dunque, sul suo funzionamento psichico. Bisogna fare tutto questo con la consapevolezza che qualsiasi deduzione, anche la più accurata, rimane un’ipotesi. La nostra ipotesi si fonda sui racconti autobiografici di Vladimir Putin.
Il presidente russo è cresciuto in un anonimo casermone dell’edilizia sovietica, dove la violenza tra i pari era la norma. Il padre di Vladimir Putin era un militare, egli stesso si arruolò presto nei servizi segreti russi, il KGB. Da qui si denota una visione del mondo gerarchica, fatta di potere e scalate da compiere, questa visione pervade ogni ambito della vita di Putin. Ricordiamo che Putin è partito dai gradini più bassi della «gerarchia» sovietica.
L’identificazione con la patria e la sete di riscatto
Quando nel 2003, un giornalista gli chiese quale fosse lo Stato straniero che rispettasse di più, Putin rispose: «Israele, perché ha costruito un paese dal nulla, dal deserto, e ha resuscitato una lingua ormai morta». Questa risposta è tanto emblematica quanto significativa.
Il popolo Israeliano è probabilmente il più martoriato della storia. Un popolo che per lungo tempo è stato senza una sua patria, senza una sua terra, tenuto insieme solo dal forte senso d’identità. La storia dello Stato di Israele è antichissima ma così tormentata che solo nel 2018, la «legge fondamentale» ha definito Israele come «stato-nazione del popolo ebraico». Nonostante una storia di persecuzioni e lotte estenuanti, secondo il Fondo monetario internazionale, Israele è al 24° posto per il Prodotto Interno Lordo, appena dopo potenze storiche come il Regno Unito e la Francia.
Nella risposta di Putin si legge un’identificazione. Vladimir Putin si sente come il popolo ebraico, ingiustamente messo da parte e da sempre affamato di conquiste, per affermare il suo legittimo posto nel mondo. Qualcuno dirà «eppure Putin una patria ce l’ha», questo è vero, ma secondo la nostra analisi, Putin è una persona irrisolta e come tutte le persone irrisolte non riesce a godere di ciò che ha, perché è governato da un forte spirito di rivalsa che lo rende cieco.
Così come in Israele, Vladimir Putin si identifica nella sua Patria. La dissoluzione dell’Unione Sovietica è stata descritta da Vladimir come l’evento più drammatico della storia dell’umanità. Un evento centrale nella vita di quest’uomo perché segue il modello dell’ingiustizia subita e del desiderio di riscatto. Proprio come Israele, proprio come l’Unione Sovietica, V. Putin cerca il suo personale riscatto, la sua personale prova di potere.
La visione dicotomica
Nella storia della famiglia Putin, prima dell’arrivo di Vladimir, c’erano stati due fratelli morti. Una madre che ha perso due figli, è incline all’assoluta accondiscendenza verso l’unico figlio sopravvissuto.
Il problema dell’accondiscendenza genitoriale o di un’educazione lassista, è che il bambino non sarà mai vaccinato e pronto per l’insuccesso, non avendolo mai sperimentato all’interno delle mura domestiche. Così l’idea di uno sconfitta, diviene pericolosa, equiparabile a una minaccia di vita, perché essa minaccia ferocemente la sua identità.
Nella visione di Putin, comandare significa avere potere di vita e di morte. Questa modalità dicotomica della realtà è tipica dei bambini piccoli; per i bambini esistono solo le dimensioni assolute del buono e del cattivo, senza sfumature nel mezzo. Le visioni assolutistiche spingono le persone a compiere gesti estremi. Quando una persona «non risolta», con una visione assolutistica della realtà, ricopre un ruolo di potere, le conseguenze non sono mai piccole, e questo è vero nel bene o nel male.
La violenza e l’invidia
Le arti marziali e lo studio del judo non sono stati una scelta casuale. Nell’agglomerato edilizio in cui è cresciuto V. Putin, dove la violenza era la norma, probabilmente Putin è spesso stato vittima di violenze fisiche. È significativo che i racconti d’infanzia di V. Putin descrivano un piccolo Vladimir forte, come se fosse lui a darle agli altri giovanotti. Da quello che si può dedurre dalle evidenze di oggi, viene da pensare che la vera vittima dei vicoli sovietici fosse proprio lui, il piccolo e indifeso Vladimir. Da qui il bisogno di emergere, di studiare l’arte del combattimento fino a raggiungere il nono dan, da qui la scalata al potere.
Tanto più ci si sente insignificanti e schiacciati durante l’infanzia, tanto più grande sarà la sete di potere e di riscatto nella vita adulta. Chi mostra una brama di potere eccessiva, cela forti fragilità che tenta inesorabilmente di compensare.
Vladimir Putin è ancora quel giovanotto succube dei bulli di quartiere e, all’epoca, probabilmente compensava fantasticando che fosse lui a darle, così come nei suoi più recenti racconti delle risse da ragazzo, era questa la sua più grande ambizione della vita, essere il più forte, quello che le dava. Da qui la carriera nel KGB, la scalata judoka fino alla conquista dell’ottavo DAN e l’ipertrofica volontà di potenza, fino all’invasione dell’Ucraina. La sete di potere porta sempre con sé continue violazioni dei diritti altrui e zero empatia. Ogni violazione è giusta e legittima, nello stato mentale di Vladimir Putin, lui sta solo facendo ciò che gli è dovuto e gode quando capi di stato stranieri si rivolgono a lui per trattare.
Ecco come tragici drammi personali si possono trasformare in tragedie internazionali. Lo abbiamo visto prima con Adolf Hilter, così come raccontato egregiamente dalla psicoanlista Alice Miller.
Mentre Vladimir Putin si identifica in Patrie come Israele e la Russia, disprezza il mondo occidentale: a complicare le cose è l’invidia verso i leader d’occidente e verso un modello di vita che a lui e alla sua patria è stato negato per almeno mezzo secolo.
L’analisi di Vladimir Putin secondo il modello di Millon
Theodore Millon, insignito della «medaglia d’oro per i successi di vita raggiungi nell’applicazione della psicologia» dell’autorevole APA (American Psychological Association), è noto in tutto il mondo per le sue teorie sulla personalità e il correlato «Millon Inventory of Diagnostic Criteria», uno strumento che consente di studiare la personalità attraverso 34 classificazioni.
Se per i non addetti ai lavori, il modello di Millon può essere qualcosa di superfluo, per chi lavora nella ricerca psicometrica, in ambito forense o in ambito clinico, il modello teorico di Millon è un’autentica autorità! Un vero punto di riferimento.
Nel 2017, in tempi non sospetti, la St. John’s University (di New York) ha condotto uno studio sulla personalità di Vladimir Putin sfruttando l’approccio teorico di Millon. Il profilo psicologico stilato ha messo in evidenza dei modelli di personalità predominanti con caratteristiche quali:
- Dominio e controllo (in misura predominante)
indica una misura di aggressività e ostilità - Ambizione ed egoismo (in misura predominante)
indica potenziali tratti narcisistici - Coscienziosità e dovere (in misura predominante)
indica dedizione assoluta - Introverso e riservato (in misura predominante)
indica l’assenza di legami interpersonali profondi - Intrepido e avventuroso (in misura predominante)
indica la tendenza a correre rischi - Diffidenza e sospettosità (in misura minore)
indica la tendenza a proiettare nell’altro la sua fame di potere
Analizziamo meglio il funzionamento psicologico di Vladimir Putin secondo il modello di Millon, troviamo quello che viene definito un «esecutore, espansionista ostile». Gli individui di indole dominante, evocano negli altri obbedienza e rispetto, ricercano potere e sono duri, non sentimentali, sono ostili e diffidenti degli altri.
Gli individui ambiziosi sono audaci, competitivi e sicuri di sé, mirano alla leadership e si aspettano che gli altri riconoscano pubblicamente le loro qualità speciali. Sono dotati di un forte senso di diritto (assumono che tutto gli sia dovuto, non ammettono un fallimento, ne’ un «no» come risposta). Questo modello di personalità delinea la componente «espansionista» del composito di personalità di Putin.
Le persone coscienziose sono diligenti, con una forte dedizione al lavoro. Sono dei perfetti esecutori. Il funzionamento introverso denota una persona che non sviluppa forti legami con gli altri, che è in qualche modo carente nella capacità di riconoscere i bisogni e i sentimenti altrui. Queste persone possono mancare di spontaneità.
Gli intrepidi presentano personalità individualistiche, audaci, resistenti alla deterrenza e inclini a correre rischi. Il particolare mix di caratteristiche riscontrate in Vladimir Putin descrivono una persona volta al predominio.
*Ironia della sorte vuole che Theodore Millon fosse un ebreo con antenati di origine russa, che ha vissuto e avuto successo negli Stati Uniti.
Autore: Anna De Simone, psicologo – esperto in neuropsicobiologia
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