La diagnosi di un disturbo depressivo, allo stato attuale, si esegue con il colloquio clinico. Il professionista della salute mentale, per diagnosticare un qualsiasi disturbo psichico può avvalersi di test diagnostici validati e del colloquio clinico, dove applica in modo diretto le sue conoscenze. Tra i test più usati per indagare i sintomi depressivi vi è il BDI-II (Beck Depression Inventory), molto impiegato per la sua facilità di applicazione (è un questionario auto-riferito). Nei quadri clinici più complessi, anche il classico MMPI-2 può fornire preziose indicazioni sul funzionamento psichico e la presenza di sintomi depressivi.
Eppure, oggi sappiamo bene che ogni disturbo psichico è accompagnato da un correlato anatomico che in gergo viene detto «fenotipo primario» in quanto riflette la presenza di particolari indicatori neurobiologici correlati a loro volta a fattori di tipo genetico e soprattutto epigenetico. Con il progresso della psicobiologia e delle neuroscienze, sono aumentati gli strumenti a disposizione dei clinici.
Per esempio, la valutazione di un disturbo post traumatico da stress può avvalersi di dosaggi ormonali e risonanze magnetiche. Gli strumenti diagnostici che impiegano tecniche psicofisiologiche sono ormai molto utilizzati in ambito giuridico-forense; basterà pensare al caso di una richiesta di risarcimento danni a seguito di un incidente traumatico. In ambito periziale, il perito psicologo si servirà di esami di laboratorio così come di tecniche di neuroimmagini.
I biomarcatori della depressione presenti nel nostro sangue
Quando si tratta di eseguire un esame obiettivo della depressione, cioè quell’insieme di manovre diagnostiche effettuate dallo specialista per verificare la presenza o assenza, nel paziente, di una data malattia, un passo avanti è stato compiuto dal team di ricerca dell’Indiana University (USA) che ha evidenziato l’esistenza di biomarcatori in grado di prevedere il rischio di suicido e gli episodi di depressione severa.
La scoperta consente di isolare, dal un semplice campione di sangue, dei biomarcatori di RNA. L’esito dell’esame citologico sarà in grado di distinguere la presenza di un disturbo depressivo, la sua intensità e anche prevedere il rischio di sviluppare un disturbo bipolare. La ricerca è durata quattro anni, ha coinvolto più di 300 partecipanti reclutati tra i pazienti del Richard Roudebush Medical Center di Indianapolis. Nell’arco dei quattro anni, il team di ricerca è riuscito a scoprire i biomarcatori d’interesse e a convalidare il test diagnostico che prevede il classico prelievo di sangue. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista scientifica «Molecular Psychiatry».
Come si è svolta la ricerca
Come spesso accade in ambito scientifico, il team è partito da scoperte precedenti in materia di biomarcatori molecolari correlati ai disturbi dell’umore. Di questi, il gruppo di ricerca ne ha approfonditi 26, esaminandoli in coorti indipendenti di pazienti con depressione e disturbo bipolare. Tutti i partecipanti, in un dato momento, mostravano sintomi clinicamente rilevanti.
I disturbi dell’umore presentano dei periodi in cui i sintomi sembrano regredire e dei periodi in cui i sintomi si acutizzano. Anche i partecipanti allo studio attraversavano periodi di alti e bassi e sistematicamente il Team di Ricerca andava a saggiare (a misurare) la presenza dei biomarcatori a RNA nel sangue. Grazie a questo lavoro, il team di ricerca è riuscito a correlare una base biologica alla depressione.
È necessario un esame del sangue per diagnosticare la depressione?
La diagnosi dei disturbi depressivi non è tra le più ostiche nel panorama clinico; come premesso, oltre al classico colloquio, in ambito diagnostico si impiegano interviste semi-strutturate, questionari o test psicometrici che sono estremamente affidabili e riescono a diagnosticare la depressione senza alcun dubbio di sorta.
In ogni caso, la presenza di un esame del sangue può consentire di monitorare al meglio la risposta del paziente al trattamento (farmacologico e/o psicoanalitico/psicoterapeutico). Inoltre, i cosiddetti «esami oggettivi» sono utili per trasmettere fiducia a un pubblico difficile che ancora fatica a vedere la psicologia come una scienza. Un altro ruolo funzionale, che si spinge ben oltre l’ambito clinico, i test oggettivi possono aiutare a superare lo stigma sociale che da sempre affligge la malattia mentale.
Cosa sono i biomarcatori a RNA?
Il materiale genetico è contenuto all’interno delle nostre cellule (in organuli come il nucleo, ribosomi, mitocondri…). Circa trenta anni fa, è stato scoperto che il sangue contiene dei minuscoli filamenti di acidi nucleici (micro-RNA). I ricercatori hanno imparato ad analizzare questo micro-RNA fino a individuarne diverse alterazioni. Diversi biomarcatori molecolari sono attualmente impiegati per la diagnosi precoce dell’Alzheimer, malattie ossee, patologie polmonari, diversi tipi di cancro e di altre patologie degenerative. Il biomarcatore della depressione è un micro-RNA che può essere isolato dal nostro sangue. Allo stato attuale, in Italia, sono pochi i laboratori che forniscono analisi di micro-RNA e, quelle che lo fanno, si concentrano sui marcatori utili alla diagnosi oncologica precoce.
Depressione e infiammazione: la presenza di citochine nel sangue
Se i biomarcatori a RNA sono altamente specifici per la depressione e i disturbi dell’umore, vi sono altri indicatori biologici meno specifici ma che trovano ampia applicazione nell’ambito della ricerca. È stato infatti dimostrato che esiste una forte correlazione tra disturbo depressivo e infiammazione.
Nel nostro organismo, le condizioni infiammatorie sono regolate da molecole del nostro sistema immunitario dette «citochine». Esistono «citochine pro-infiammatorie» che innescano le infiammazioni e «citochine anti-infiammatorie» che spegnono stati infiammatori presenti nel nostro organismo. È stato osservato che chi soffre di depressione presenta un livello elevato di «citochine pro-infiammatorie» tanto che è stata evidenziata una correlazione tra depressione e malattie autoimmuni.
Una ricerca pubblicata sul «Neuropsychiatric Disease and Treatment» nel 2017, intitolata «Atypical depression: current perspectives» ha evidenziato che chi soffre di depressione mascherata presenta livelli di molecole infiammatorie più elevati rispetto a chi soffre di depressione palese. La depressione mascherata è una condizione in cui i sintomi depressivi non emergono in modo palese ma si manifestano proprio attraverso dolori cronici e affezioni somatiche. Ho approfondito questo argomento nell’articolo dedicato: depressione mascherata. La depressione, dunque, è una condizione che colpisce il corpo quanto la mente.
Condizioni di depressione e affaticamento cronico sono state associate a una vasta gamma malattie innescate da anomalie del sistema immunitario come:
- Allergie
- Asma
- Lupus eritematoso sistemico
- Artrite reumatoide
- Diabete
Cosa c’entra il diabete con il sistema immunitario? Il nostro organismo può essere descritto come una macchina perfetta: un sistema strettamente interconnesso dove il funzionamento di ogni organo e di ogni cellula, condiziona il funzionamento dell’intero organismo. Nel diabete, la risposta immunitaria infiammatoria attivata è implicata nel suo esordio e nell’intera patogenesi. L’attivazione immunitaria è coinvolta nello sviluppo del diabete di tipo 1 e di tipo 2.
A cura di Anna De Simone, psicologo – esperto in neuropsicobiologia
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