Perché le persone sembrano mostrare età differenti seppur coetanee? Come fanno alcune a mostrarsi dinamiche ed energiche a un’età avanzata, mentre altre, molto più giovani, appaiono stanche, affaticate, esauste? A queste domande si cerca una risposta da millenni, probabilmente sin da quando l’uomo ha sviluppato la capacità di contare gli anni e di paragonare se stesso agli altri.
Secondo alcuni, il processo di invecchiamento è totalmente fuori dal nostro controllo, determinato dalla natura prima ancora di nascere. Gli antichi Greci proponevano il mito delle Moire per rappresentare l’ineluttabilità del destino, tre figure femminili che decidevano il destino dei neonati nei giorni immediatamente successivi alla nascita.
Le Moire tendevano un filo e decidevano di tagliarlo a una certa altezza: quella altezza determinava la longevità del piccolo. Tale idea è in parte sostenuta anche oggi, anche se con maggiore rigore scientifico.
Secondo alcuni studiosi, le nostre condizioni di vita dipendono dal corredo genetico con cui nasciamo. In altre parole, i nostri geni sono in grado di concorrere a determinare il maggiore o minore rischio di andare incontro a disturbi cardiovascolari, tumori e altri problemi di salute, influenzando la nostra longevità prima ancora di nascere.
Solamente i nostri geni possono determinare la nostra qualità di vita
La posizione per cui “i geni sono il nostro destino” non è l’unica, ma è contrapposta a un’altra posizione, secondo cui il benessere è influenzato principalmente dal proprio stile di vita. In base a questa seconda prospettiva, sarebbero quindi le abitudini quotidiane salutari a influire positivamente e a incrementare il benessere e la longevità della persona.
In realtà, non si tratta di due prospettive opposte e inconciliabili, poiché l’una integra l’altra. Natura e abitudini di vita hanno pari importanza, non c’è un aspetto che prevale sull’altro, in quanto la differenza la fa l’interazione tra i due.
Entrambi sono essenziali: i ritmi di invecchiamento dipendono dall’influenza reciproca tra geni, relazioni sociali, ambiente, stile di vita, esperienze e adattabilità ai cambiamenti. Ciò significa che siamo nati con un’organizzazione genetica predeterminata, ma il nostro modo di vivere può influire su come i nostri geni si esprimono. In alcuni casi, i fattori del nostro stile di vita possono “attivare” o “spegnere” i nostri geni.
I telomeri: cosa sono
Importanti scoperte in campo internazionale mostrano che possiamo agire addirittura sul cuore genetico della cellula, sui cromosomi. E’ qui che si trovano i telomeri, che costituiscono la loro parte terminale.
I telomeri contengono DNA ripetuto e permettono di determinare quanto velocemente le cellule invecchiano e muoiono, in base a quanto rapidamente essi si esauriscono. In altre parole, più i telomeri si riducono in lunghezza, più veloce è il processo di invecchiamento della cellula.
Telomeri e depressione: quale relazione
Da diversi studi emerge una stretta relazione tra l’insorgenza di alcuni disturbi o problematiche di vita rilevanti e la minore lunghezza dei telomeri. In particolare, in anni recenti le ricerche hanno mostrato un’associazione significativa tra la depressione e la lunghezza dei telomeri. In studi di meta-analisi, Ridout e colleghi (2016; 2018) hanno confermato i risultati di diverse ricerche che mostrano che l’insorgenza della patologia è associata a telomeri più corti.
Da un recente studio condotto da Vance et al. (2018), è emerso che una diagnosi di Disturbo Depressivo Maggiore è predittiva di un accorciamento dei telomeri nei due anni successivi. Tale risultato è rimasto invariato anche controllando per diversi fattori, come età, sesso e indice di massa corporea.
La scoperta straordinaria, però, è che i telomeri possono anche allungarsi, non solo accorciarsi, e di conseguenza anche il processo di invecchiamento può essere accelerato, rallentato o, per alcuni aspetti, addirittura invertito.
Telomeri e psicologia
Ma la psicoterapia che c’entra? Un legame c’è, scrive l’Economist. Si sa che lo stress cronico accorcia prematuramente i telomeri e accelera lo sfilacciarsi -cioè l’invecchiamento- dei cromosomi.
In un congresso della associazione per la ricerca sul cancro a Orlando (Florida), il prof. Edward Nelson della Università della California ha dimostrato che colloqui psicologici offerti a donne con un tumore del collo dell’utero non solo fermava l’accorciamento dei telomeri, ma ne promuoveva la riparazione.
Le implicazioni cliniche sono chiare: non solo le donne si sentivano psicologicamente meno vulnerabili, ma anche l’efficienza del sistema immunitario ne traeva beneficio. E questa è un’ottima notizia per comprendere meglio la relazione sempre più evidente tra corpo e mente.
Ricerche simili, condotte da Elizabeth Blackburn dell’Università della California, hanno trovato delle conferme a questo dato, riferite all’esercizio fisico che ha effetti simili non solo sul benessere psicologico ma anche sui telomeri. Le donne continuavano ad essere malate, a curarsi, ma il livello di stress calava e il corpo reagiva in modo deciso e verificabile.
Evidentemente questi dati vanno ampliati con nuove ricerche, ma tutto questo a prima vista sembra promettente per noi psicologi e psicoterapisti. E perché? Perché dimostra, o almeno suggerisce che parlare, alleviare lo stress in una relazione empatica, consentire a chi soffre di ragionare, di esprimere emozioni e di sentirsi ascoltato, ha implicazioni preziose che stiamo cominciando a cogliere solo ora, a livello non solo emotivo e psicologico, ma del corpo nel suo insieme.
Telomeri e stress
Come afferma il Dr. Massimo Agnoletti (2018) “da qualche anno esistono studi scientifici sulla relazione tra la gestione dello stress psicologico, l’attività della telomerasi (l’enzima con la funzione di fare una corretta “manutenzione” ai telomeri) ed i telomeri stessi (che abbiamo visto sono le strutture che garantiscono la stabilità strutturale e la longevità dei filamenti di DNA che si “consumano” sempre più ad ogni divisione cellulare fino ad esaurirsi e determinarne l’instabilità genetica e la morte cellulare).
Il premio Nobel per la medicina la dott.ssa Elizabeth Blackburn insieme ad altri colleghi tra i quali la psicologa Elissa Epel, hanno dimostrato che non gestire efficacemente lo stress accelera il processo d’invecchiamento cellulare genetico, attraverso l’accorciamento velocizzato dei telomeri, predisponendo nel medio/lungo termine a molte malattie cardiocircolatorie, immunitarie ed oncologiche.
Diversamente coloro i quali possiedono un’efficace gestione dello stress (adottando specifiche tecniche o grazie a programmi di aiuto psicologico) sono caratterizzati dall’avere un processo di invecchiamento cellulare rallentato per l’effetto positivo sull’attività della telomerasi (l’enzima che “ripara” la struttura dei telomeri).
Credo che questi studi abbiano segnato una svolta nella storia della biologia e della psicologia perché per la prima volta si è dimostrata scientificamente la connessione tra il livello psicologico/mentale/esperienziale (dove è possibile una percezione cosciente dello stress) ed il livello per eccellenza considerato come biologicamente più intimo e profondo, rappresentato dalla memoria genetica costituita dal DNA contenuto in tutte le cellule del nostro organismo.
Già qualche anno prima dello studio del gruppo capitanato dalla Blackburn si era compreso che maggiore è la lunghezza dei telomeri migliore è il grado di protezione strutturale del materiale genetico e che minore è la lunghezza dei telomeri più elevato è il rischio di degradazione e senescenza del DNA e quindi della cellula stessa.
Per questi motivi i telomeri sono attualmente considerati come degli indicatori molto affidabili dell’invecchiamento cellulare cioè dell’età biologica degli esseri viventi eucarioti (dotate di nucleo cellulare) al pari di “orologi biologici” correlati alla longevità della cellula.
Il limite del numero totale di divisioni cellulari potenzialmente realizzabili dalla cellula sono dipendenti dalla lunghezza dei telomeri (il famoso limite identificato da Leonard Hayflick) quindi più divisioni avvengono minore è la lunghezza totale dei telomeri stessi ma il grado, od il ritmo, con il quale avviene questo “consumo” telomerico è grandemente dipendente da fattori epigenetici che influenzano il funzionamento dell’enzima telomerasi.
Quindi il settore della Psicologia acquista nell’ottica delle recenti scoperte epigenetiche sui telomeri una priorità fondamentale prima del tutto sottostimata dal mondo medico che ha quasi sempre adottato in maniera esclusiva il paradigma che prevede il dualismo mente-corpo.
La scoperta straordinaria, però, è che i telomeri possono anche allungarsi, non solo accorciarsi, e di conseguenza anche il processo di invecchiamento può essere accelerato, rallentato o, per alcuni aspetti, addirittura invertito.
Infatti recentemente la dott.ssa Epel insieme al suo gruppo di ricerca ha recentemente ipotizzato l’esistenza di meccanismi che regolano positivamente l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene attraverso i quali la meditazione (es. mindfulnes) porta all’allungamento dei telomeri rallentando quindi l’invecchiamento cellulare. (Agnoletti, 2018).
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