“Volenti o nolenti l’abbandono ci introduce, dal primo momento in cui lo subiamo, in una terra desolata che non conoscevamo, ci fa ascoltare un timbro inedito della disperazione e della fatica dell’esistere e del desiderare.” (Emanuele Trevi). La paura di essere abbandonati fa parte di ognuno di noi.
Da bambini, temiamo di essere abbandonati dai nostri genitori e da adulti, abbiamo il timore di perdere le persone che amiamo e di restare privi di legami affettivi per sempre. Spesso, queste preoccupazioni profonde conducono a delle relazioni emotivamente dipendenti e poco sane basate sulla paura di perdere l’altro anziché sulla gioia di dare incondizionatamente.
Il tranello dell’abbandono scatta principalmente nelle relazioni più intime e può essere provocato da perdite o separazioni reali come un trasloco, il divorzio, l’abbandono o la morte di un proprio caro o da qualsiasi altra causa che preveda un’interruzione del contatto con l’altro.
Altre volte, la paura dell’abbandono si manifesta nell’impossibilità di troncare relazioni dannose nell’ambito amicale, amoroso o anche lavorativo. Nonostante siamo in grado di riconoscere che quelle relazioni non sono fatte per noi e non ci fanno stare bene, non riusciamo a troncarle per paura di rimanere da soli. In altri casi, siamo così scottati e in preda alla paura da chiuderci completamente e non volere più nessuno accanto per paura di essere abbandonati un’altra volta.
Gli elementi dell’angoscia abbandonica e lo schema di abbandono
L’angoscia di abbandono richiama un senso di vuoto e di smarrimento di fronte alla vita stessa, che improvvisamente si ritrova priva di significato. Essa scaturisce dalla sensazione di “non essere nella testa di nessuno, nel cuore di nessuno”: in assenza dell’altro che ci faccia da specchio, la paura più profonda è quella di non esistere più.
L’angoscia di abbandono affonda le radici nella prima infanzia e nelle modalità con le quali si sono affrontate le piccole e grandi separazioni nella vita. Esistono degli eventi che portano, per diverse ragioni, a costituire un attaccamento insicuro che, secondo la letteratura scientifica e l’esperienza clinica, si trova alla base del disturbo di ansia da separazione nell’infanzia, ma anche alla base di relazioni patologiche segnate dall’ansia da abbandono nell’età adulta.
In effetti, possono esistere delle relazioni fortissime scambiate per amore profondo ma che in realtà sono soggette alle regole dell’ansia da abbandono di uno dei due partner. Uno dei due si pone come “l’incapace” e, automaticamente, investe l’altro di un grande potere: ogni cosa è fatta per evitare che l’altro vada via, per evitare quell’allontanamento vissuto come perdita e abbandono in quanto riattiva echi lontani di un bambino che ha vissuto una relazione genitoriale poco solida, carente di nutrimento amorevole e affettivo.
Quando una situazione esterna innesca lo schema di abbandono interiorizzato, l’individuo vivrà dolorosi e forti sentimenti di angoscia, disperazione e rabbia, emozioni che i bambini mostrano quando vengono separati dalla madre (Bowlby, 1973), ai quali conseguono un senso di impotenza, chiusura e distacco emotivo difensivo.
La persona che presenta questo schema può reagire in due modalità principali:
- chiudendosi ed isolandosi nella propria sofferenza, credendo che nessuno potrà mai restarle accanto come desidera, se le sue esperienze precoci sono state di abbandono, distacco e mancanza di stabilità nella relazione di accudimento.
- sviluppando un comportamento dipendente, perché si sente incapace di sopravvivere senza che qualcuno si prenda cura di lei fornendo una guida, una protezione e un supporto costanti.
Questo secondo caso è legato ad esperienze precoci in cui il bambino non è stato spinto a sviluppare autonomia e fiducia in se stesso.
In entrambi i casi, è possibile che la persona tenda a restare fortemente aggrappata a figure di riferimento che considera cruciali per il proprio equilibrio emotivo, come ad esempio il partner, sviluppando una forma di dipendenza finalizzata a garantirsi la presenza di qualcuno che fornisca cure, protezione e accudimento.
Angoscia abbandonica e Dipendenza Affettiva
Le circostanze appena descritte caratterizzano la dipendenza affettiva, che viene definita come una manifestazione di dipendenza legata fondamentalmente a due bisogni:
- bisogno di avere una guida, un sostegno ed un aiuto quando si percepisce se stessi come incapaci di farcela da soli nella vita.
- bisogno di garantirsi la presenza di una fonte di gratificazione, sostegno e contenimento emotivo laddove le emozioni di angoscia, di paura e di dolore legate a dinamiche interne di inadeguatezza o di senso di vuoto diventino intollerabili ed ingestibili altrimenti.
La persona dipendente vede se stessa come incapace di fare fronte autonomamente alla vita quotidiana o alla gestione e al contenimento delle proprie emozioni negative.
Per questo motivo, tenderà a fare di tutto affinché la figura di riferimento non la abbandoni. In effetti, ricerca spasmodica di approvazione, sottomissione, standard severi di prestazione e auto-sacrificio sono alcune delle modalità comportamentali messe in atto dalla persona dipendente e finalizzate a mantenere accanto le persone dalle quali dipende emotivamente.
Angoscia abbandonica e le relazioni sentimentali
Quindi, considerando più specificamente il campo delle relazioni sentimentali, le persone che si sentono abbandonate sono molto vulnerabili e sensibili e vedono in ogni piccolo gesto e frase della persona amata la possibilità di essere lasciate:
- “Ieri non mi ha più chiamata come aveva detto… credo mi stia lasciando
- “Ho letto nel suo sguardo qualcosa di strano… forse mi vuole lasciare”
L’angoscia abbandonica può manifestarsi anche senza che vi siano particolari situazioni problematiche o spiacevoli. In alcuni casi, anche se il rapporto procede bene, con il solo pensiero, ad esempio che qualcosa possa andar male, l’angoscia abbandonica può bussare alla porta.
“Cosa farei se questa storia finisse? Cosa ne sarà di me?”
Questo sentimento di perdere il proprio partner spinge la persona a ricercare ogni tipo di indizio che possa confermarle la possibilità di essere lasciata, andando a comprovare la propria convinzione. La persona si sente sempre angosciata, tesa e in allerta, perché pensa che prima o poi riuscirà a dimostrare a se stessa questa idea.
Le persone che soffrono di angoscia abbandonica finiscono per sabotare le proprie relazioni, mettendo in atto comportamenti che possono aggravare la loro condizione, ad esempio evitando legami. La persona, infatti, temendo il continuo abbandono, evita di legarsi o di farsi coinvolgere emotivamente. Tuttavia, se questo accade, cerca di distruggere il proprio rapporto, scegliendo partner inaffidabili e instabili o essendo troppo esigente con l’altro.
In questa situazione di forte ansia d’abbandono, la persona può mettere in atto comportamenti di evitamento, di controllo o di rassegnazione.
“Se non mi lego, non soffro!”
Nel comportamento di evitamento, la persona evita di legarsi sentimentalmente a qualcuno e cerca di coltivare una vita solitaria. L’ansia dell’abbandono può essere tenuta sotto controllo, mostrandosi indifferenti, poco attaccati o affettuosi con l’altro.
Tuttavia, questi modi di agire finiscono per confermare alla persona che le relazioni sono dolorose, alimentando la falsa convinzione dell’abbandono. In aggiunta, questo evitamento fa sì che il partner possa man mano allontanarsi poiché si sente poco amato, poco desiderato e quindi rifiutato.
“Se lo controllo, non potrà mai farmi soffrire!”
I comportamenti di controllo verso il partner hanno l’obiettivo di accertarsi che quest’ultimo non possa far nulla di sbagliato o dannoso, come ad esempio un tradimento.
L’ansia abbandonica è accompagnata dalla paura che prima o poi possa succedere qualcosa di brutto, che vada a minacciare il rapporto, motivo per cui è sempre importante mantenersi attenti e ipervigili. In questo modo, però, il partner può sentirsi non creduto, ipercontrollato e schiacciato, allontanandosi così dalla persona e ponendo fine alla relazione.
“Come vedi sto così male che solo tu puoi evitare che mi senta così abbandonata!”
Nei comportamenti di rassegnazione, la persona si comporta come se realmente fosse abbandonata, quindi si rassegna a questa sua credenza, allo scopo di far in modo che il partner interrompa questo abbandono, presunto o reale che sia. Un esempio è la classica scenata di gelosia. Anche in questo caso, il partner potrebbe stancarsi, trovando difficile, a lungo andare, reggere e contenere la portata di questo sentimento.
Cosa si può fare per affrontare e gestire l’angoscia da abbandono?
Il primo passo necessario per poter fare qualcosa di utile è la consapevolezza di come funzionino certi meccanismi. È ottimale comprendere cosa sta succedendo nelle proprie relazioni e perché.
Il secondo passo include l’agire nel presente affinché certe modalità relazionali non si riattivino continuamente. Questo significa fare qualcosa per cambiare e modificare concretamente il nostro agire, soprattutto nelle relazioni, il che implica rendersi conto delle dinamiche che si attivano nella quotidianità.
Serve fare un passo indietro per poter sperimentare, seppur con fatica, nuove modalità comportamentali, vale a dire qualcosa di alternativo a ciò che avremmo la tendenza a mettere in atto automaticamente.
Un altro passo da compiere è quello di esporsi gradualmente alle situazioni e alle sensazioni maggiormente temute. Talvolta, il timore dell’allontanamento dell’altro è legato anche alla paura di non poter cavarsela da soli. Può essere efficace fare esperienze da soli che permettano di farci sentire più competenti e autonomi e che incrementino il nostro senso di efficacia personale.
Se nella nostra storia relazionale abbiamo avuto spesso la tendenza ad annullarci per allinearci ai pensieri, ai desideri e ai bisogni dell’altro, è importante imparare a conoscersi davvero come individui. Quindi, un altro passo fondamentale è quello di sapersi riscoprire e di rinascere come persona nuova e indipendente.
Infine, è importante imparare a prendersi cura di sé, del proprio senso di vuoto e delle proprie vulnerabilità e a “nutrirsi”, a prescindere dall’altro.
Proprio perché consentono di vedere meglio se stessi e l’altro, questi processi diventano importanti anche al fine di poter sperimentare una relazione che sia adeguatamente appagante e soddisfacente.
A cura di Maria Chiara Gritti, psicologo psicoterapeuta. Riceve nel suo studio di Bergamo. Mail mariachiara.gritti@psicologobergamo.com
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