«Non sopporto il contatto fisico», il bisogno di rivendicare il proprio spazio

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Dott.ssa in biologia e psicologia. Esperta in genetica del comportamento e neurobiologia. Scrittrice e founder di Psicoadvisor

«Non sopporto chiunque mi tocchi! Mi dà un fastidio! Soprattutto se sono persone conosciute da poco… ma insomma, che bisogno c’è?! Rispetta il mio spazio personale, vai indietro. Mi capitava già prima della pandemia. Odio profondamente fare la fina al supermercato o alla posta, perché c’è chi inevitabilmente ti sta addosso. Non riesco a tollerarlo, vorrei urlare, spingerlo via… ma non posso, sarebbe un comportamento socialmente non adeguato».

La vita per chi non è un fan del contatto fisico può essere molto dura: quel toccarsi è tutto intorno a te! Abbracci, baci, carezze, pacche sulle spalle… dammi il cinque! Che bei capelli che hai… (e intanto te li accarezzano)! Cosa dire poi di quelle persone che quando ti parlando ti toccano, oppure si avvicinano così tanto a te da costringerti a fare qualche passo indietro? Sì, per chi non ama il contatto fisico la vita sociale può essere difficile da gestire e indubbiamente fonte di stress!

Il doverci toccare a vicenda non è un’esigenza per tutti. C’è chi ama il contatto fisico, chi ne sente bisogno e chi, invece, si irrigidisce come un pezzo di legno se viene abbracciato. Ancora più all’estremo, troviamo una categoria di persone che vive il contatto fisico come un vero e proprio disagio psicologico che prende il nome di afefobia.

L’afefobia è rappresentata da un’ipersensibilità del soggetto non solo al contatto fisico diretto ma anche alla vicinanza con il corpo altrui. Per esempio, durante una chiacchierata se l’interlocutore non mantiene una certa distanza fisica è percepito come “fastidiosamente troppo vicino“. Questo fastidio è generato da un’interpretazione inconscia che associa il contatto fisico a un’invasione della propria zona intima. In pratica l’altro viene percepito come invadente!

Perché non sopporto il contatto fisico

Ci sono molte chiavi di lettura e altrettante teorie. Alle origini dell’Afefobia o più in generale alla sensazione di fastidio legata al contatto fisico, può esserci un trauma oppure, più di frequente, una deprivazione affettiva da parte dei genitori (anche involontaria) durante l’infanzia; nell’età infantile, soprattutto nella prima infanzia, l’affetto è normalmente comunicato proprio con il contatto fisico.

A questo punto, per te che non sopporti il contatto fisico, sarebbe opportuno porti qualche domanda: che tipo di rapporto hai avuto con il contatto fisico quando eri bambino?

Certo, alcune cose non puoi ricordarle. Non sai quanto spesso la mamma ti teneva in braccio. Sai che nei primi mesi di vita, i pediatri consigliano ai genitori di far sentire al figlio la propria presenza fisica attraverso il contatto? Abbracci, carezze… Questo fa si che da adulto, quel bambino possa vivere in modo positivo il proprio corpo, che possa crescere sentendosi amato e protetto, sviluppando così fiducia negli altri e in se stesso.

Alla luce di ciò, un altro interrogativo che dovresti porti è…. che tipo di rapporto hai con il tuo corpo?
Così come la deprivazione affettiva, anche un eccesso di amore e contatto fisico, prolungato nel tempo, possono avere la medesima conseguenza. Per esempio, se durante l’infanzia e la crescita, hai percepito tua madre (o altra figura di riferimento) come eccessivamente invadente e in famiglia hai sempre dovuto faticare per riuscire a costruirti un tuo spazio ben definito, da adulto la fuga del contatto fisico e dalle relazioni umane potrebbe essere una “lecita” conseguenza.

La paura di essere privati della propria intimità potrebbe riflette un’incapacità nel gestire i confini interpersonali tra te e il prossimo. Questa paura si può manifestare anche in modo ossessivo sotto altri aspetti, per esempio: non vuoi che gli altri ti tocchino per “paura di essere contaminato”.

Il focus sembrano essere germi, batteri, parassiti… ma in realtà anche qui è il contatto fisico e la difficoltà di definire confini interpersonali sempre legata alla presenza di una figura di riferimento eccessivamente amorevole, ingombrante e invadente. Infine, un’altra ipotesi, legata al trauma: come potresti vivere la sensazione dell’abbraccio se i tuoi ricordi sono legati a una violenza o a un tradimento da parte di una persona amata che, invece di proteggerti, in qualche modo ti ha fatto del male?

Ovviamente, anche in questo caso, da adulto avrai difficoltà a lasciarti andare nel contatto fisico per evitare di riaprire quella ferita che in realtà non sei mai riuscito a chiudere.

Nessun uomo è un’isola

Il rifiuto del contatto fisico può essere il frutto della volontà di non svelarsi al prossimo, non farsi conoscere, per timore di essere ferito o per vergogna di sé… ma nessun uomo è un’isola. Rifiutare di essere toccati significa anche rifiutare di entrare davvero in contatto con il prossimo e con se stessi, con gli episodi del passato e con ciò che il corpo potrebbe svelare. In questo contesto potrebbero rientrare tutte le persone che tendono a somatizzare con malattie della pelle (dermatite atopica, orticaria, pruriti, eruzioni cutanee…).

È come se l’inconscio trasformasse la tua pelle in una corazza, un confine invalicabile allo scopo di rendersi invulnerabili e soprattutto impenetrabili, inaccessibili al prossimo. Ma ripeto: nessun uomo è un’isola e la chiusura non è mai utile anche quando è solo metaforica attraverso i confini corporei.

Il fastidio del contatto fisico come meccanismo di difesa

In tutti i casi descritti, si tratta di una sorto di meccanismo di difesa messo in atto dalla parte più ancestrale di te. Inconscio e subconscio hanno un’intelligenza emotiva propria che non ha nulla a che fare con la logica e la razionalità. Queste parti “più sepolte” di noi ci portano a creare evitamenti e mettere in atto meccanismi quasi sempre disfunzionali. In questo caso, evitando il contatto fisico, non farai altro che creare ancora distanze e separazioni, privandoti la possibilità di vivere con gioia le meraviglie…. non tanto del contatto fisico quanto della spontaneità di certi gesti.

E’ inutile tentare disperatamente di sfuggire a una carezza o a qualsiasi altro approccio fisico: la cosa migliore è quella di riconoscere l’origine del disagio che ormai è stato “fissato” nella tua menta. Puoi risalire al momento esatto in cui “il contatto fisico è divenuto emblematico” così da elaborare tutto ciò che c’è a monte. Da cosa ti vuoi proteggere rifiutando il contatto fisico? Un buon lavoro introspettivo, magari con l’aiuto di un professionista, potrebbe aprirti nuovi orizzonti.

Tenere lontani tutti: una questione di confini

L’altro è percepito dalla persona come un invasore, un nemico da cui difendersi e a cui innalzare tante corazze e serramenti emotivi, per sopravvivere al dolore del sentirsi danneggiati. I propri spazi fisici corrispondono alla propria autonomia emotiva. I propri spazi di autonomia emotiva sono stati costruiti con molta fatica e dolore; ecco perché l’altro viene percepito con fastidio o addirittura disprezzo. Quindi non svelarsi all’altro, non farsi conoscere è l’unico modo per farsi rispettare: essere impenetrabili. Emotivamente e fisicamente.

Nel mio libro «Riscrivi le Pagine della Tua Vita» (disponibile in tutte le librerie), ho dedicato molto spazio ai confini interpersonali, intesi come distanze psicoaffettive tra me e l’altro. I confini sono quelli che definiscono la propria autonomia emotiva, scandiscono e affermano la propria identità. Chi non sopporta il contatto fisico ha un disperato bisogno di affermare se stesso: chi è e cosa vuole. Questo desiderio non nasce dal nulla, nasce piuttosto da un passato di invalidazioni emotive che, nel presente, si fa sentire in diversi modi, il fastidio al contatto fisico è solo uno dei tanti.

Autore: Anna De Simone, psicologo esperto in neuropsicobiologia
Autore del bestseller «Riscrivi le pagine della tua vita» edito Rizzoli
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