Quando provi a pensare a una forma di abuso emotivo o abuso verbale, finisci con l’immaginare qualcuno che urla, s’infuria, offende, si arrabbia… ma gli abusi emotivi non sono sempre così palesi. Le offese più lesive possono essere anche tacite, silenziose, sottili ma taglianti. Gli abusi più pericolosi sono quelli che non si vedono e non si sentono, ma che feriscono la vittima in modo indelebile.
Il trattamento del silenzio non riguarda solo le relazioni d’amore o il rapporto con un narcisista. Il trattamento del silenzio può riguardare qualsiasi forma di relazione, anche il rapporto tra fratelli, amici, colleghi di lavoro o il rapporto madre-figli. Il trattamento del silenzio è una forma di abuso silenziosa molto più comune di quanto si possa immaginare. Come sempre, per comprenderne la risonanza di questo fenomeno, mi servirò di esempi pratici. Ecco il racconto di Sara.
“Ricordo che quando avevo uno screzio con mia madre, fin da bambina, lei si comportava come si io non fossi lì, come se fossi diventata invisibile, un fantasma; non mi parlava, ne’ mi degnava di uno sguardo. Questo era il suo modo di reagire ai disaccordi, il trattamento del silenzio era la mia punizione ma io non capivo neanche per cosa. Diciamo che per molto tempo, nella mia vita, ho cercato di comprendere mia madre: solo in età adulta ho capito che il trattamento del silenzio scattava quando io non l’assecondavo in tutto, quando io smettevo, almeno per un attimo, di essere ciò che voleva lei e provavo a essere ciò che ero realmente.”
Sara era solo una bambina e le ripercussioni di un trattamento emotivo simile sono molto forti così come è forte l’impatto che il trattamento del silenzio ha su un adulto che si porta dietro già delle sue fragilità. Chi subisce il trattamento del silenzio si ritrova a camminare in punta di piedi, spaventato, con l’ansia di pronunciare le parole sbagliate, con la paura e la confusione di non capire cosa sta succedendo. Sara era palesemente in un rapporto abusivo ma non lo capiva, era solo una bambina:
“Quando diventavo invisibile ai suoi occhi, soffrivo e avrei fatto qualsiasi cosa per essere notata, per essere accettata: mi sarei sciolta sotto il bagliore di un suo sorriso, nel calore di un suo abbraccio, nonostante la grossa sofferenza desideravo le sue attenzioni e scontavo la mia pena nell’attesa che semplicemente mi dicesse qualcosa: ma io dove avevo sbagliato?“
Il problema di chi cresce in un rapporto abusivo (che esso verta sul trattamento del silenzio, sulla manipolazione, sui ricatti emotivi o altri tipi di abuso) è che con il tempo tende a normalizzarlo. Quella persona penserà che ciò che le sta accadendo è normale ed è così che funziona nel mondo. Quella persona penserà che i suoi comportamenti inducono risposte normali, quando in realtà si tratta di autentici abusi emotivi.
E così si aprono due scenari.
Chi è cresciuto in un rapporto madre-figlio sicuro, basato sulla stabilità, l’affetto, il rispetto, l’appagamento dei bisogni fondamentali… e ha potuto dare piena espressione alla propria personalità, reagirà al trattamento del silenzio in un modo differente di chi, invece, è cresciuto in un rapporto abusivo e pensa che gli abusi emotivi siano quasi la norma.
Come reagire al trattamento del silenzio
Premetto che non vi è una strada giusta e una sbagliata, tuttavia chi ha realizzato davvero il significato delle parole amor proprio e rispetto di sé, sarà meno incline a cadere nella trappola dell’abuso emotivo in forma di trattamento del silenzio.
Nell’articolo dove ti ho spiegato le differenze tra il No Contact, il Ghosting e il Trattamento del silenzio, sottolineo che lo scopo principale del trattamento del silenzio è ferire chi lo subisce. La stessa psicologa clinica Harriet Braiker interpreta il trattamento del silenzio come una forma di punizione manipolativa. Chi attua il trattamento del silenzio lo fa con la consapevolezza o la speranza di poter controllare, punire o manipolare l’altra persona.
Chi è cresciuto con un buon nucleo realizzativo di sé, con una struttura forte e una buona autostima, capisce che si tratta di un atteggiamento disfunzionale e, seppur possa sperimentare una certa sofferenza, non fomenta questo tentativo di manipolazione, lo subisce come forma di ingiustizia e capisce che, chi non vuole confrontarsi e chiarire, chi elargisce un silenzio punitivo, sta attuando una forma passivo-aggressivo di abuso emotivo. La risposta:
“Io subisco il trattamento del silenzio ma so che il problema è tuo. Un problema tuo non lo faccio diventare mio. Quando “ti passa” e ne vorrai parlare, se IO sono ancora disponibile al dialogo, ne potremo parlare, altrimenti le nostre strade si separano perché io sono una persona che merita stima e rispetto”.
Chi, purtroppo, è cresciuto con la credenza che i rapporti abusivi possano essere la norma, finisce per subire il trattamento del silenzio e viverlo come una vera punizione. Il questo caso la “risposta” è il baratro, cadendo nel circolo vizioso del dubbio, del senso di colpa e di quel “dove ho sbagliato?” che tanto tormentava la piccola Sara. Il silenzio porta la vittima a chiudersi in se stessa, a rimuginare, a vivere nell’attesa di… a camminare in punta di piedi in preda allo spavento.
Questa forma di abuso psicologico è molto sottile. Mentre la gran parte delle persone sono pronte a condannare una forma di abuso fisico (palese, lascia lividi e segni!) molte altre sono più tolleranti e credono che gli abusi emotivi (che lasciano cicatrici non visibili ad occhio nudo, ma che sorgono a galla solo dopo una profonda analisi) possano addirittura essere la normalità di un rapporto.
Il trattamento del silenzio: l’abuso emotivo che non ha bisogno di parole
Un bambino che ha subito il trattamento del silenzio, più e più volte durante l’infanzia, così come qualsiasi altra forma di abuso emotivo, cresce diffidando delle sue percezioni e con la difficoltà nel riconoscere e gestire le emozioni;
sviluppa uno stile di attaccamento insicuro e sarà portato a instaurare sempre relazioni dove vige una forma di abuso emotivo perché ormai non conosce altre realtà. Poiché riconosce l’abuso emotivo come “normale” tenderà a instaurare, in età adulta, relazioni con coloro che attuano manipolazione e altre forme di abuso.
Il silenzio è scelto come l’arma che la madre impugna per ferire la figlia (o il figlio). Il silenzio è scelto come arma dal coniuge che vuole punire un partner che per un attimo non ha soddisfatto le sue aspettative.
Sara, oggi ha 33 anni e ha iniziato un percorso di risanamento emotivo, ma prima era finita in una relazione abusiva: si è sposata con Luca, un uomo di 38 anni che, tra le diverse forme di abuso, la sottoponeva anche al trattamento del silenzio.
“Quando Luca iniziò a sottopormi al trattamento del silenzio, mi piacerebbe dire che per me fu come rivivere un incubo, ma in realtà ancora non capivo che continuavo a essere una vittima di abuso. Diventai una persona patetica, lo supplicavo, gli chiedevo costanti rassicurazioni sui suoi sentimenti, rassicurazioni che non mi dava. Per mostrare il suo disappunto, quando qualcosa nella relazione non andava come desiderava, iniziava a ignorarmi.
Si sedeva sul divano con la sua “faccia di marmo” sembrava imperturbabile, come se non provasse nulla. Io iniziavo a scusarmi anche se non sapevo di cosa! Iniziai a soffrire d’ansia e attacchi di panico, così decisi di intraprendere un percorso psicoterapeutico e lì venne fuori la dolorosa realtà: avevo sprecato 33 anni della mia vita a elemosinare amore e attenzioni. Nell’attesa che qualcuno mi dicesse “brava, hai fatto un buon lavoro”, nell’attesa che qualcuno riconoscesse il mio valore, nell’attesa che Luca cambiasse, che io cambiassi…. Nell’attesa di… “
Vivere di attese non serve a nulla: bisogna vivere di azioni, di intenti e con la volontà di migliorare sempre le proprie condizioni di vita. La storia di Sara non è insolita. Quando si normalizza un comportamento abusivo è facile passare da una relazione d’abuso a un’altra. Schemi e trattamenti possono essere diversi, ma la sensazione di amaro in bocca è la stessa.
Il trattamento del silenzio è il più facile da giustificare per chi lo porta avanti e anche per la vittima:
- Non ho voglia di parlarne adesso.
- E’ troppo turbato per affrontare l’argomento.
- E’ troppo offeso o ferito per parlarmi.
- Forse sono io che sono troppo sensibile, lui sta solo cercando di riorganizzarsi.
Il trattamento del silenzio non è solo quello che ho appena descritto. Sono molte le forme di trattamento del silenzio che possiamo subire: ostruzionismo, disprezzo velato, rifiuto… e talvolta s’innescano dinamiche collettive con lo scopo di emarginare una persona (bullismo o, in ambito familiare, quando una persona viene vista come la pecora nera della famiglia, quando non è altro che il “capro espiatorio” delle frustrazioni altrui).
Essere maltrattati o denigrati, non è un obbligo!
Nessuno dovrebbe essere costretto a subire comportamenti manipolatori. Allora sì che le cose dovrebbero cambiare e se il tuo partner non cambia (e solo difficilmente cambierà), chi dovrà cambiare sarai tu. Anche in questo caso, cambiare in meglio.
Anche se non lo sappiamo, avevamo un mondo e una vita completa anche prima che il nostro partner arrivasse. Ciò che possiamo fare oggi, è continuare a prenderci cura del nostro mondo, a prescindere dalle azioni dell’altro. Certo, non tutti sono capaci di essere presenti per se stessi, alcuni sembrano più bravi a occuparsi degli altri e non di sé, ma anche questo cambierà. Come spiego nel mio libro «Riscrivi le Pagine della tua Vita», quando sappiamo guardarci bene dentro e riusciamo cogliere i nostri bisogni più profondi, riconoscendoci nella nostra interezza saremo capaci di muoverci nella direzione giusta per appagarli, a prescindere dall’altro! La soddisfazione relazionale diverrà la naturale conseguenza delle nostre scelte personali, del nostro modo mentale. Puoi trovarlo in libreria e a questa pagina Amazon.
Autore: Anna De Simone, psicologo esperto in neuropsicobiologia
Autore del libro bestseller “Riscrivi le pagine della tua vita” – Rizzoli
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