Non tutto è scritto nel DNA. Il potere della mente per l’espressione del DNA

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Dottoressa in psicologia, esperta e ricercatrice in psicoanalisi. Scrittrice e fondatore di Psicoadvisor
Molto di quello che costituisce il nostro modo di essere è influenzato da un insieme di fattori ambientali. Denise Barlow (Vienna, Austria)

Sappiamo che lo sviluppo del bambino è multifattoriale, dipendendo dal suo patrimonio genetico e biologico, ma anche da quanto accade nel suo ambiente di crescita, interno o esterno alla sfera più strettamente genitoriale (Black, 2017).  Esistono, infatti, numerosi studi che forniscono stime ben precise sul peso relativo di geni e ambiente nell’espressione di vari tratti del comportamento e della personalità.

Il patrimonio genetico non è una specie di manuale di istruzioni in cui è stabilito a priori ciò che saremo

L’individuo è in costante interazione con l’ambiente in cui vive e l’adattamento al mondo che ci circonda consente lo sviluppo di apprendimenti e cambiamenti. Questi cambiamenti avvengono a diversi livelli nel nostro organismo coinvolgendo tutti i sistemi: dal cervello, al sistema endocrino, a quello immunitario, passando per l’apparato respiratorio, digerente, muscolare, dermatologico e
cardiovascolare.

Molte caratteristiche individuali, come il colore degli occhi o la predisposizione a certe malattie, sono determinate dai nostri geni (le unità di DNA che includono specifiche informazioni) ma non è plausibile che il nostro genoma (l’insieme dei geni) possa e, da solo, plasmare la nostra personalità o le nostre attitudini intellettive, emozionali o creative. In realtà, molto di quello che costituisce il nostro modo di essere è influenzato da un insieme di fattori ambientali. Fin dai primi giorni di vita le esperienze di accudimento, le relazioni interpersonali, le fatiche emozionali a cui siamo esposti concorrono in maniera inestricabile a formare la nostra personalità. L’individuo va cioè pensato come il risultato di una continua interazione tra geni e ambiente.

Alla nascita i bambini non sono tutti uguali

Ad esempio hanno modi diversi di reagire all’ambiente, sia a livello relazionale che fisico. Alcuni sono più reattivi agli stimoli, altri più capaci di regolare i loro ritmi biologici o più veloci nel recuperare uno stato di calma dopo un disagio. Queste caratteristiche, che fanno parte di quello che viene definito “stile temperamentale”, sono almeno in parte orientate dal funzionamento di alcuni geni. La cosa interessante è che un nuovo ambito di ricerca, noto come epigenetica, ha iniziato a documentare che il modo in cui questi geni funzionano (nel linguaggio scientifico si direbbe come i geni “si esprimono”) non è immutabile. In altre parole, le esperienze precoci vissute dal bambino possono modificare l’attività del DNA e di conseguenza modificare i comportamenti associati a determinati geni.

Cenni storici sull’epigenetica

Il termine epigenetica ha origini antiche, dal greco: epi=sopra e gennetikòs= relativo all’eredità familiare, e significa ciò che controlla l’espressione genica. Il primo che fece riferimento a questo concetto fu Aristotele che credeva nell’epigenesi, cioè nello sviluppo di forme organiche individuali a partire da ciò che non è ancora formato. Il termine epigenetica è stato tuttavia introdotto del genetista Conrad Waddington nel 1942, definendo questa disciplina come la “branca della biologia che studia le interazioni causali fra i geni e il loro prodotto cellulare e pone in essere il fenotipo” per descrivere dunque i fenomeni che, attraverso il dialogo fra le informazioni genetiche e l’ambiente, portano dal genotipo al fenotipo.

Nella sua opera Philosophie zoologique (1809), Lamarck avanzò la sua teoria sull’evoluzione che si basava sulla convinzione che gli organismi fossero il risultato di un processo di modificazione che avveniva sotto la pressione delle condizioni ambientali. Tale modello fu poi abbandonato dall’avvento della teoria darwiniana e delle ricerche di Mendel.

Infatti con lo sviluppo della genetica fu evidenziato che l’unico modo tramite il quale si potessero ottenere modifiche negli organismi era che queste modifiche fossero trascritte nel DNA. Tuttavia ora con l’avvento dell’epigenetica l’ipotesi di Lamarck appare essere più vicina alla realtà rispetto a quello che si pensava.

Accanto ai cambiamenti casuali della sequenza del DNA che hanno trovato riscontro nella teoria di Darwin secondo la quale essi vengono mantenuti o meno attraverso il processo di selezione naturale da lui descritto, troviamo dunque anche cambiamenti nella trascrizione dell’RNA che non sono casuali, bensì influenzati dall’ambiente e questo processo trova un riscontro proprio nella teoria di Lamark.

Genotipo e fenotipo: di cosa parliamo

Il termine genotipo si riferisce all’insieme di tutti i geni che compongono il DNA (corredo genetico, identità genetica, costituzione genetica). Per fenotipo si intende l’insieme di tutte le caratteristiche manifestate da un organismo vivente, quindi la sua morfologia, il suo sviluppo, le sue proprietà biochimiche e fisiologiche comprensive del comportamento.

Quindi il fenotipo è ciò che è evidentemente il vivente, il suo genotipo invece è la informazione genetica che è in lui contenuta, che ha generato il fenotipo; solo una parte esigua del genotipo si esprime nel fenotipo ma in senso bidirezionale poiché esistono meccanismi epigenetici che selezionano quali porzioni di DNA esprimere e viceversa quali invece mantenere “silenti”. (Metilazione DNA)

Come funziona l’epigenetica?

L’epigenetica sta cambiando la nostra visione della genetica. Si è sempre ritenuto che i geni potessero modificarsi molto lentamente in risposta alle pressioni evolutive che spingono all’adattamento o alterarsi in concomitanza di eventi ambientali specifici, ad esempio l’esposizione a radiazioni. L’epigenetica suggerisce invece che l’ambiente abbia degli effetti su alcuni geni in tempi più rapidi. Questo significa che il genoma non è una struttura fissa, ma, al contrario, interagisce in maniera dinamica con l’ambiente.

Nello specifico, l’epigenetica studia le modifiche fenotipiche ereditabili nell’espressione del gene, queste modifiche avvengono tra l’altro tramite metilazione di specifiche regioni del DNA che possono portare ad una maggiore o minore probabilità di espressione fenotipica di quella caratteristica genica, in particolare l’ipermetilazione è spesso (ma non sempre) associata ad un silenziamento dei geni (Jones e Takai 2001).

Per capire meglio il funzionamento di questo meccanismo biochimico, basta immaginare uno spartito musicale. Ciascuna nota del brano  sul pentagramma dovrebbe essere suonata secondo le indicazioni dell’autore. Da questo punto di vista le note sono, almeno in parte, immodificabili. Tuttavia lo stesso brano può essere suonato in modi molto diversi secondo le propensioni e il gusto artistico di un musicista che decide di non attenersi alla trascrizione originale.

Pur lasciando inalterata la sequenza delle note, il musicista può agire su molti aspetti della loro espressione, variandone gli accenti, l’intensità eccetera. Così possiamo ascoltare, per esempio, diverse versioni di ’Nel blu dipinto di blu”: da una più tradizionale a una più moderna. Le note sono le stesse pertanto è facile riconoscerlo anche quando il brano viene suonato in stile dance. Naturalmente, le variazioni espressive introdotte dal musicista danno una coloritura differente.

In sintesi, l’epigenetica studia le variazioni delle espressioni genetiche dovute agli effetti dell’ambiente. Per cui, sebbene i geni (le note) non si possono modificare totalmente, l’ambiente (il musicista) può variarne l’espressione (la dinamica delle note), ottenendo quindi un diverso adattamento dell’organismo all’ambiente (la versione dance).

Il livello genetico e quello psicologico sono fortemente interconnessi e l’anello di congiunzione fra questi due domini è proprio l’epigenetica che si configura come l’anello mancante fra psicologia e biologia.

Esistono quindi dei fattori “extra genetici” che influenzano lo sviluppo dell’organismo e che sarebbero in grado di selezionare la porzione di DNA da esprimere, senza alterare allo stesso tempo il genotipo del DNA.

Concetto di “memoria epigenetica”

L’epigenetica ci dimostra che la quantità e la qualità delle esperienze che scegliamo di fare e quindi gli stati mentali che viviamo durante queste esperienze influenzano sempre il livello più intimo del nostro organismo biologico, quello genetico modificandone l’espressione e quindi anche la longevità.

Oltre ad una “memoria psicologica” e la “memoria genetica” dovremmo, quindi, considerare anche il concetto di“memoria epigenetica” per comprendere al meglio la fenomenologia ed il comportamento umano, evitando così, lo sterile riduzionismo Natura vs Ambiente che ha connotato tutte le scienze biologiche e psicologiche per oltre un secolo. Tra i settori che stanno emergendo da questo recente approccio della biologia c’è, per esempio, la nutrigenomica e la psicologia epigenetica (Agnoletti, 2018c).

Si può, quindi, affermare che la specie umana rappresenta la specie animale dove la componente epigenetica è la più complessa (perché include tra l’altro anche memorie extrasomatiche simboliche). L’atto mentale, consapevole e intenzionale, può promuovere il cambiamento sulle varie memorie (genetiche, epigenetiche, psicologiche, culturali…) che compongono sia l’organismo che l’ambiente nel quale interagisce.

La psicoterapia rappresenta un fattore centrale!

L’epigenetica, dunque,  riporta a un ruolo centrale e imprescindibile le scienze psicologiche, che per troppi decenni erano state estromesse all’interno delle discipline dedicate alla salute psicofisica delle persone. Ciò apre, quindi, la strada a nuove possibilità di comprendere, prevenire e trattare molti disturbi psichici, in un’ottica multidisciplinare.

La psicoterapia essendo anch’essa un tipo di influenza ambientale può dunque portare allo sviluppo di fattori protettivi sfruttando la reversibilità delle modifiche epigenetiche e data la presenza di trasmissione intergenerazionale di queste caratteristiche può dunque essere vista non solo come un momento di cura, ma anche come un percorso di prevenzione per le generazioni future.  E la revisione fatta da Miller, e pubblicata da Psichiatry Journal nel 2017, si concentra sulla nostra attuale conoscenza del suo impatto epigenetico e neurobiologico.

A cura di Ana Maria Sepe, psicologo e fondatrice della rivista Psicoasvisor
Autore del libro Bestseller “Riscrivi le pagine della tua vita” Edito Rizzoli
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