Per tante persone essere single è una scelta ma per alcune questa condizione rappresenta un problema così grande da diventare una patologia nota come anuptafobia (dal latino anupta, senza nozze). Lo “status di single” per alcuni rappresenta un vantaggio, fa sentire liberi, spensierati, pienamente autonomi… per altri, invece, rappresenta una condizione angosciosa, soprattutto nei periodi in cui finisce una relazione o si iniziano ad avere problemi con il partner.
Tratta questo tema anche il film cult Il diario di Bridget Jones, dove la protagonista è alla costante ricerca dell’amore e dell’equilibrio di una relazione duratura. Ma se nella finzione cinematografica c’è l’immancabile lieto fine, nella realtà può essere difficile uscire dalla condizione di frustrazione legata al fatto di essere single.
E’ esperienza comune provare una certa paura all’idea di stare da soli e perdere il partner di vita, ma per chi soffre di anuptafobia, questa paura diventa estremamente consistente: la prospettiva di non trovare un partner diviene un vero e proprio incubo.
Genesi dell’anuptafobia
Solitamente colpisce più le donne degli uomini, di età compresa tra i 30 e i 40 anni. Le cause possono essere molteplici ma una delle più frequenti è insita in un retaggio culturale: la società a quell’età si aspetta che una donna trovi un partner e dia vita a una famiglia.
Abbandoni, tradimenti, svalutazioni, rifiuti… rappresentano il carburante per il senso di inadeguatezza che conduce all’anuptafobia. Il pieno di questo “carburante cattivo” non si fa in età adulta, il serbatoio si riempie con un processo graduale che ha inizio nell’infanzia, soprattutto se si è vissute in un ambiente caratterizzato da imprevedibilità, sfiducia e anaffettività.
Se non abbiamo imparato a gestire le emozioni in modo adeguato perché il genitore era a sua volta incapace di farlo o era assente, con molta probabilità cercheremo partner che metteranno in scena lo stesso meccanismo, perché anche se disfunzionale è l’unico meccanismo che conosciamo. Questo può accadere anche se abbiamo vissuto in un ambiente iperprotettivo.
Chi non ha potuto strutturare un senso di sé autonomo e capace di autodeterminarsi a prescindere dagli altri, sarà sempre alla ricerca di modelli esterni a cui adeguarsi, ma soprattutto: ogni relazione sentimentale che capiterà fungerà da ancora di salvezza, occasione di riscatto di ciò che non si è avuto. Si svilupperà una sorta di “sindrome di aggrappamento” tale per cui la relazione sarà l’appiglio a cui aggrapparsi, perché altrimenti ci si sente vuoti, incompleti, soli, abbandonati.
La persona non riuscirà a vivere la relazione come arricchimento di un sé già strutturato, ma come immancabile cornice che deve fungere da regolatore interno. In questo caso il partner sarà colui che dovrà riempire il vuoto interiore, dovrà sanare le ferite infantili, soddisfare le esigenze del presente amplificate dalle mancanze del passato; quindi il partner dovrà continuamente fornire attenzioni, affetto, vicinanza e rassicurazioni.
In queste circostanze, il partner non viene scelto per ciò che è ma per ciò che dà e rappresenta: l’occasione per mettere una pezza sulle mancanze del passato. Storia dopo storia, anche se riconosciamo che si tratta di meccanismi sempre identici, che ripetiamo all’infinito, nonostante la piena consapevolezza del fallimento a cui andremo incontro, proseguiremo imperterrite questa strada.
Caratteristiche di chi è anuptafobico
Come già accennato, chi soffre di Anuptafobia ha difficoltà nell’identificare in modo consapevole i propri bisogni ed obiettivi se non in presenza di una figura di supporto o di un contesto che svolga questa funzione. Ha una bassa autostima e manifesta tutti sintomi della dipendenza affettiva; ha un forte bisogno di legame nei confronti di una persona dalla quale dipende totalmente e sulla quale investe tutte le proprie energie.
Questa condizione spinge chi ne soffre sia a collezionare ossessivamente partner dopo partner, nel tentativo di sedare l’ansia, sia a restare in relazioni logore ma che permettono di mantenere il ruolo sociale.
Naturalmente, essendo guidati soltanto da questo bisogno, e non da qualcosa di più costruttivo e maturo, ogni volta che si conclude una relazione non si acquisiscono nuovi strumenti, non ci si sofferma a comprendere cosa non abbia funzionato e cosa si vorrebbe per se stessi. Si passa direttamente al partner successivo, ripetendo lo stesso copione e creando relazioni copia incolla, rinforzando così il senso di frustrazione e fallimento, derivante dal vedere che non si riesce mai a ingranarne una storia.
A parte l’ansia enorme, l’anuptafobia si contraddistingue per aspetti ossessivo-compulsivi. Si va dal controllo continuo dei social alla ruminazione mentale eccessiva, dal vittimismo al senso di fallimento personale..e tutto solo per evitare di sentirsi soli..
Sintomi dell’anuptafobia
Spesso chi soffre di questo problema non se ne rende conto coscientemente. I sintomi dell’anuptafobia però sono abbastanza ricorrenti e possono riassumersi così:
– Pensiero fisso al fatto di essere single
– Sensazione di fallimento al pensiero di non avere ancora un partner
– Sensi di colpa
– Stati d’ansia
– Depressione
– Ricerca ossessiva di un partner
– Accontentarsi di flirt temporanei pur di stare con qualcuna
– Difficoltà nel chiudere una relazione anche se insoddisfacente
– Annientamento all’interno della relazione
La questione età gioca un ruolo centrale nella dinamica sentimentale dei single: “La paura inizia a farsi sentire forte intorno ai 40 anni, fortissima a 50: cresce l’angoscia di pensare di non poter più costruire una famiglia, di non avere una persona d’amare e che a sua volta ci ami. Aumenta la tristezza, l’agitazione e anche l’ansia. E soprattutto le cinquantenni iniziano a credere che se non troveranno qualcuno ora, nessuno le sceglierà più”.
Come guarire dall’anuptafobia
Non è facile uscire da un comportamento così disfunzionale ma riconoscere di avere il problema è già un buon primo passo. A ciò si deve aggiungere la volontà di risolverlo. È infatti molto importante che chi ha problemi di anuptafobia sia anche in grado di lavorare su se stesso, di accrescere la propria autostima e di mettersi sempre in discussione.
Se all’inizio della relazione tendiamo a smarrire noi stessi è normale, ma quando cambiamo tutti i nostri ideali e valori per seguire quelli della persona che è al nostro fianco non va bene. Certo, se questa condizione è passeggera non c’è nulla di male, ma in caso contrario sì: la regola è essere sempre se stessi e mai annullarsi per l’altro.
Un campanello che deve preoccuparci è il desiderio di volere una storia seria fin dal primo appuntamento: come si può parlare di convivenza, ad esempio, con una persona conosciuta da appena un’ora?
Una consapevolezza che si può fare attraverso un percorso di psicoterapia che aiuti a conoscersi a fondo, capire da dove partono determinate paure e trovarvi una soluzione. Senza un aiuto di questo tipo il rischio è quello di restare intrappolati in un vortice in cui si cerca ossessivamente un partner senza davvero lasciarsi andare alle relazioni sane e ricche di emozioni.
È vero, essere soli può diventare frustrante e creare grande ansia ma la solitudine ha anche un grande potere di guarigione
Potresti imparare a pensare che la tua vita può essere felice e completa anche senza la presenza di una persona al tuo fianco. Si tratta di un pensiero che accresce l’autostima e la consapevolezza del proprio valore individuale.
Quando la solitudine diventerà una tua amica, non avrai più paura di stare da sola. Non avrai più paura di prendere la strada meno battuta e guidare da sola. Avrai già vissuto il tuo peggior incubo, avrai già fatto amicizia con la tua più grande paura. In qualsiasi situazione di solitudine, scelta o imposta, ci può essere una buona occasione per imparare qualcosa di nuovo su se stessi. Perché stare da soli può riempirti lo spirito, ti riempie di potere e di liberazione perché finalmente avrai la piena consapevolezza che non hai bisogno di nessuno, che puoi sopravvivere da sola che lasci entrate le persone nella tua vita perché vuoi e non perché devi farlo.
Sperimenta nuovi modi di essere
Imparare a conoscersi significa sperimentare se stessi, cimentarsi in piccole e grandi imprese. Il modo migliore per farlo è iniziare un percorso psicoterapeutico. Se ti va di fare un vero viaggio introspettivo alla scoperta di chi sei, se ti va di analizzare te stesso, i tuoi vissuti emotivi e le tue storie relazionali, dall’infanzia all’età adulta, posso consigliarti la lettura del mio libro (già bestseller!) «Riscrivi le Pagine della Tua Vita» edito da Rizzoli.
Intendiamoci, un libro non può cambiarti la vita ma può aiutarti a costruire relazioni migliori, con te stesso e con gli altri. Il cambiamento, poi, sarà inevitabile, sarà la naturale conseguenza di un’autentica scoperta di sé. Curare i nostri legami, le nostre ferite, i nostri conflitti… curare il nostro benessere, è un dovere imprescindibile che abbiamo verso noi stessi. Nel libro, troverai molti esercizi psicologici pratici che potranno aiutarti in mondo tangibile fin da subito.
A cura di Ana Maria Sepe, psicologo e fondatrice della rivista Psicoasvisor
Se ti piace quello che scrivo, seguimi sul mio profilo Instagram: @anamaria.sepe.
Se ti piacciono i nostri contenuti, seguici sull’account ufficiale IG: @Psicoadvisor
Puoi leggere altri miei articoli cliccando su *questa pagina*