Hai presente quando affermi «sì, prima ero ingenuo, adesso ho imparato!» oppure «prima ero molto più disponibile, adesso non mi fido più, sono molto selettivo». Affermi questo perché sai che le esperienze che hai fatto ti hanno forgiato, tu ti sei “adattato” a un ambiente che ti ha ferito, ti sei adattato aumentando le tue difese. Cerchi di essere più guardingo nella vita dopo tante batoste, si chiama adattamento. Ci sta. Ma sai che la maggior parte delle esperienze che hai vissuto, quelle dal più forte potere trasformativo, le hai avute nell’infanzia? Riflettiamoci insieme.
Quando veniamo al mondo, siamo del tutto inadatti alla vita. Un nome già assegnato alla nascita, un’identità immaginata dai nostri genitori ma noi neanche sappiamo parlare, camminare o nutrirci da soli. Ci affidiamo completamente alle loro mani ed è “tra le loro mani” che facciamo le nostre prime esperienze. Le esperienze infantili hanno un forte peso sul nostro sviluppo (fisico e psichico), il motivo? Si verificano quando il nostro sistema nervoso è ancora “acerbo” e costituiscono l’ambiente della sua maturazione, crescendo non facciamo altro che adattarci alla nostra famiglia e, con quelle basi, affrontiamo tutto ciò che viene dopo.
Considera che esci dal nucleo familiare – per andare al nido- quando hai ormai 3 anni e la maturazione neurobiologica dei sistemi di attaccamento si compie entro il secondo anno di vita: ciò che viene dopo conta, eccome, ma si scontra con un sistema già in buona parte formato. Ecco perché, da adulti, è così difficile cambiare: dobbiamo competere con anni e anni di adattamenti pregressi. La nostra personalità, i nostri modelli comportamentali, sono adattamenti all’ambiente molto più radicati e profondi.
Quando vuoi cambiare qualcosa di te, ci sono alcune regole fondamentali che non puoi ignorare. Se ignori queste poche e semplici regole sarai condannato alla stagnazione, al ripetersi perpetuo dei medesimi schemi, automatismi e scenari. Vediamo insieme quali sono queste regole e cosa comportano.
#1. Non c’è cambiamento senza accettazione, non c’è accettazione senza amore di sé
Sembra un bel paradosso: solo quando riuscirai ad accettarti sarai capace di cambiare. È un paradosso perché da adulti, tentiamo di cambiare quelle parti di noi che non accettiamo. La logica ci suggerisce che «se le accetto, non avrei certo bisogno di cambiarle». Questo sillogismo è del tutto fallace. Potresti accettare e nutrire profondo affetto per un tuo amico, nonostante i suoi difetti e, nonostante quei limiti, potresti spronarlo a migliorare. A monte, dunque, non c’è cambiamento se non impari ad amarti e se pensi di amarti, hai interiorizzato un’idea dell’amore sbagliata. Non puoi “amarti a patto che”, questo non è amore, questo è un ricatto affettivo.
Sai un modo meraviglioso che hai per accettarti, volerti bene e spronarti a diventare la migliore versione di te stesso? Conoscerti, dedicare tempo a te stesso e alla comprensione del tuo mondo interiore. Come avrai capito dalla premessa, tutto ciò che facciamo e che siamo ha una ragione che può essere individuata nella nostra storia personale. Se impariamo a conoscerci davvero, allora diventerà facile accettarci, perché capiremo che tutto ciò che siamo è una “sintesi inevitabile” di ciò che ci è successo in passato. Questa comprensione ci renderà liberi, liberi da ogni giudizio e forma di autocritica, liberi anche di amarci e… cambiare, evolverci! Non più prigionieri di ciò che è stato ma liberi di essere ciò che desideriamo.
#2. Le resistenze fanno parte del gioco: se fallisci, sei ugualmente degno d’amore
Tutte le grandi imprese richiedono una dose iniziale di errori e frustrazione. Nel 95% dei casi, falliamo i nostri propositi solo perché non siamo disposti ad accettarla, involontariamente pretendiamo da noi stessi standard elevatissimi, quindi non tolleriamo errori e ancora meno i fallimenti. Ogni battuta d’arresto diviene un dramma da affrontare perché nella nostra mente risuona come la prova che «non siamo abbastanza». Soffermiamoci subito su questo pericoloso meccanismo!
Ogni grande impresa che hai già superato, ha richiesto un enorme dose di frustrazione. Sì, anche se non ti conosco, so che hai superato grandi sfide, so che ne hai vissute mille. Di certo hai vissuto la sfida dell’imparare a camminare. Credi sia stato semplice? Eri un batuffolo con gambe più tozze del tronco, muscoli non ancora sviluppati, ossa flessibilissime. Sai quanto deve essere stato difficile per te cadere e ricadere e ricadere? Prima di muovere qualche passettino? Poi imparare a parlare, la frustrazione di non essere capiti. Imparare a leggere e scrivere… Ma anche più di recente, imparare la matematica, imparare una nuova lingua… all’inizio è tutto difficile, ed è NORMALE avere difficoltà.
Sai perché siamo così intolleranti agli errori e alle difficoltà? Perché da un lato nessuno ci ha insegnato a credere in noi stessi e, dall’altro, vediamo ogni nostro errore come la prova che non siamo degni d’amore.
Durante l’infanzia, la paura di sbagliare emerge quando ogni errore viene fatto pesare subdolamente con la minaccia dell’abbandono, perché se è vero che noi umani non nasciamo con un’intrinseca paura di sbagliare, come premesso, abbiamo qualcosa altro di innato: il bisogno di attaccamento. Quando questo bisogno viene tradito, allora l’evitamento del rischio d’errore è usato come strategia per mettere in salvo il legame.
Un bambino fatto sentire di peso, tenderà a inibire i suoi bisogni e vivrà, anche successivamente, all’insegna dell’evitamento. Ecco perché molti adulti non tentano: la paura di fallire li immobilizza perché nella loro mente, stanno ancora cercando di mettere in salvo un legame andato in frantumi già tanto tempo prima ma che ancora risuona nella mente.
#3. Le relazioni datate ostacolano il cambiamento: non puoi guarire nell’ambiente in cui ti sei ammalato
Quando le consapevolezze aumentano, è naturale che certi legami cambino, soprattutto quelli con gli affetti più stretti. Questo cambiamento può essere molto complesso ma è indispensabile per il processo di crescita: cambiando i legami, tu cambi te stesso.
Nelle famiglie disfunzionali i ruoli sono rigidi e la visione che gli altri hanno di te, non cambia. Cosa significa? Che se fin da bambino ti hanno trattato come quello che «non vale nulla», continueranno a farlo anche quando sarai adulto. Non importa quanto «bravo, buono, talentuoso o efficiente» tu sia, per loro resterai “bollato” (il che significa che nel migliore dei casi sarai “difettoso” e nel peggiore, una “nullità”).
Il problema delle famiglie disfunzionali emerge molto preso. I nostri genitori -quando eravamo bambini- guardandoci con occhi svalutanti- hanno finito per farci sentire davvero svalutati, come se non avessimo valore e questo ha segnato ogni passo dei legami che abbiamo instaurato sia con loro che con gli altri. Nelle famiglie funzionali, però, questo non si verifica, non c’è una gerarchia di valori e i legami evolvono, mutano costantemente allineandosi alla crescita e alle diverse esigenze di vita.
Nelle famiglie disfunzionali se provi a cambiare qualcosa, ti fanno sentire in colpa, fuori posto, un traditore. In un certo senso, le consapevolezze che acquiesci “tradiscono” tutti gli altri, perché con quelle consapevolezze FINALMENTE, tu inizi a guardarti per ciò che sei e non per ciò che ti hanno fatto sentire! Le tue consapevolezze violano un implicito e segretissimo accordo (che però tu non hai mai sottoscritto!!) che recita: «io vivrò in funzione dell’idea che voi genitori avete di me». E questa violazione cambia tutto. Concede a te la libertà. Ti restituisce ciò che da sempre ti spetta e che ti è stato negato: una tua identità autonoma e indipendente.
Quando affermi te stesso, genitori, famiglia, amici… possono ostacolarti perché di fatto si relazionano a te con le stesse modalità disfunzionali. La cosa dolorosa è che tu non puoi farci nulla. Non puoi (e non sta a te) educarli. La verità è che tu non puoi controllare cosa gli altri pensano di te, ma puoi decidere di allentare dei fili, costruire confini sani e pieni d’amore… per te stesso.
Diventa ciò che desideri: l’affermazione personale
Durante la nostra crescita ci adattiamo ai legami assumendo il punto di vista altrui. I nostri genitori, involontariamente, non ci insegnano ad auto-affermarci, a soddisfare i nostri bisogni e metterci al centro delle nostre vite. Se non siamo soddisfatti di noi, semplicemente, ci sono mancati gli apprendimenti giusti. Nel legame genitore-figlio impariamo piuttosto come appagare gli altri, come far sentire gli altri compresi e accettati e -ahimé- a volte anche come mettere gli altri al centro della nostra vita. Se hai voglia di affermare te stesso e compiere finalmente gli apprendimenti giusti, ti consiglio la lettura del manuale di psicologia «d’Amore ci si Ammala, d’Amore si Guarisce», è il libro più consigliato dagli psicoterapeuti. Puoi trovarlo in tutte le librerie o su Amazon, a questa pagina.
Autore: Anna De Simone, psicologo esperto in neuropsicobiologia
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