Esistono molte teorie e definizioni del termine psicopatico. Nel presente articolo mi soffermerò a parlare dello psicopatico ad alto funzionamento, anche definito da alcuni autori come psicopatico di successo (Yang et al., 2005; Ishikawa et al., 2001) e fa riferimento, per molte sfumature, alla cosiddetta psicopatia primaria.
Per intenderci, quello di psicopatia secondaria è un pattern comportamentale (e neurobiologico) che si accosta più al disturbo antisociale di personalità presente nel DSM fin dal 1980, quando nel manuale furono inseriti per la prima volta i disturbi di personalità. La psicopatia secondaria è caratterizzata da alti livelli di impulsività, irresponsabilità e mancanza di pianificazione, mentre lo psicopatico primario (o psicopatico ad alto funzionamento) mostra uno stile di personalità insensibile, manipoaltivo e con tratti narcisistici (Newman et al., 2005).
Che sia ad alto o a basso funzionamento, lo psicopatico sente il bisogno di mantenere una posizione di potere e controllo così da non sentirsi mai subordinato all’altro, ha bisogno di mantenere una percezione positiva di sé e ridefinire costantemente la sua idea di realtà, idealizzando se stesso a discapito degli altri che sono visti come strumenti da utilizzare.
La differenza tra lo psicopatico di successo (ad alto funzionamento) o lo psicopatico di insuccesso (a basso funzionamento) sta nel controllo degli impulsi e nell’inibizione. In contrasto con gli psicopatici di successo che mostrano un funzionamento cognitivo normale o addirittura superiore alla media, gli psicopatici di insuccesso hanno carenze nell’elaborazione cognitiva che li rendono più inclini alla disinibizione comportamentale e alla violenza palese (Gao e Raine, 2010).
In altre parole, lo psicopatico di insuccesso è una persona disinibita, impulsiva, con un costante bisogno di stimoli, facile alla noia, mancanza di obiettivi realistici, discontrollo degli impulsi, elevata reattività e aggressività (…). Sia lo psicopatico di successo che lo psicopatico di insuccesso, mostrano uno stile di vita parassitario, cioè la tendenza a sfruttare il prossimo per auto-realizzarsi.
Lo psicopatico di successo
Robert Hare, autore che studia la psicopatia fin dagli anni ’80, ha stilato una questionario composto da 20 item denominato Psychopathy Checklist Revised (PCL-R), tale questionario è molto usato in ambito giuridico-forense, per la perizia dei criminali. Ricerche approfondite che hanno fatto uso di questa checklist, hanno evidenziato che la psicopatia si articola in quattro dimensioni (Hare et al, 2012). Nell’elenco che segue, mi ispirerò alle dimensioni dell’autore citato riportando solo le caratteristiche che contraddistinguono lo psicopatico di successo.
- La dimensione interpersonale riflette uno stile di personalità caratterizzato da affabilità / fascino superficiale, un senso grandioso di valore, menzogna patologica, e la manipolazione persuasiva degli altri.
- La sfera affettiva riflette tratti come mancanza di rimorso o senso di colpa, insensibilità, affettività superficiale, incapacità di assumersi la responsabilità del proprio comportamento.
- Uno stile di vita parassitario.
- La dimensione dell’antisocialità: la strumentalizzazione dell’altro. Gli altri sono oggetti di cui servirsi per perseguire obiettivi di controllo, potere e denaro.
Secondo diversi autori (Hall & Benning, 2006), tra gli psicopatici ad alto funzionamento figurano spregiudicati uomini d’affari o della finanza, avvocati manipolatori, predicatori invasati, abili truffatori e politici corrotti. In effetti è vero, basterà pensare alla celebre frase «non tutti gli psicopatici sono in prigione. Alcuni di loro siedono in consiglio di amministrazione» (Babiak et al, 2010, p. 174).
«Il mio capo è uno psicopatico»
Babiak e colleghi hanno studiato la personalità di 203 manager aziendali impiegati in aziende statunitensi di successo. Nel contesto della valutazione hanno usato il questionario PCL-R; la maggior parte dei partecipanti ha ottenuto punteggi nel range della norma ma il 4% dei partecipanti mostrava un punteggio al di sopra della soglia per la psicopatia.
Tra coloro che mostravano punteggi più elevati, figuravano persone con posizioni di maggior potere (due vicepresidenti, due direttori generali, due dirigenti e due responsabili). Se 8 persone su 203 vi sembrano poche, provate a pensare a quante posizioni di potere vi sono in Italia, il 4% rappresenta una percentuale molto significativa. In Italia le aziende private che hanno dirigenti sono circa 27 mila per un totale di 125 mila dirigenti attivi (fonte dati: federazione italiana dei dirigenti, quadri e professional del commercio). Significherebbe avere, in posizione di potere, circa 5.000 persone con personalità psicopatica.
Certo, i tassi riferiti per l’Italia sono solo fittizi, in quanto non sono stati condotti studi di prevalenza tra la popolazione manageriale italiana e nulla ci dice che il campione studiato da Babiak e colleghi in USA possa essere sovrapponibile a quello italiano, ma sarebbe interessante condurre uno studio analogo (portarlo a termine, è tra i progetti futuri di Psicoadvisor).
Lo psicopatico nel mondo del lavoro
Nota Bene. L’indagine condotta da Babiak e colleghi nel 2010, ha evidenziato che i tassi di psicopatia possono essere più elevati all’interno dei campioni aziendali (4%) rispetto a quelli tratti dalla popolazione generale (1%). Qualità come il senso di grandiosità tipico dello psicopatico, nei contesti aziendali, potrebbe essere confusa con la capacità di leadership. Analogamente, la freddezza e l’insensibilità tipica dello psicopatico potrebbe essere percepite come una buona tolleranza allo stress in contesti in cui si è spesso portati a dover prendere decisioni difficili e impopolari (come licenziare o demansionare un impiegato qualificato).
Secondo alcuni dati (Dutton, 2013), si può concludere che gli psicopatici di successo siano attirati dagli impieghi caratterizzati da:
- Buona remunerazione
- Prestigio sociale
- Poca o nulla supervisione
- Massima autonomia (no supporto/aiuto agli altri)
- Potere
- Posizioni che necessitano di buone capacità cognitivo-esecutive
Secondo le analisi condotte da Dutton, gli psicopatici ad alto funzionamento sarebbero attratti dal mondo dell’alta finanza ma non solo, mediante la sua ricerca ha stilato una classifica degli impieghi a più alta percentuale di psicopatici:
- CEO (contesti aziendali)
- Avvocati
- Media (es. presentatori TV e giornalisti)
- Chirurghi
- Ufficiali di polizia
- Clero
Al contrario, tra gli impieghi che vedono le più basse prevalenze di psicopatici vi sono quelle volte alla cura: infermieri, terapeuti, operatori di beneficenza, ma anche artigiani, artisti creativi, insegnanti e contabili.
Nota bene. Non tutti gli psicopatici di successo riescono a ottenere ruoli manageriali o di potere e quando non ci riescono tendono a compensare sfruttando al massimo le relazioni interpersonali. Ricordiamoci che tra le caratteristiche di base vi è il parassitismo.
Lo schema comportamentale dello psicopatico nelle relazioni interpersonali e sul lavoro
Le strategie messe in atto dallo psicopatico ad alto funzionamento nel luogo di lavoro e nelle sue dinamiche interpersonali seguono un copione standard che può essere così descritto: inizialmente lo psicopatico si crea una rete sociale instaurando ottime relazioni persona per persona, soprattutto con individui che egli ritiene rilevanti e utili per la sua scalata.
Nell’instaurare questa rete, è molto attento a evitare dinamiche di gruppo: le relazioni sono sempre isolate così da poter mantenere facciate multiple e usare stili di personalità ad hoc per ammaliare e manipolare l’altro. Per isolare la persona di cui ha bisogno o semplicemente per tentare di emergere, lo psicopatico innesca deliberatamente conflitti tra gli altri, lo fa condividendo informazioni ottenute dai legami o semplicemente mentendo.
Il conflitto porta all’isolamento sociale. L’isolamento degli altri è una strategia che funziona sempre. Quando l’altro è solo, non ha risorse e diviene più facile da manipolare per un proprio tornaconto. Quando lo psicopatico ritiene che l’altro non possa più servirgli, semplicemente, lo abbandona! Lo ignora, lo esclude oppure lo costringe ad allontanarsi autonomamente rendendogli la vita un inferno.
Lo psicopatico è consapevole dei danni che provoca?
Lo psicopatico potrebbe anche comprendere razionalmente che cosa l’altro prova ma non riesce a entrare in risonanza con quei sentimenti. Questo può dare allo psicopatico la surreale libertà di ferire gli altri a suo piacimento perché non essendoci risonanza interna (qualcosa di molto simile all’empatia) non sente il danno. In ogni caso, la questione non dovrebbe ricadere sulla consapevolezza, ma sull’interesse: allo psicopatico non interessa ciò che sperimenta l’altro.
Lo psicopatico è tutto eccetto che figo
I media e le serie tv, stanno sdoganando un modello di psicopatico che si fa pure ammirare. Il modello più proposto è quello del narcisista dagli spiccati tratti psicopatici. In realtà non c’è niente di ammirevole in tutto questo: moralismi a parte. Senza fingere perbenismi e indignazioni circa le sue condotte antisociali, possiamo soffermarci a pensare alla sua vita interiore. Lo psicopatico ha una vita interiore completamente appiattita.
Una persona tipica nutre bisogni di vicinanza, di condivisione, ma anche di auto-affermazione, può perseguire tutti questi scopi simultaneamente. La persona tipica riconosce che anche gli altri hanno dei bisogni e impara che può perseguire i suoi obiettivi nel pieno rispetto dei bisogni altrui. Conosce e vive l’intera gamma emotiva.
La mente dello psicopatico non funziona così: la sua condotta è portata alla sopraffazione dell’altro, all’acquisizione di un posto che gli spetta perché la vita, per lui, è solo una giungla e nella giungla vince il più feroce. Lo psicopatico non sente bisogni di vicinanza e condivisione, la sua vita emotiva è estremamente impoverita e questo non è affatto figo.
Come funziona il cervello di uno psicopatico
Lo psicopatico a basso funzionamento presenta un’iperattività dell’amigdala e un’ipoattività a livello della corteccia prefrontale, in particolare della corteccia prefrontale dorsolaterale (la sede, tra le altre cose, del controllo degli impulsi e del controllo delle emozioni). Al contrario, lo psicopatico ad alto funzionamento non presenta deficit frontali ma nel cosiddetto connettoma e presenta livelli minimi di attivazione del sistema nervoso autonomo.
Come non farsi sopraffare e proteggersi dai tentativi manipolatori
Il modo migliore per fronteggiare un persona con caratteristiche ascrivibile alla psicopatia è… allontanarsi. Se sembra facile da dirsi, questa soluzione non sempre è fattibile. Allora come fare? Sembra un paradosso ma il modo migliore per proteggersi dagli altri non è tentare di controllare i loro comportamenti, piuttosto concentrarsi su di sé, sulle proprie reazioni e trovare il modo di disinnescare ogni attrito o tentativo manipolatorio sul nascere.
In termini interpersonali, a separarci dagli altri ci sono dei “confini invisibili” che noi involontariamente poniamo mediante l’affermazione del sé. Affermando se stesso, ognuno di noi comunica implicitamente agli altri cosa è disposto e non disposto a tollerare. È importante sottolineare il termine “implicito” perché tale regolazione interpersonale è per lo più inconsapevole… ma esiste eccome!
Quando sentiamo che gli altri ci stanno mancando di rispetto -sul lavoro, nella vita sentimentale o in famiglia-, probabilmente uno dei nostri confini sta vacillando perché a monte non c’è una forte affermazione di sé e della propria identità come persona completa e degna di rispetto e stima. Se hai voglia di lavorare su te stesso e affermarti in ogni rapporto interpersonale che instauri, potrebbe essere molto utile il bestseller «d’Amore ci si ammala, d’Amore si Guarisce». Non farti ingannare dal titolo, non si tratta di un libro per cuori infranti ma del testo sulla crescita personale più consigliato dagli psicoterapeuti. Puoi trovarlo su amazon o in qualsiasi libreria (verte su 35 pubblicazioni scientifiche e presenta una serie di strumenti ed esercizi per l’introspezione e l’affermazione di sé).
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