Segnali tipici di chi è cresciuto con genitori invischianti

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Dott.ssa in biologia e psicologia. Esperta in genetica del comportamento e neurobiologia. Scrittrice e founder di Psicoadvisor

Essere figli adulti di genitori invischianti è estremamente difficile. Lo è perché non si può contare sulla comprensione di nessuno, lo è perché bisogna affrontare ogni girono il mito genitoriale, quello per il quale «devi tutto ai tuoi genitori» anche se loro per te hanno fatto meno dell’indispensabile. È difficile perché se sono invischianti oggi che sei adulto, lo sono stati anche quando eri un bambino e questo certamente ti ha segnato. Ma proseguiamo per gradi, cosa s’intende esattamente per «genitori invischianti»?

Genitori invischianti e pecore nere

In psicologia, il concetto di invischiamento è usato per descrivere i sistemi familiari in cui i confini personali sono diffusi. Secondo questa visione, un figlio può rimanere invischiato nei bisogni del genitore, intrappolato per sempre -o quasi- in un ruolo che gli è stato imposto e, a causa del quale, quel bambino avrà perso la capacità di autodirezionarsi. Il bambino, una volta diventato adulto, rimarrà il contenitore dei bisogni genitoriali. All’apparenza i genitori sembreranno eccessivamente apprensivi e trasmetteranno un vissuto di controllo e invadenza nella vita del figlio. Il figlio, anche una volta adulto, si ritroverà a vivere una vita che non lo rappresenta, perché fortemente condizionata dalla presenza ingombrante del genitore.

Un ulteriore risvolto dell’invischiamento è che, quando si raggiunge un certo grado di disfunzionalità, il figlio può diventare il capro espiatorio della famiglia o… il paziente designato. Avete mai notato che in alcune famiglie sembra esserci lo «sfigato» di turno? A volte viene trattato come un “oggetto ingombrante”, “difettoso” e altre volte sono i genitori a fare pressioni per mandarlo in terapia ritenendo che il lui ci sia qualcosa “che non va”.

Dopo qualche seduta, emerge subito che quel membro della faglia è il “paziente designato”, cioè colui che è divenuto -nel tempo- espressione dei conflitti interiori di ogni membro della famiglia. È il bersaglio tipo: concentrandosi tutti su quel bersaglio, gli altri membri della famiglia distolgono l’attenzione dall’evidente elefante che hanno in casa, di cui nessuno può parlare. In più, la presenza di un “paziente designato”, di un capro espiatorio da rendere protagonista di ogni frustrazione, distoglie l’attenzione anche dalla serie di abusi nascosti che si consumano tra gli stessi membri della famiglia.

Il paziente designato è una sorta di diversivo. A volte è il ribelle, a volte l’esiliato, altre volte quello che si fa carico di tutto ma che viene ugualmente colpevolizzato. Non sempre il «paziente designato» è un figlio, talvolta può essere anche un genitore. Nelle famiglie disfunzionali a più complessità, potrebbero crearsi dei sottosistemi familiari, delle alleanze. In questi contesti, gli abusi emotivi (e talvolta anche fisici) possono raggiungere livelli altamente lesivi. Se temi di essere cresciuto con un genitore invischiante, leggi quanto segue e ascolta dentro di te cosa fanno risuonare le varie descrizioni.

1) Legame di amore e odio con il genitore

Quando i genitori sono supportivi, il figlio acquisisce la giusta sicurezza per allontanarsi gradualmente dalla sue figure di riferimento e creare la propria autonomia. Al contrario, quando i genitori sono invischianti, il figlio non acquisisce nessuna sicurezza e allora possono verificarsi due scenari.

  1. Il figlio sente il bisogno di allontanarsi il più possibile dal nucleo familiare, tuttavia non riesce a emanciparsi e ne subisce ancora l’influenza tanto che può operare delle vendette trasversali (fare all’esatto opposto di ciò che desiderano i genitori. Ma fare l’opposto di ciò che vuole qualcuno, non coincide con “fare ciò che vuole lui/lei).
  2. Quel figlio si fa carico degli stati emotivi genitoriali, si assume più responsabilità del dovuto ma dentro di sé nutre emozioni di mancata considerazione. Quel figlio non si sente compreso, ne’ stimato perché, di fatto, dalla sua nascita, non è mai stato considerato come un organismo a sé.

In entrambe le casistiche, non c’è un vero “svincolo” perché le figure genitoriali hanno costantemente ostacolato il processo di individuazione della prole. Questo può innescare un legame di ambivalenza con genitori e in particolare con il genitore invischiante che viene al contempo amato e odiato.

2) Il controllo

Il genitore invischiante non consente ai figli (ma in realtà neanche al partner) di esplorare il mondo in autonomia, pertanto attua sofisticate strategie di controllo più o meno esplicite, agisce soprattutto su sensi di colpa, ricatti morali e minando l’autostima dell’altro. Il genitore invischiante non crea legami sicuri ma crea vincoli, non dà libertà ma concede condizioni, non dà amore ma crea bisogni… Il messaggio che veicola costantemente suona più o meno così: «tu non vali ma io ti amo lo stesso». Un messaggio agghiacciante perché crea confusione, dissonanza e ambivalenza. Da un lato il figlio si sentirà svilito e umiliato e, dall’altro, “consolato”… peccato che il presupposto di partenza è errato: è solo il genitore a instillare nella mente del figlio il senso di “non valere”.

3) Non puoi imparare dai tuoi errori

Al figlio non viene concessa la libertà di sbagliare, di soffrire o correre rischi. È importante ricordare che al figlio a cui non viene concessa la libertà di correre il rischio di soffrire e sbagliare, non verrà nemmeno concessa la possibilità di imparare a gestire il dolore della separazione, a imparare dai propri errori e a ritentare.

A chi non è stato concesso il lusso di sbagliare, gli è stato “imposto” una sorta di immobilismo: non faccio per non sbagliare, non mi espongo, evito… e, a ogni errore commesso, anche il più piccolo, quel figlio sarà paralizzato nell’autocolpevolizzazione cosicché non potrà mai imparare. Quel “auto-colpevolizzarsi” distoglierà l’attenzione da ciò che avrebbe potuto apprendere. Anche in questo caso, la traiettoria può assumere un secondo scenario: il figlio a cui non è stata concessa la libertà di sbagliare, potrebbe non autocolpevolizzarsi scaricando però tutte le colpe sugli altri. L’effetto è lo stesso: focalizzandosi sul colpevole, ci si precluderà la possibilità di imparare dai propri errori.

4) Priorità che fanno male

Se non sei scappato e non sei riuscito a costruire sani confini, probabilmente ancora oggi, resti il centro del mondo del genitore invischiante. Idealmente, crescendo, il partner e la famiglia che costruisce, dovrebbero diventare le tue priorità nella vita (insieme a te stesso!). Chi è cresciuto con genitori invischianti, la famiglia d’origine diviene un problema. Possono crearsi faide, guerre di potere e problemi nei quali ti senti combattuto. In realtà, in un contesto normale, non dovresti mai dover scegliere se dare più spazio a una persona amata o all’altra. Questo si verifica solo quando qualcuno pretende più di quanto tu possa dare.

5) Il genitore invischiante non sopporta che tu faccia di testa tua

Il genitore invischiante non sopporta che tu sia diverso da lui/lei, allora farà in modo di enfatizzare ogni vostra somiglianza -anche inesistente- («siamo uguali», «hai preso da me…», «stai facendo tutto ciò che volevo fare io..») oppure, al contrario, troverà un modo per farti pesare le tue diversità. Questo concetto può essere reso fruibile con un esempio pratico.

Una figlia di una madre invischiante potrebbe non tagliare mai i capelli perché ha “assimilato” che la madre la desidera con i capelli lunghi. Se la figlia dovesse tagliare i capelli, la madre invischiante si comporterà come se quel gesto avesse ancora bisogno di un’approvazione. Non la vivrà come una normalissima scelta di una figlia ormai adulta ma come un tradimento! Come se tutto ciò che fa quella figlia, dovesse essere preventivamente approvato.

6) Il vincolo dell’approvazione

Ho appena sollevato un tema cardine. L’approvazione. I figli di genitori invischianti sono alla costante ricerca di una convalida esterna perché, di fatto, non hanno mai imparato a convalidare se stessi. Il concetto di convalida, in psicologia, è molto importante. Convalidarsi significa sapere che ciò che provi e che pensi ha un senso, ha un significato e soprattutto, ha un valore, significa sapere che tu hai un valore. Purtroppo chi è cresciuto con un genitore invischiante non è mai riuscito ad apprendere questa verità. Allora potrebbe desiderare di essere chiunque altro ma non se stesso.

Quando il figlio smette di assecondare il vincolo dell’approvazione è qui, in questo momento, che diviene la pecora nera, il paziente designato di cui parlavo prima.

7) Compete con il tuo partner

Il genitore invischiante è completamente privo di maturità affettiva quindi può cadere in giochi competitivi davvero sciocchi. Può competere addirittura con il tuo partner. Il tuo partner, infatti, è visto e vissuto come una minaccia dal genitore invischiante. Pensa che il genitore invischiante è assetato di controllo e, fin da bambino, ahimé, ti ha manipolato. Quindi, vede il tuo partner come un competitor, qualcuno che può “togliergli il suo possesso” il suo “approvvigionamento”. Allora cosa fa? Prende decisioni per te, interferisce e cerca di avere voce in capitolo anche nella tua vita sentimentale. Un vero incubo. Ovviamente questa situazione, se non ben gestita, può far sentire il tuo partner alienato. A volte, il genitore invischiante può addirittura arrivare a criticare apertamente e umiliare il tuo partner mancando di rispetto a te e a lui/lei, e poi, accusandoti se non prendi posizione (a sua favore, ovviamente!).

Come uscirne?

Una volta adulti, è davvero arduo spezzare il modello invischiante. Pensa che tu, fin da bambino, non hai assolto il classico ruolo di figlio ma hai avuto una funzione tutt’altro che nobile, quella di soddisfare tua madre (o tuo padre, a seconda dei casi). Diventare consapevoli che l’amore che meritavi non ti è mai stato concesso, può essere molto doloroso, perché di fatto, quando un genitore “usa il figlio” per soddisfare i propri bisogni, non lo sto amando ma appunto, lo sta usando. Per uscirne hai bisogno di lavorare su te stesso, il motivo? Prima ho scritto che «da bambino non hai potuto assolvere al classico ruolo del figlio», sai quale ruolo dovrebbe assolvere un bambino? Dovrebbe dare alla luce un adulto sicuro di sé, consapevole dei propri confini e soprattutto, del proprio valore.

Se hai voglia di rivendicare il tuo valore di persona degna di stima, indipendente e autonoma, se vuoi costruire confini sani e a prova di invischiamento, ti consiglio di leggere il mio libro bestseller «d’Amore ci si ammala, d’Amore si Guarisce», ha già aiutato decine di migliaia di «figli non amati» a ritrovare se stessi e affermare la propria identità! Il libro è disponibile in tutte le librerie e su Amazon, a questo indirizzo.

Nota bene. Chi è cresciuto in famiglie invischiate può considerare la relazione genitore-figlio come un obbligo o un onere e, quando raggiunge l’età adulta, cerca relazioni che perpetuano questa dinamica. Quindi lavorare su te stesso, farà bene anche alla tua vita sentimentale.

Autore: Anna De Simone, psicologo esperto in psicobiologia
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