Non si può negare: la fine di una relazione d’amore è tremenda. Affermare che causa dolore è riduttivo perché più che semplice dolore, innesca un’angoscia che può pervadere diverse dimensioni della vita. Rompere una relazione di lunga data segna un’interruzione nella propria identità, dei progetti fatti, del modo di vivere quotidiano, oltre che, ovviamente, la perdita dell’altro. Con quel legame spezzato, muore il senso di appartenenza ed emergono tutte le nostre vulnerabilità. Già, la fine di una storia è un po’ come un banco di prova, un attento esame di verifica delle risorse personali, perché facendo riemergere tutte le ferite (presenti e passate), mette alla prova l’intera tenuta emotiva dell’individuo.
Quando perdiamo qualcuno, il nostro mondo interiore viene scosso, come travolto da un terribile tsunami. Sta a noi ricostruire, sta a noi ridefinire la nostra identità e ristabilire un nuovo equilibrio. Un po’ come avviene in tutte le ricostruzioni, la fine di una relazione, per quanto tragica possa essere, ci dà sempre l’opportunità di ripartire da noi, da quelli che sono i nostri nuovi bisogni e costruire fondamenta più solide.
Le 5 fasi della fine di una relazione
Quando una storia finisce, anche se la separazione avviene nel migliore dei modi, possono sempre emergere vecchie ferite di attaccamento. La ferita del rifiuto, del tradimento, del fallimento… Ferite che possono attivare (o riattivare) antiche credenze su se stessi, credenze che talvolta risuonano così: «se la storia è finita, significa che io non sono abbastanza, che sono un fallimento, che sono inutile, non valgo nulla, non ho senso senza di lui/lei…».
Vergogna, senso di colpa, impotenza e paura emergono dirompenti. Chiariamo una cosa: una storia giunta al capolinea non definisce il tuo valore personale. Il tuo valore rimane intatto anche se sei solo. Se non è quello che senti, sappi che ti capita perché non hai mai avuto l’opportunità di conoscerti per davvero e di definirti come persona completa. Anche se ogni storia presenta molte variabili, lo scompiglio che porta sembra innescare un andamento composto da più fasi. Non vi è una linearità, le fasi possono alternarsi tra loro e riproporsi anche in modo ciclico. Vediamole insieme.
1. Ambivalenza
Questa fase prende in eredità uno dei vissuti tipici delle relazioni disfunzionali: l’ambivalenza. Quando viviamo una relazione che non ci soddisfa, ci poniamo spesso una domanda: non sarebbe meglio lasciarsi? Domanda che rimane senza risposta perché, altrettanto spesso, nessuno dei due riesce a prendere iniziativa. In questo caso, ci sono buone probabilità che la relazione finisca quando uno dei partner trova un rimpiazzo o quanto si raggiungono livelli di malessere insostenibili.
Al termine della relazione l’ambivalenza si palesa con giorni negativi, ricchi di nostalgia, e giorni positivi, in cui si è contenti della perdita. Spesso questi due stati convivono e la persona finisce ancora per vivere sentimenti contrastanti. La confusione dilaga e ci si sente smarriti. Per rifuggire da questo senso di smarrimento si cade in un errore cognitivo: rifugiarsi nei ricordi. Ecco che qualsiasi stimolo può riportare alla mente l’ex partner, episodi condivisi di gioia e di amore. Il tempo dei ricordi arriverà, ma non è questo. In questa fase, piuttosto, sarebbe utile fare un punto della situazione, ragionare sulla direzione che aveva intrapreso la relazione e su come si stava in coppia.
Ragionare sulla coppia non significa voler dare un senso a tutto. Le cose accadono e talvolta tutto ciò che possiamo fare per andare avanti è accettarle. Se ti sfugge la ragione per la quale la relazione è finita, puoi rassicurarti pensando che spesso le cose sfuggono ed è anche normale così. I punti di domanda irrisolti, ossessionandoti, non ti riporteranno indietro il tuo partner, non ti regaleranno una storia da favola. Lasciali pure irrisolti, lasciali andare.
2. Intorpidimento
Quando una persona custodisce dentro di sé bagagli scomodi, al momento della rottura, può attraversare una fase di distacco dalla realtà, in cui si sente intorpidita. L’intorpidimento, quella sensazione di «non può essere vero», in genere dura solo poche ore, in caso di malesseri preesistenti, può durare anche diverse settimane. Ci si sente increduli e intorpiditi, come se tutto non avesse senso.
3. Ricerca e umiliazione
Questa fase si verifica quando veniamo lasciati e non vogliamo accettare la realtà. L’altro diviene un’ossessione e viviamo con la speranza di un ritorno. Anzi, imploriamo per un ritorno e facciamo di tutto per riconquistarlo, anche umiliare noi stessi. Tale dinamica si verifica soprattutto quando l’individuo, con il partner, sente di aver perso una parte di sé, è chiaro che, in questa circostanza, più che di amore la relazione verteva su una vera e propria dipendenza affettiva. Tale fase non si conclude con l’accettazione o la rassegnazione, bensì con il senso di una ulteriore sconfitta e intorpidimento. Con ulteriore senso di colpa e vergogna.
4. Rabbia
La relazione è tenuta in piedi da due persone, entrambi dovrebbero fare la sua parte per mantenere l’unione. Quando non si cercano più colpe in se stesso, emerge la rabbia. La rabbia è generalmente rivolta verso il partner: come ha potuto farlo? La rabbia può essere ancora più dirompente quando il distacco avviene nel peggiore dei modi. Per esempio, una persona può essere lasciata mentre già sta attraversando un lutto o è in condizione di salute precaria, oppure può essere lasciata per un altro. In questi scenari la rabbia diviene persistente.
5. Senso di vuoto e dolore
Quando la fine è stata accertata, nasce un senso di vuoto, normale e fisiologico. Da qui si inizia a ripartire. Il vuoto lascia spazio al dolore e poi viceversa. È attraversare questo stadio che si elabora davvero ciò che è successo, è da qui che si può iniziare a chiudere il ciclo. La relazione termina ma finisce davvero quando la persona è pronta ad andare oltre. Andare oltre non significa gettarsi tra le braccia di un altro, piuttosto significa guarire dal dolore, risolversi, guarire le proprie ferite (quelle fresche, appena aperte con la rottura e quelle più vecchie, che rimandano alla propria storia di attaccamento, alle mancanze vissute nel passato).
6. Accettazione
Il dolore, vissuto e attraversato, compreso e assimilato, può spalancare le porte all’accettazione. È questo è il punto di non ritorno. Se in tutte le fasi precedenti potevi retrocedere e rivivere sensi di colpa, ansie, paure… quando si verifica un’accettazione matura, non si torna più indietro e questo è un bene! Accettare non significa solo prendere atto del bene perduto, di ciò che è stato, accettare significa ascoltare le proprie emozioni, guardare in faccia la realtà e riorganizzarsi in base a essa. Qui emerge un concetto molto caro alla psicologia ma trattato sempre con troppa superficialità, quello di resilienza.
La resilienza indica la capacità di fronteggiare e riorganizzare positivamente la propria vita a seguito di un evento traumatico. Cosa può lasciarti di positivo una rottura? Riflettici. Sei solo con te stesso. In fin dei conti hai te e tu sei il bene più prezioso di cui disponi in questa vita. Una rottura può far emergere vecchie ferite e questo può darti modo di conoscerti meglio. Cosa possono dirti di te le tue ferite? Cosa può raccontarti il tuo dolore? Una rottura, se ben gestita, può essere catartica, può regalarti la più grande occasione di rinascita. Perché sì, si nasce due volte, la prima volta quando vieni al mondo e la seconda quando inizi a conoscerti e volerti bene.
Puoi ricostruire il tuo “dopo” sfruttando il tuo dolore, ascoltando le tue paure e la rabbia residua di tutte le ingiustizie subite, di quei riconoscimenti mancati (…). Puoi ricostruire il dopo ripartendo dai tuoi bisogni, ascoltandoli e rispettandoli (e facendoli rispettare!). La fase di ricostruzione può segnare l’origine della tua nuova vita. È l’occasione preziosissima di riscoprire se stessi. A questo proposito ti consiglio caldamente di leggere il mio libro «D’Amore ci si ammala, d’Amore si Guarisce», un testo estremamente introspettivo, che ti guiderà alla scoperta di te e alla ricostruzione di un legame magico e profondo, quello con te stesso. Il libro bestseller lo trovi in tutte le librerie o su Amazon, a questo indirizzo. Il titolo? “D’Amore ci si ammala, d’Amore si guarisce”. Attenzione, non è un libro per cuori infranti, ma questo lo scoprirai leggendolo.
Autore: Anna De Simone, psicologo esperto in psicobiologia
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