Molti di noi crescono con aspettative irrealistiche e standard elevati, sia imposti dalla società che autoimposti. Ci confrontiamo costantemente con gli altri, misurando il nostro successo e il nostro valore in base a parametri esterni. Questo atteggiamento critico verso noi stessi può causare stress, ansia e una scarsa autostima. La radice del problema spesso risiede nell’insicurezza e nella paura del giudizio altrui. Oggi l’essere vincenti in ogni campo è diventato quasi un comandamento ineludibile, e le conseguenze sono davvero deleterie: ci si sente sempre sotto pressione e non all’altezza dei compiti che ci sono stati affidati e dei modelli di bellezza e successo che ci vengono imposti. Molte persone continuano a specchiarsi in modelli assurdi, fuori dalla propria portata e in questo modo l’autostima precipita e porta a considerare se stessi delle nullità.
”Credo sia questo il vero amore: avere l’impressione di stare al centro della propria vita, non ai margini. Nell’angolo giusto. Senza avere bisogno di sforzarsi per piacere all’altro, restare se stessi.” Adoro tanto questa citazione della scrittrice Katherine Pancol; ritengo racchiuda appieno il concetto dell’amor proprio. Spesso, infatti, la causa primaria della nostra insoddisfazione e frustrazione personale è da ricondurre all’assenza di amore per se stessi. Certo! Imparare ad amare se stessi è un processo lungo e complesso ma necessaria se vogliamo aprirci al mondo e vivere una vita appagante. Tuttavia, è doveroso fare una premessa: amarsi non vuol dire avere un ego spropositato, bensì conoscersi a fondo e prendere coscienza dei propri pregi e dei propri difetti, delle proprie capacità e dei propri limiti, imparando a gestirli con equilibrio.
Perché siamo sempre insoddisfatti di noi stessi?
L’amore per se stessi si raggiunge attraverso la consapevolezza di ciò che sentiamo e pensiamo di noi stessi. In effetti, se ci pensi bene, di tutti i giudizi che vengono pronunciati su di noi durante la vita, il più importante, (e a volte il più critico), è proprio il nostro. Per esempio, potrei sentirmi molto amata in famiglia, dal partner, dagli amici, godere di ammirazione e stima da parte dei colleghi di lavoro e nonostante ciò non sentire amore per me stessa o non ritenermi meritevole di tutta la considerazione e stima che gli altri mi attestano.
Addirittura, potrei aver corrisposto pienamente alle mie aspettative e tuttavia non essere soddisfatta di me, oppure aver conseguito traguardi notevoli e sentire che non è abbastanza o che non ho realizzato niente di quello che effettivamente volevo. Oppure potrei essere considerata dagli altri come persona equilibrata e sicura di se e invece sentirmi del tutto inadeguata. Ecco, in tutti questi frangenti, più che da elementi oggettivi, o da giudizi altrui, ciò che mi rende insoddisfatta di me stessa e di quanto ho fatto, è appunto il giudizio, il valore che io mi do.
L’amore per se stessi passa per l’accettazione
L’accettazione di sé è fortemente legata all’autostima, sono due facce della stessa medaglia: più ho autostima, più mi accetto. E più mi accetto, più ho autostima. Avere una buona autostima, quindi giudicarsi e pensarsi in termini favorevoli, agisce come una sorta di sistema immunitario dello spirito: ci consente di affrontare in modo efficace le sfide della vita e di attingere a capacità di ripresa qualora ci si confronti anche con gli inevitabili insuccessi. Viceversa, una considerazione negativa di se stessi può determinare un maggior timore nell’affrontare i problemi e le circostanze della vita e una minore capacità di recupero di fronte agli insuccessi.
Accettarsi equivale a sentirsi accettati
Accettarsi dunque passa attraverso l’esperienza dell’essersi sentiti accettati che produce una visione positiva di noi stessi, che aiuta la nostra autostima e ci aiuta a crescere come persone indipendenti, capaci di accettare a nostra volta l’altro e di relazionarsi con il prossimo in modo paritario, da persona a persona.
Se invece il nostro bisogno di accettazione positiva viene frustrato, rimane un vuoto che cercheremo di riempire. Nelle relazioni di coppia questo vuoto è particolarmente forte, si attiva intensamente, al punto che per essere accettati saremo pronti a sacrificare ogni cosa di noi, alla ricerca dello sguardo e del riconoscimento dell’altro.
Entrambe queste posizioni tendono a rafforzarsi e a perpetuarsi
Più ci stimiamo più sentiamo il bisogno di esprimere la nostra ricchezza interiore e di confrontarci con gli altri. Quando invece ci sottovalutiamo diventa più difficile portare avanti le proprie idee, esprimere i propri sentimenti e in ultima analisi entrare in relazione con gli altri.
Ma attenzione, come già sottolineato, la stima che abbiamo di noi, non dipende dal giudizio o dall’approvazione degli altri. La stima di sé è un qualcosa che tocca gli aspetti più profondi e intimi della nostra persona essendo connessa sia al percepirsi come individui competenti, quindi capaci di affrontare la vita, di imparare, scegliere e prendere decisioni adeguate, sia al percepirsi come persone degne di essere amate.
Imparare ad accettarci e a volerci bene con i propri difetti ci consente di gettare le basi per la vera realizzazione di noi stessi
Non accettarsi significa sentirsi eternamente inadeguati e sbagliati in qualsiasi contesto, senza nemmeno capire il perché, il che significa avere difficoltà a interagire con il mondo. Quando invece ci accettiamo per ciò che siamo e di conseguenza ci sentiamo a nostro agio i problemi di insicurezza e la paura del rifiuto spariscono quasi automaticamente. Ci sentiamo socialmente più sicuri!
Siamo portati a credere che se si è timidi o introversi “l’accettarsi” comporti molte rinunce. In realtà il paradosso curioso è che “quando accetto me stessa così come sono, allora posso cambiare”. Non ostinarsi a essere qualcosa di diverso da ciò che siamo, permette il cambiamento. Accettare ciò che ci spaventa non significa rassegnarsi o tollerare, ma vuol dire riconoscere totalmente il problema.
Dopo aver compreso le cause della nostra sofferenza si passa alla fase successiva: l’accettazione emotiva, ovvero accettare l’emozione negativa che scaturisce quando pensiamo all’evento che ci fa stare male. A questo punto, l’accettazione dell’emozione negativa porta a un calo progressivo dell’attivazione emotiva fino a quando non sparisce totalmente. Questa fase sarà superata solo nel momento in cui, rievocando la situazione critica, l’emozione che riecheggia non sarà più disturbante.
Il caso clinico di Maria
Nell’arco della nostra vita ci sarà capitato di incontrare persone con una grossa disabilità oppure con un difetto fisico evidente; può essere un familiare, un amico, conoscente, o una persona incrociata per strada per qualche secondo. Persone che difficilmente possono modificare la loro condizione. Noteremo che tra queste persone alcune sono felici e altre meno. Quelle felici, quelle che possono dire di stare bene, sono le persone che nonostante la situazione invalidante, hanno accettato la loro condizione; difficile, complicata, dolorosa, ma non modificabile.
Uso un caso clinico, per spiegare come il nostro benessere è legato soprattutto al nostro approccio alla vita, piuttosto che alle condizioni esterne. L’accettarsi infatti ha molto a che fare con l’interiorità, molto poco con l’esteriorità (intesa sia come aspetto fisico, ma anche come successo, vita sociale, comportamenti, etc.). Maria era una donna obesa e, a causa della sua obesità, non riusciva ad accettarsi. La mancata auto-accettazione, costituiva un fattore di mantenimento per l’obesità di Maria, infatti, la donna falliva ogni tentativo di perdere peso.
Il concetto di accettazione racchiude in sé un paradosso: solo quando riusciamo ad accettarci possiamo andare incontro a un cambiamento; per Maria, quel cambiamento stava nel fisico quanto nella mente. Le aveva provate tutte, dal nutrizionista al gastro-enterologo, dalla palestra alle diete con il sondino… anche se in un primo momento una dieta sembrava avere successo, Maria riprendeva peso e tornava al punto di partenza. Riconoscendo i suoi schemi di comportamento disfunzionali, Maria decise di intraprendere un percorso di psicoterapia. Durante le sedute, Maria riferiva di sentirsi una fallita perché non riusciva a perdere peso… ma in realtà, l’aumento di peso era stata una conseguenza del suo “sentirsi una fallita”.
La storia familiare di Maria poteva chiarire il tutto: nel sentirsi una fallita, aveva interiorizzato la visione della madre. La madre di Maria era una donna anaffettiva che sviliva e disprezzava costantemente i figli. Così Maria si era convinta di essere degna di disprezzo ed era diventata una donna svilita.
Il suo peso era diventato invalidante, non erano i chili di troppo a pesare ma la scarsa opinione che aveva di sé: preferiva rimanere in casa per non farsi vedere dagli amici, procrastinava incontri e rinunciava a molte occasioni di vita. Lavorando sulle sue credenze, Maria ha poi iniziato ad accettarsi nonostante il suo peso corporeo e, finalmente, a non procrastinare il piacere: si concedeva tutte le uscite con gli amici mettendo da parte quel senso di “fallimento” che l’aveva accompagnata fino a quel momento.
Il vero segreto non era perdere peso ma accettarsi, accettare le proprie debolezze, capire che si è degni di avere un posto nel mondo… anche se un genitore, quel posto, ce l’ha sempre negato. Se ci giriamo intorno, possiamo vedere persone magre, grasse, persone con un naso aquilino o “a patata”, ci sono poi persone in perfetta forma così come portatori di handicap… Volendo analizzare il tutto con una visione più ampia, possiamo dire che nel mondo esistono persone soddisfatte di sé e persone insoddisfatte, persone tendenzialmente felici e persone tendenzialmente infelici… in altre parole, ci sono persone che si accettano e persone che non si accettano.
Il paradosso è questo!
Solo accettando pienamente i propri limiti si può trovare quel benessere che ci conduce al miglioramento, solo sapendo di meritare quel miglioramento, riusciamo a concedercelo. Oggi Maria è leggermente in sovrappeso, è riuscita a concludere con successo una delle tante diete iniziate… ma il suo peso non costituisce più un fattore limitante.
Concediti di essere quello che sei in ogni istante anche se non sei come vorresti
Anche se la vita che hai vissuto fino ad oggi non è stata soddisfacente, questo non significa che tu non possa cambiarla. Tutti facciamo scelte sbagliate: se, tuttavia, continui ad autopunirti per ciò che hai fatto non concluderai nulla di buono.
Se continui ad odiare il tuo lavoro, la tua casa, la tua città o il tuo partner potrai cambiare poco nella tua vita. Indipendentemente dal tipo di situazione negativa in cui ti trovi, sappi che il cambiamento vero inizia dall’accettazione della tua realtà. E ricorda sempre…Se vuoi essere, sarai, se non lo sei, è solo perché tu, NON lo hai voluto.
Il lusso di sentirsi liberi, sempre
In qualsiasi ambiente, dovremmo concederci sempre il lusso di sentirci a nostro agio. Certo, il make-up, le griffe, in un corpo in forma, possono essere fonte di sicurezza, ma dobbiamo ricordarci che in nessun caso dovrebbero essere l’unica fonte di sicurezza. In nessun caso dovremmo apprezzare noi stessi in base a quanto riteniamo di essere apprezzabili dagli altri! Ognuno di noi, uomo o donna che sia, ha un suo valore intrinseco, è unico, speciale, irripetibile. Dovrebbe bastarci questa consapevolezza a farci stare bene con noi stessi.
Se non ci accettiamo, non significa che siamo inaccettabili! Significa solo che non abbiamo avuto la possibilità di completato quel processo di autonomia emotiva che avremmo dovuto attraversare durante l’infanzia. I nostri genitori, per un motivo o un altro, non hanno saputo/potuto sostenerci nelle nostre conquiste. Anzi, alcuni genitori ci hanno reso le cose davvero difficili. Ora che siamo adulti, però, sta a noi emanciparci, sta a noi affermare la nostra identità di persone complete. Se ti va di rivendicare il tuo spazio nel mondo e affermarti finalmente per chi sei, ti consiglio di leggere il mio libro (già bestseller), “d’Amore ci si ammala, d’Amore si Guarisce”. Lo trovi in tutte le librerie o su Amazon.
A cura di Ana Maria Sepe, psicologo e fondatrice della rivista Psicoasvisor
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