Se hai vissuto queste esperienze, hai perso fiducia e sicurezza

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Dott.ssa in biologia e psicologia. Esperta in genetica del comportamento e neurobiologia. Scrittrice e founder di Psicoadvisor

Si dice che ciò che non ci uccide ci rende più forti, più saggi, più maturi. Ma è davvero così? Ci sarebbe tanto da dire rispetto alla sicurezza emotiva e la maturità, si tratta di caratteristiche che non si possono sviluppare da un giorno all’altro. Piuttosto sono le esperienze che ci portano a conquistarle e, ahimé, talvolta questa conquista non è indolore e, soprattutto, non sempre è armoniosa. Ognuno di noi, fin dall’infanzia, vive una moltitudine di esperienze, alcune meravigliose e stimolanti e altre profondamente dolorose e inibenti; nel bene e nel male, ciò che viviamo entra a far parte di noi e incide sul modo in cui percepiamo noi stessi e il mondo.

Se alcune esperienze ci insegnano la fiducia, la speranza e l’assennatezza, altre ci lasciano con l’amaro in bocca: sfiduciati nei confronti del prossimo, della vita e finanche di noi stessi. Cosa dire, poi, di quelle esperienze che possono renderci insicuri cronici? Spaventati e passivi? Al contrario di ciò che si possa pensare, per uscire dall’empasse in cui ci hanno ficcato le vicissitudini della vita, non basta la sola «forza di volontà». Anzi, a volte un approccio basato esclusivamente sulla volontà può essere così controproducente da gettarci in un ulteriore sconforto. Ma proseguiamo per gradi, vediamo prima quali sono le esperienze che più di tutte ci inducono a perdere parti essenziali della nostra identità come la fiducia, l’autonomia e la fermezza degli intenti (o fermezza nei propositi, cioè, quella caratteristica che riesce a trasporre le tue volontà dal dominio del desiderio meramente immaginato a quello della realtà concreta!).

L’impatto delle esperienze precoci

Sebbene diamo molta enfasi alle brutte esperienze che viviamo da adulti, quando vogliamo analizzarci dobbiamo andare ben più lontano nel tempo. Già, perché le cosiddette «esperienze precoci» sono quelle che, in ambito scientifico, hanno dimostrato di avere un maggior potere trasformativo. Esercitano una forte influenza sulla nostra identità tanto da scandire quelle che sono definite «traiettorie di sviluppo» o «traiettorie evolutive». Che cosa sono? Sono dei percorsi di vita! Una traiettoria non è altro che il trend che iniziamo a seguire durante l’infanzia e che è determinato da fattori che non sono in nostro controllo (es. l’educazione che ci viene impartita, la cultura dominante, le credenze e le aspettative genitoriali).

Crescendo, dunque, ognuno di noi si trova a seguire delle orme invisibile che i contesti in cui nasciamo e cresciamo tracciano per noi. Queste orme possono portarci in luoghi bellissimi quando le esperienze precoci sono funzionali e supportive; ci portano qui perché ci hanno dato la possibilità di scoprirci, sperimentarci e conoscerci. Tuttavia, alcune esperienze possono indurci a ristagnare in grosse voragini semplicemente, perché, eravamo troppo impegnati a fronteggiare stati emotivi complessi per poter concederci il lusso di conoscerci e affermarci per ciò che siamo. Vediamo quali sono le esperienze precoci che hanno influenzato -in modi che non verremmo- la nostra traiettoria.

Ti sei sentito messo da parte

La sensazione di essere “messi da parte” è tremenda. Quando alberga in noi per molto tempo può trasformarsi in qualcosa di corrosivo e persistente; può indurci a credere essere completamente inutili se non abbiamo accanto a noi qualcuno che ci ami, che ci protegga, che ci stimi e soprattutto, che si accorga di noi, del nostro valore. Chi è cresciuto all’ombra di un fratello o ai margini di una famiglia che aveva, al suo interno, una figura ingombrante che catalizzava tutte le attenzioni, sa esattamente di cosa parlo. Questo vissuto ci porta a rinunciare alla parte più spontanea e autentica di noi. Ci costringe nel ruolo di ha tanto da dimostrare. Questo “ruolo” può indurci al perfezionismo così come all’evitamento: abbandoniamo un proposito ben avviato solo perché, inconsciamente, la paura di fallire si fa insostenibile.

Il tuo ruolo è immutato

In una famiglia funzionale i ruoli di ogni componente sono flessibili. È certo: si cresce, tutto cambia, i ritmi, gli incontri, le posizioni… Eppure, nelle famiglie disfunzionali ciò non si verifica. I ruoli tendono a essere molto rigidi e persistere nel tempo. Anno dopo anno, si ripresentano sempre gli stessi scenari. Addirittura, se presti attenzione, anche nelle conversazioni potresti vedere emergere sempre i medesimi temi portanti. Questo succede perché ti è stato assegnato un ruolo al quale tu, ogni giorno, aderisci inconsapevolmente. Non è facile uscire dal ruolo che ci accompagna fin dalla nascita ma puoi iniziare a individuarlo. Parti dai dialoghi: individua i temi portanti e ricorrenti delle interazioni che hai con gli affetti più cari.

Per esempio: qualcuno potrebbe avere dei dialoghi volti a dimostrare il suo intelletto con un messaggio soggiacente «hai visto quanto sono intelligente e quante cose so?»,altri potrebbero avere dialoghi basati sulla teatralità così da esasperare il tono emotivo di ogni narrazione. Altri ancora potrebbero riproporre in ogni momento lo schema del «il mondo è così ingiusto con me… tu hai sbagliato e io ho subito un’ingiustizia». Gli scenari sono molteplici e ognuno potrà spalancarti il mondo che cela alle sua spalle. Un mondo fatto di ruoli da reggere che… però, talvolta stanno stretti! Anche questi ci costringono, infatti, a rinunciare a parti più autentiche di sé.

Sei cresciuto in una famiglia litigiosa

I genitori pensano che ogni bambino stia chiuso in un mondo a parte. Pensano che ogni bambino possa dimenticare presto ogni accaduto, o peggio, alcuni ritengono, addirittura, che i bambini non siano in grado di capire! Purtroppo è vero il contrario. I bambini, a modo loro, capiscono e assorbono tutto: astio, sofferenze e contrasti familiari.

Quando un bambino assiste a forti liti genitoriali apprende diverse cose: impara che per comunicare bisogna alzare la voce, irrigidirsi e cercare lo scontro: la rabbia diventa la sua forza più grande. Oppure, all’opposto, evita ogni disaccordo per non rivivere lo scenario terrifico e allora abbraccia un modello di accondiscendenza totalizzante. Due scenari opposti ma che hanno una cosa fondamentale in comune: in entrambi non è contemplata, in caso di disaccordo, una forma di dialogo calma, produttiva e pacata. Chi cresce in una famiglia litigiosa, infatti, solo difficilmente riesce a esprimere e far rispettare i propri bisogni. Inoltre, anche il semplice “alzare la voce” può essere un elemento di disagio.

La storia di Sandra
Sandra è una donna di 42 anni. Convive con il suo compagno Mattia. Abitano in una grossa casa di campagna. Quando il compagno è in giardino e vuole chiedere qualcosa a Sandra, alza la voce per farsi sentire. Il contenuto delle sue parole è calmo, tuttavia il tono è forte. «Sandra, non trovo l’annaffiatoio. L’hai preso tu?» – chiede Mattia strillando forte.

La donna, dall’altro lato della casa, è costretta a urlare a sua volta per farsi capire e, mentre lo fa, si sente a disagio. Non sa il perché. Sa solo che spesso risponde in modo rabbioso anche alle richieste più innocue come «hai visto l’annaffiatioio?». Potrebbe dire un semplice «no», invece scatta. Quando il dialogo si compie nella stessa camera, senza la necessità di alzare la voce, non ha questi esiti. Il motivo? Fin da bambina, Sandra ha associato l’urlare alla conflittualità. Lo ha fatto tutte le volte che ha assistito a quei brutti litigi dei genitori. E questa non è l’unica traccia lasciata in Sandra. La donna spesso ingaggia litigi senza volerlo e si ritrova in dinamiche conflittuali che non intendeva cominciare. All’inizio, dava la colpa a Mattia, riteneva che fosse lui la causa di tutto. Poi ha iniziato a lavorare su se stessa e ha capito che era lei, involontariamente, a trasformare molti confronti -potenzialmente utili per scoprirsi e sentirsi vicini- in scontri.

Quando la flessibilità delle nostre reazioni emotive è sostituita da risposte apprese durante l’infanzia, la spontaneità e l’autenticità che vorremmo garantirci, sono rimpiazzate da automatismi che altri ci hanno impartito. È così che ci allontaniamo da ciò che vorremmo.

Credi che nessuno possa aiutarti

Fin da bambino sei cresciuto con la convinzione che nessuno potesse aiutarti e che, in qualsiasi circostanza, avresti dovuto cavartela da solo. Questo non è un messaggio esplicito che ti è stato veicolato. All’apparenza, magari, i tuoi genitori affermavano di esserci per te…. Tuttavia, ogni volta che chiedevi un aiuto concreto, questo non arrivava. Quando, nelle nostre esperienze precoci, gli altri importanti non ci sono al momento del bisogno, si distrugge quella che è definitiva «fiducia epistemica primaria».

La fiducia epistemica è l’atteggiamento assunto dal bambino nei confronti dell’adulto di riferimento, trattandolo come il depositario della verità e di tutto ciò che è giusto e rilevante. Quando veniamo al mondo, infatti, l’unica garanzia di sopravvivenza che abbiamo sono gli altri, pertanto siamo letteralmente costretti a FIDARCI degli adulti che si prendono cura di noi. Il concetto di fiducia epistemica è fondamentale perché, talvolta, tale fiducia viene violata. Succede quando a ferirci, ad abbandonarci, voltarci le spalle o peggio,  abusarci, sono proprio quelle persone che avrebbero dovuto tenerci al sicuro.

Quando la fiducia primaria viene a mancare, il bambino cresce con una sfiducia generalizzata e inizia a covare la credenza che nessuno possa capirlo o aiutarlo… perché di fatto, nella sua esperienza precoce, non ha potuto provare il contrario. Questa dannosa credenza si palesa in tanti modi:
A) la persona non sa chiedere aiuto oppure, i suoi tentativi di aiuto vertono su una comunicazione passiva-aggressiva, pertanto sono destinati a fallire.
B) la persona crede intimamente che nulla potrà cambiare la sua vita, ne’ un percorso di terapia ne’ nessun altro. Anzi, ha ormai smesso anche di esprimere i propri disagi.
C) Crede intimamente che tutte le relazioni siano destinate a finire e ferire.

La parte di sé che va via con la fiducia epistemica è quella che potrebbe garantirci una maggiore spensieratezza nei legami con un conseguente sano senso di appartenenza… Attenzione, non all’altro ma a se stessi! Senza la fiducia epistemica, infatti, non siamo capaci neanche di fidarci profondamente di noi stessi.

Restituirsi a se stessi

Se hai voglia di riconquistare ciò che hai perduto nelle tue esperienze precoci, liberarti dai ruoli e deviare dalla traiettoria che gli altri hanno scelto per te, ti consiglio la lettura del mio nuovo libro: «il mondo con i tuoi occhi». Si tratta di un saggio molto atteso dalla critica; rivoluzionerà il mondo con il quale ogni giorno approcci al mondo e alla vita! Per leggerlo, puoi preordinarlo a questa pagina Amazon o andare in libreria a partire dal 29 ottobre.