Se assorbi le emozioni altrui come una spugna, leggi questo

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Dott.ssa in biologia e psicologia. Esperta in genetica del comportamento e neurobiologia. Scrittrice e founder di Psicoadvisor

Se le emozioni degli altri riescono a condizionare le tue giornate, hai bisogno di conoscere tre concetti che arrivano dalle neuroscienze, dalla psicologia e dalla neurobiologia: contagio emotivo, disregolazione degli affetti e confini interpersonali. Iniziamo dal primo, il contagio emotivo.

Il contagio emotivo

Se, camminando nel viale di casa tua ascolti un passante fischiattare allegramente e sei una persona empatica, quell’atteggiamento gioioso entrerà a far parte di te, almeno per un po’. In qualche misura, ti avrà contagiato. Il «contagio emotivo», infatti, è definito come quella forma di trasmissione affettiva che scandisce il rapporto tra gli esseri umani ed è strettamente legato all’empatia.

Sebbene nel nostro esempio, l’esito di questa trasmissione sia positivo, nella nostra vita quotidiana siamo più propensi a trasmetterci ansie, preoccupazioni e paure. Se frequenti una persona che è cronicamente ansiosa, dopo qualche tempo, se non lavori sui tuoi confini, l’insicurezza potrebbe iniziare a farsi spazio dentro di te.

Le prime ricerche sul contagio emotivo sono state condotte negli anni ’90 del secolo scorso e si sono fatte più consistenti con le ricerche sul biofeedback facciale e sui neuroni specchio. Fin dalla notte dei tempi è noto a tutti: la comunicazione tra gli esseri umani si spinge “oltre” il linguaggio verbale e oggi i progressi scientifici possono dimostrare in cosa consiste “quell’oltre”. Le ricerche sul feedback facciale, infatti, hanno dimostrato che quando osserviamo un volto contraiamo o flettiamo i muscoli del nostro viso in risposta all’espressione che assume l’altro. Ciò avviene, sorprendentemente, in modo del tutto involontario.

Il feedback facciale e i neuroni specchio

A prescindere da ciò che provi per il tuo interlocutore, i tuoi muscoli rispondono automaticamente a quell’espressione inviando ai tuoi sistemi afferenti (e quindi al tuo cervello) delle informazioni su ciò che sta avvenendo. Per esempio, se il tuo interlocutore è  spaventato e lo osservi, il tuo feedback facciale (la tua mimica facciale involontaria) informerà i tuoi centri nervosi che c’è qualcosa di spaventante. Questa è una delle tante vie che usa il contagio emotivo. L’altra su cui ci soffermeremo è quella dei neuroni specchio.

La scoperta, tutta italiana, dei neuroni specchio testimonia un ulteriore processo di rispecchiamento che avviene, fisiologicamente, nell’essere umano. «Tu agisci, io ti osservo e i miei neuroni specchio ti imitano». Il nome “neuroni specchio”, infatti, deriva dal fatto che quel gruppo di cellule nervose “rispecchiano” la stessa azione eseguita dagli altri individui.

Questi meccanismi sono utilissimi per comunicare, per costruire vicinanza e per immedesimarci nell’altro. Tuttavia, quando viviamo in simbiosi con qualcuno oppure se siamo molto sensibili, le emozioni contagiose potrebbero sopraffarci.

Disregolazione degli affetti

Se il malumore di una persona a te cara riesce a condizionare le tue giornate, non si tratta di semplice contagio emotivo. C’è qualcosa che hai bisogno di rivedere in termini di «modulazione degli affetti» (gli affetti sono tutte le sensazioni che provi, belle o brutte). Le emozioni non sono qualcosa di astratto come molti le rappresentano nella propria mente. Sono concrete e riusciamo a sperimentarle perché una variazione chimica si verifica nel nostro organismo. Le emozioni, infatti, sono una funzione biologica e come qualsiasi altra funzione biologica può essere modulata agendo su più fronti.

In altre parole, ti sto dicendo che puoi regolare il volume delle tue emozioni. So che può “suonarti strano”. Culturalmente diamo per scontato che le emozioni siano irrazionali e facciano un po’ ciò che vogliono… nella realtà non è così. Le scienze psicologiche, infatti, hanno evidenziato che le emozioni sono tutt’altro che irrazionali. Emergono sempre per un motivo e hanno una ragione anche se quella ragione a chi le esperisce, è ignota. Divengono dirompenti quando qualcosa nel processo di autocontenimento (o autoregolazione) va storto. Allora usiamo ciò che esterno da noi per “regolarci”. Il sesso, le abbuffate, lo shopping compulsivo, l’alcol, l’autolesionismo… sono tutti tentativi disperati di regolare qualcosa di sopraffacente.

I confini interpersonali

Se assorbi le emozioni altrui come una spugna, non è l’eccesso di empatia a guidarti ma una carenza di confini. I confini sono quelli che scandiscono la distanza ideale tra te e l’altro. Ti consentono, al contempo, di sperimentare un senso di appartenenza e di vicinanza affettiva anche quando senti di appartenere pienamente a te stesso. In altre parole, ti consentono di affermare l’identità individuale consapevole di avere dentro un “sé relazionale”, cioè una parte di te legata all’altro.

Il problema di alcuni di noi è che non abbiamo mai potuto affermare la nostra identità individuale, a causa di esperienze soverchianti, ci siamo sentiti costretti a essere sempre parte di un “noi” così, al contempo, ci sentiamo soli sia nel legame che fuori da esso. Così, al contempo, soffriamo sia delle nostre emozioni che per quelle delle persone a noi care. Non solo, facciamo confusione nei ruoli anche quando ci cimentiamo in tentativi maldestri di “regolazione emotiva”. Niente paure, ti riporto un esempio pratico.

Rispecchiamento parziale

Vai dal salumiere. Chiedi 100 grammi di scamorza. Il salumiere te ne fa 140 e, mentre impacchetta frettoloso, ti dice: «posso lasciarli?», tu, presa della fretta e dall’accondiscendenza, affermi «va bene». Tuttavia, interiormente, senti che avresti preferito dirgli un secco «no» ma lì per lì, non ti è venuto. Adesso, invece di sostenerti, invece di tentare di comprendere cosa ti ha indotta a essere accondiscendente -che, sappi, si tratta di una risposta appresa al trauma, cioè, impariamo ad accontentare sempre il prossimo per paura di essere rifiutati-, tu ti rimproveri. Ti prometti che la prossima volta non ricapiterà ma poi, passa tempo, cambia lo scenario, cambiano i protagonisti ma la tua accondiscendenza viene fuori.

Cosa succedere. Ti telefona il tuo migliore amico, ti racconta un’esperienza in cui tu scorgi un’ingiustizia e… che fai? Reagisci come se l’avessi subita tu. Nel caso del tuo amico, non vale la regola dell’accondiscendenza: attraverso lui, infatti, non vive la paura del rifiuto, quella è solo tua. Allora che fai? Involontariamente, sottolinei le sue fragilità ricordando, anche a te stesso, quanto dovreste “forzarvi”.

Inizi a dirgli: «ma perché non hai reagito così???» oppure «ma dai, non puoi lasciarti trattare in quel modo!». E anche in questo caso sfugge il fatto che le persone, spesso, sono guidate solo dall’insicurezza e dalla volontà di farsi accettare. Se ognuno restituisse a se stesso la giusta narrazione affettiva, le persone sarebbero più appagate della propria vita. Il problema emerge quando ci usiamo l’una con l’altra come specchi parziali, venendo sempre a mancare la totalità che ci portiamo dentro. E… come ti scrivevo prima, la complessità che ci portiamo dentro ha un senso, ha una ragione di esistere e aspetta solo di essere compresa.

Dall’inter-regolazione all’affermazione personale

Dovremmo imparare a “contenere” i nostri vissuti emotivi e a prenderci solo il meglio dal contagio emotivo nei primi anni di vita. Quando veniamo al mondo, infatti, il nostro cervello recepisce tutti gli schemi ricorrenti di comunicazione non verbale. Ecco perché, anche se un neonato non ha ancora imparato a parlare, già capisce tutto del suo ambiente di sviluppo e di ciò che gli trasmette il legame di accudimento! Neuroni specchio e feedback facciale già gli dicono tutto, ancor prima di pronunciare le fatidiche parole “mamma” e “papà”.

Gli schemi ricorrenti che intercettiamo fin dalla nascita, divengono parte di noi e li mettiamo in rapporto con gli altri per reindirizzare il nostro comportamento. Diamo vita così alla cosiddetta inter-regolazione: le primissime modulazione delle sensazioni che proviamo scaturiscono nelle interazioni con gli altri. Quindi la prima esperienza che facciamo non è di un “me”, non è quella dell'”identità individuale” ma di un “noi”. Solo crescendo, se ne abbiamo la possibilità (e ciò significa se ci viene offerta sicurezza, fiducia e libertà) riusciamo ad affermare la nostra identità di persone complete, individui unici e a sé. In caso contrario, resteremo imprigionati in un perenne “noi”. Dove, anche se i protagonisti cambiando (da adulti il nostro “altro” sarà il partner e non il genitore), gli scenari restano immutati.

I primi schemi ricorrenti di inter-regolazione saranno usati per costruire i circuiti neurali (rappresentati principalmente nelle cortecce cerebrali con fitte connessioni verso le aree limbiche) che serviranno ad acquisire capacità di conforto, di auto-contenimento, di auto-regolazione, di auto-accudimento e, in definitiva, di una maggiore autonomia affettiva.

Se hai voglia di restituire a te stesso la sicurezza necessaria per iniziare ad affermare la tua identità di persona completa e degna d’amore, senza il rischio di “sovraccarico” emotivo, ti consiglio la lettura del mio nuovo libro «il mondo con i tuoi occhi», disponibile su Amazon e in tutte le librerie. Nel saggio troverai molti esercizi pratici per lavorare sulla tua modulazione affettiva, sulle emozioni dirompenti e sulle emozioni che ti aspetteresti di sentire e, invece, tardano a emergere. Non solo, il manuale è nato per mostrarti l’evoluzione dell’identità individuale e aiutarti a mediare il passaggio da un “io” più diffuso a un’identità ben affermata, autonoma, capace di costruire senso di appartenenza e vicinanza senza dipendenza o eccessiva distanza.

Autore: Anna De Simone, psicologo esperto in psicobiologia
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