Premessa indispensabile: parliamo del padre. In un articolo dedicato alla figura materna, mi sento tenuta ad iniziare dal papà! Puntualmente, quando pubblico un articolo sulla figura materna scattano una quantità industriale di polemiche che ruotano intorno alla quesitone passivo-aggressivo «ma è sempre colpa della madre?? E il padre non lo considerate?!».
– Premesso che, su Psicoadvisor potete trovare un elevato numero di articoli sulle influenze della figura paterna.
– Premesso che, concedere attenzione a un tema non sottrae importanza a un altro tema.
– Premesso che, per quanto dovrebbe esistere la parità dei sessi, per esigenze imposte dalla società, è la mamma il genitore che trascorre la quantità di tempo maggiore con il figlio, pertanto è il genitore che più assolve al ruolo del caregiver (e questo è un dato statisticamente inconfutabile).
Il padre è altrettanto importante per lo sviluppo psicologico del bambino e le recenti ricerche riferiscono che negli ultimi decenni è aumentato il tempo medio che un padre trascorre in ambiente domestico, ma tali tempistiche non sono quantitativamente paragonabili a quelle materne. In più, le evidenze empiriche riferiscono che per lo sviluppo normativo, a un bambino basterebbe un’unica esperienza di legame sicuro. Ciò significa che in casa, se il bambino può contare sulla stabilità di almeno un legame genitoriale è già a fortunato.
Il dualismo societario
Per quanto ci piaccia pensare che possa esistere una parità dei sessi, viviamo in una società ancora maschilista. Esistono oggettività come il gender pay gap, le discriminazioni sessuali e la diseguaglianza della distribuzione dei ruoli lavorativi tra i generi. Le donne tendono a ricoprire meno incarichi manageriale e alcuni ambiti lavorativi sembrano essere prettamente maschili (vi basterà pensare alla comitato tecnico scientifico italiano, non c’è neanche una donna!).
C’è un altro contesto sociale, però, dove l’ago della bilancia sembra spostato sulla figura femminile: la famiglia. In ambito familiare, in contrasto con ciò che avviene “fuori le mura domestiche”, talvolta si assiste a una sorta di matriarcato, tanto che in alcuni contesti familiari è il marito il subordinato e seppur presente in casa, vive un ruolo del tutto secondario nell’educazione del bambino. NOTA BENE: questa non è la realtà onnipresente, non tutte le famiglie sono così. In molte altre famiglie è la donna ad essere subordinata all’uomo, basterà pensare ai casi di violenza domestica che, ahimè, sono molto numerosi… ma purtroppo esistono disfunzionalità di diverso tipo.
Nelle famiglie in cui la madre svolge un ruolo totalizzante, la figura del padre è del tutto accessoria, sfocata sullo sfondo. In questi contesti, in genere, il bambino cresce deprivando il papà di importanza. Anche questo spaccato fa capire perché per l’educazione del bambino la figura materna esercita una maggiore influenza:
- Trascorre più tempo con i figli.
- Si occupa delle scelte che concernono l’educazione dei figli.
- Bada all’economia domestica con ricadute sui figli.
- Si occupa delle cure mediche dei figli.
- Segue i figli nell’istruzione, curando i rapporti con il corpo docenti.
- In una casistica disfunzionale, quando in casa è presente una madre totalitaria, capita che quando il padre è presente fisicamente diviene una figura subordinata e accessoria, quindi del tutto assente emotivamente.
Preso atto che anche il padre è importante per lo sviluppo emotivo dei figli ma che la società attuale vede incarnare nella madre il ruolo di caregiver principale, vediamo quali dovrebbero essere le caratteristiche di una buona madre.
Buona madre vs cattiva madre
Anche se mi piacerebbe pensare che non esistono cattive madri, la realtà riferisce ben altro. Esistono madri capaci di ferire intenzionalmente i propri figli. In questo articolo non mi soffermerò sul concetto di cattiveria, mi limiterò a parlare di madri funzionali e madri disfunzionali. E’ altrettanto opportuno chiarire che esistono diversi gradi di disfunzione, non tutte le madri disfunzionali pesano in egual modo sullo sviluppo psicoaffettivo del bambino. Le variabili in gioco sono numerosissime.
Parlo di madri disfunzionali e non “cattive madri” perché anche la madre dotata delle migliori intenzioni, se sovraccaricata di stress, può commettere errori. Una madre scostante, sempre stanca di doversi occupare di tutto, sempre sovraccarica di impegni, probabilmente non riuscirà a trasmettere il giusto concetto d’amore al figlio e questo, presto o tardi, finirà per sentirsi di peso. Di certo, una madre sovraccarica non sarà nociva quanto una madre che nell’instaurare il legame con la prole elimina ogni confine.
Una madre sufficientemente buona è quella che sposa un concetto fondamentale ed educa i figli sulla base di esso. Per essere una madre funzionale non sono richiesti super-poteri, il concetto da fare proprio è unico e apre le porte a innumerevoli implicazioni complesse. Il concetto cardine, semplice da comprendere ma difficile da vivere, è questo: il bambino è una persona a sé e in quanto tale dovrà essere accudita.
La comprensione che il bambino è una PERSONA a sé e che quindi non è un’estensione del Sé materno, apre le porte a ulteriori concetti fondamentali: esistono confini ben definiti tra ciò che vuole la madre e ciò che vuole il bambino. Esistono confini ben scanditi tra il Sé della madre e il Sé emergente del bambino.
Questo unico concetto ha grosse implicazioni pratiche. Basterà pensare alle prime cure ricevute del neonato oppure al modo in cui, successivamente, il genitore accoglie e rispetta le volontà del bambino (entro i limiti di benessere). L’esempio più eclatante sta nel genitore che vuole imporre la pratica di una disciplina sportiva al figlio che in realtà vorrebbe fare tutt’altro.
Grazie a questo principio cardine, il bambino sarà preparato all’autonomia, alla responsabilità delle proprie scelte. Il tutto in un ambiente supportivo, perché il bambino incorporerà nel proprio bagaglio, la consapevolezza di avere una madre in grado di nutrire rispetto per i suoi bisogni.
Le capacità cognitive del bambino e il legame materno invalidante
Un bambino piccolo non ha le capacità cognitive di un adulto. Il neonato che viene al mondo, non ha la consapevolezza di essere un organismo a sé, ma si vede con gli occhi della madre. Se la madre lo vedrà come una persona a sé e gli trasmetterà stima, egli capirà di essere degno d’amore e di vivere in un mondo dove l’altro è capace d’amore.
Al contrario, se la madre disfunzionale inizierà a proiettare nel bambino bisogni propri, il bambino sostituirà i bisogni della madre ai propri. Una volta cresciuto, l’adulto si sentirà confuso sulla propria identità e farà fatica a capire i propri bisogni. Non solo, poiché i suoi bisogni non sono mai stati rispettati, svilupperà delle rappresentazioni di Sé e del mondo opposte a quanto visto prima. Svilupperà un’immagine di sé indegna di amare e penserà che nel mondo non vi sono persone capaci di dare supporto.
In circostanze estreme, il bambino perderà completamente quella che è definita come fiducia epistemica primaria. Cioè crescerà con il presupposto che l’altro non potrà capire e accogliere i suoi bisogni e rinuncerà alla disponibilità a dipendere da un’altra persona (inteso come interdipendenza sana, nelle relazioni sentimentali), rinuncerà a rendersi vulnerabile, a fidarsi dell’altro… E così non sarà capace di chiedere e/o accettare aiuto e supporto dall’altro. Non riconoscerà le persone che potrebbero essere realmente disponibili. Questa è solo una delle conseguenze possibili di un legame materno invalidante.
Perché parlare di buona e cattiva madre?
Perché è necessario sfatare il mito materno. La madre viene ancora vista e vissuta quasi come una creatura mitologica alla quale un figlio deve tutto, sempre e comunque, in modo incondizionato. In realtà ogni gesto ha delle conseguenze, ogni azione ha degli effetti, e questo vale anche per le condotte materne.
Un figlio che decide di distaccarsi dai genitori viene pesantemente condannato dai genitori e dalla società stessa, proprio perché quello tra madre e figli viene visto come un vincolo indissolubile. Inoltre la mitizzazione materna ha dei risvolti negativi sulla psiche della stessa madre. Ogni essere umano è fallibile, può commettere errori, anche un genitore può farlo e non per questo deve essere condannato.
Il genitore svolge indubbiamente un ruolo difficile ma donare la vita a un figlio dovrebbe coincidere sempre con un gesto d’amore, fatto con coscienza e consapevolezza, e non come un gesto egoistico, compiuto con la pretesa di concedere in prestito la vita al figlio così da rivivere la propria mediante di esso. Un figlio è una persona a sé, non uno strumento nelle mani materne.
I sani confini
Che sia un genitore, un partner o un amico, ti farà sentire accettato con la condizionale. Fin quando aderisci al modello del subordinato in cui la relazione è completamente sbilanciata e i carichi gravano tutti sulle tue spalle (sei accondiscendente, lasci che invalidi le tue emozioni, non esci dal ruolo che ti ha assegnato…), allora le cose filano lisce. Ma quando provi ad affermare te stesso o una tua necessità, emergono le minacce. La minaccia dell’abbandono, della rabbia, dell’isolamento, dell’esclusione… Non sempre le minacce sono affettive, qualcuno può utilizzare ricatti economici e sfruttare una posizione di potere in ambito lavorativo. Ecco perché non è sempre facile venirne fuori. Ma un modo sano e sicuro per gestire i confini con queste persone c’è. Un modo per affermare te stesso esiste. Pensaci bene, non sarebbe perfetto avere accanto persone capaci di convalidare le tue emozioni? Di condividere con te la stessa realtà senza tentare di distorcerla?
Esiste una realtà ben concreta in cui tu sei al centro della tua vita. In cui tutti i tuoi bisogni hanno un senso, vanno ascoltati e appagati! Una realtà in cui puoi affermare te stesso, accoglierti e amarti. In tal modo, attrarrai a te solo persone che sono capaci di darti la considerazione che meriti. Che, come nel mio esempio, hanno cura del legame che instaureranno con te. Non si tratta di un’utopia. Tutto questo è possibile e puoi averlo in tutti i rapporti.
Il rispetto di sé è la base
Si parla pochissimo di rispetto di sé. Eppure si tratta di una componente essenziale per la salute (fisica e mentale) e per il mantenimento di relazioni sane. Se ti riconosci in questi punti, vuol dire che stai trascorrendo la tua vita remandoti contro. È mai possibile andare “contro se stessi”? Purtroppo sì, questo capita quando non ti hanno insegnato a riconoscere il tuo valore. Come spiego nei miei incontri e come ho dettagliato nei miei due libri (entrambi bestseller), siamo la sintesi dei nostri vissuti e, il modo in cui ci comportiamo con noi stessi, riflette in qualche misura il modo in cui gli altri ci hanno trattato durante l’infanzia.
È lì, a quell’età che impariamo come scendere a patti con noi stessi, se rispettarci e stimarci oppure se metterci da parte e calpestare i nostri diritti emotivi e finanche negare i nostri bisogni! Come spiego nel mio libro «Il mondo con i tuoi occhi», quando sappiamo guardarci bene dentro, riusciamo a cogliere i nostri bisogni e a muoverci nella direzione giusta per appagarli, così la relazione soddisfacente diverrà una naturale conseguenza delle nostre scelte personali, del nostro modo di essere. Cinque capitoli che ti porteranno alla scoperta di quel potenziale che, da troppo tempo, è assopito dentro di te e non chiede altro di esplodere! Per immergerti nella lettura del libro “Il mondo con i tuoi occhi” e farne tesoro, puoi ordinarlo qui su Amazon oppure acquistarlo in libreria
Autore: Anna De Simone, psicologo esperto in psicobiologia
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