Gli adulti che disprezzano la debolezza, puntano all’efficienza e al controllo, sono stati bambini inascoltati, vittime di una forma educativa insana, rigida e basata sulle pesanti aspettative genitoriali. Questi bambini, schiacciati dai bisogni genitoriali, sono andati incontro a un processo di adultizzazione infantile. L’adultizzazione precoce consiste nel vietare al bambino di manifestare la sua natura fanciullesca, il piccolo, infatti, si addosserà fin da subito la responsabilità della gioia genitoriale. Sarà il bambino a dover soddisfare i bisogni dei genitori e non viceversa.
Tanto tempo fa è stato coniato da Katharina Rutschky, il termine «pedagogia nera», questo termine sembra così arcaico ma in realtà è molto attuale. Solo che oggi, le forme che assume la «pedagogia nera» sono più subdole e silenziose. Se prima c’erano regole rigide e punizioni fisiche, oggi ci sono altre pratiche genitoriali altrettanto insane che portano ad altrettanti risultati nefasti.
Un bambino che viene educato in modo rigido, non troverà mai il modo per esprimere spontaneamente se stesso. Il bambino a cui viene negata l’infanzia, è sottoposto a una lunga serie di deprivazioni emotive: quel bambino non ha vissuto il suo diritto fondamentale, quello di esprimere se stesso. La psicologa Alice Miller (1923 – 2010) attribuisce alla deprivazione emotiva dei bambini anche l’impossibilità per loro, una volta adulti, di rendersi consapevoli di ciò che per loro ha comportato quella condizione. In altre parole, i bambini emotivamente trascurati ed educati secondo i principi di subordinazione all’adulto, una volta cresciuti, solo raramente sono consapevoli di aver subito un torto. Questi bambini, infatti, da adulti attribuiscono a se stessi la causa di qualsiasi mancanza, negandosi qualsiasi fragilità e margine di errore.
Adultizzazione precoce: quando si verifica?
Qualsiasi pratica educativa genitoriale che vede il bambino deprivato di una propria identità, può innescare adultizzazione infantile. Per esempio, un “genitore ingombrante” potrebbe sostituire la personalità nascente del bambino con la propria, annientando sul nascere l’autonomia del figlio.
Per genitore ingombrante intendo un genitore invischiante, che non riconosce i confini tra sé e l’altro, che alimenta una relazione fusionale sconfinata, sopprimendo il bisogno di autonomia del piccolo. Anche se il modello educativo può essere differente, gli obiettivi sono simili a quelli perseguiti con la pedagogia nera. Anche in questo caso, infatti, l’adulto si aspetta una fedeltà incondizionata, una continua accondiscendenza del bambino (anche una volta adulto!) e la relazione è completamente sbilanciata: il bambino è subordinato all’adulto e rimarrà per sempre tale, anche quando sarà a sua volta adulto.
Il disprezzo per la debolezza, il non sentirsi mai abbastanza, il desiderio di essere perfetto… sono temi molto cari a chi ha conosciuto la trascuratezza emotiva. Il bambino nasce dipendente dai suoi genitori, tale dipendenza non è esclusivamente fisica ma anche (e soprattutto) affettiva.
L’amore dei genitori è qualcosa di irrinunciabile per il bambino, tanto che da piccoli, eravamo pronti a tutto per assicurarci una dose di affetto, un riconoscimento… eravamo pronti, se necessario, anche ad annullare noi stessi. L’annullamento della volontà del bambino a favore della gratificazione genitoriale (il presupposto dell’accondiscendenza) comporta l’annullamento del suo vero Sé che, impossibilitato a esprimersi già in tenera età, viene sepolto, mortificato, ridotto a brandelli sotto una facciata fatta di doveri, obblighi e comportamenti atti a gratificare l’altro.
Quando l’ambiente di sviluppo non è supportivo, il bambino si ritrova a doversi guadagnare l’amore genitoriale a caro prezzo. Il bambino si ritrova a rinnegare i propri stati emotivi, a invalidare tristezza, rabbia, odio, rancore per ciò che gli sta succedendo… emozioni che rimangono inespresse e che vanno a forgiare una personalità non più in linea con i propri bisogni ma realizzata sulla base di qualcosa che è esterno da sé.
Il disprezzo della debolezza che un individuo esperisce da adulto, è proporzionale alla mortificazione che ha subito da bambino. Effetti analoghi sono sortiti da genitori che sistematicamente sostituiscono i bisogni dei figli con i propri. Anche in questo caso il bambino è deprivato completamente di una propria identità.
Gli effetti sul bambino e sull’adulto
Crescendo, il bambino percepirà come illegittime tutte le sue emozioni che finirà per invalidare, proprio come durante l’infanzia facevano i suoi genitori. Invalidazione dopo invalidazione, l’adulto perderà di vista se stesso e si ritroverà dinanzi diversi scenari in base a specifici vissuti. Dal bambino difficile e ribelle, al bambino adultizzato, senza parlare dei tanti bambini invisibili che per non turbare gli animi genitoriali si sono fatti talmente “piccoli tanto da annientare le proprie esigenze”.
Questa schiera di bambini ha così tanto soffocato se stessa che alla fine ha iniziato a inseguire un’immagine ideale di sé, realizzata sulla base di standard e condizionamenti utopici. Alcuni di questi bambini, da adulti, vivono con il fardello del super-eroe cioè con l’impossibile pretesa di voler fare sempre tutto bene. Queste persone possono arrivare ad odiarsi o detestarsi per non aver raggiunto i più disparati obiettivi e dirigono verso di sé, la delusione e la rabbia che hanno accumulato nei confronti del mondo (figure genitoriali).
Da adulti, il ricordo delle mancanze affettive, così come quello dei torti subiti, delle ingiustizie o, nei casi più estremi, degli abusi, continua a vivere nell’inconscio e a emergere ogni volta che ci si imbatte in una situazione che va a rievocare quel determinato dolore. Così una piccola critica può diventare un affronto personale, una telefonata mancata può evocare l’abbandono e la solitudine più profonda, una battuta d’arresto può abbattersi come il più drammatico fallimento, un forte senso di non valore. Qui, l’adulto, incapace di accogliere il bambino che è stato, respingerà sempre più in profondità le emozioni che emergono fino a confinarle entro un muro, fino a convincersi di essere, in qualche modo, sbagliato. Si attiva un circolo vizioso che, con un percorso psicologico, può essere arrestato e risanato.
«Le nevrosi e le psicosi, infatti, non sono dirette conseguenze di reali frustrazioni bensì l’espressione della rimozione di traumi. Quando si tratta soprattutto di educare i bambini in maniera che essi non si accorgano del male che si fa loro, delle cose di cui li si priva, di ciò che essi perdono, […] di chi essi siano in realtà […] allora in seguito l’adulto vivrà la volontà degli altri come se fosse sua propria. Come potrà mai infatti sapere che la sua volontà è stata stroncata dal momento che non gli è mai stato consentito di farne esperienza?» – Alice Miller
In un mondo ideale, i figli non amati non ripeteranno gli stessi errori dei genitori nell’accudire una nuova progenie. La letteratura scientifica riferisce dati differenti e anche gli Autori più eminente in materia di psicologia evolutiva raccontano purtroppo una realtà diversa.
Secondo la psicologa Alice Miller, i bambini inascoltati, che non hanno avuto modo di esprimersi, da genitori, si ritroveranno ad adottare un modello educativo che, seppur all’apparenza diverso, va a produrre i medesimi effetti invalidanti. Una volta genitori, si ritroveranno a disposizione un bambino da plasmare a proprio piacimento, commettendo errori in piena inconsapevolezza. Il rischio intravisto dalla Miller è quello di una coazione a ripetere intergenerazionale, una coazione a ripetere che può spezzarsi solo con una tenace presa di consapevolezza.
La voglia di riscattarsi e… rinascere!
C’è una cosa che hanno in comune tutte le persone che hanno vissuto un’infanzia difficile: hanno voglia di riscattarsi! Il dolore, i torti, annichiliscono ma al contempo alimentano rabbia e frustrazione. È nella rabbia dell’ingiustizia subita che si può trovare il seme della reattività, il motore che può innescare un processo trasformativo utilissimo. Ogni giorno siamo artefici della nostra stessa evoluzione, siamo responsabili delle maschere che indossiamo, delle parole che diciamo… anche se non ne siamo consapevoli.
In realtà, esistono due modalità di vita: la prima ci pone come individui passivi-reattivi, cioè ci fa limitare a reagire alle cose che ci capitano nella vita. Ci fa vivere, quindi, in funzione del comportamento degli altri. Una modalità di vita molto più sudata (perché richiede esercizio, una buona dose di distacco, regolazione delle emozioni e tanta tanta riflessione) è la modalità attivo-proattivo. In questo caso, le persone non si limitano a reagire a ciò che capita ma sono pienamente artefici della propria vita, riescono a gestire le proprie maschere, a ridimensionarle o distruggerle! Se sei pronto a prendere in mano le redini della tua vita e a reagire ai comportamenti altrui in armonia con i tuoi bisogni, ti consiglio la lettura del mio nuovo libro «Il mondo con i tuoi occhi». Per le ricadute positive che ha sul benessere e l’affermazione personale, è il libro più consigliato dagli psicoterapeutici! È un viaggio introspettivo che ti consentirà di trasformare le tue ferite e la tua attitudine difensiva in un’inattaccabile amor proprio. Già, perché l’armatura che più di tutte può difenderti (dalle umiliazioni, dai torti, dalle delusioni e dalla rabbia…) è proprio l’amor di sé. Per tutte le informazioni sul libro “Il mondo con i tuoi occhi“, ti rimando a questa pagina Amazon.
Autore: Anna De Simone, psicologo esperto in psicobiologia
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