C’è un amore che, pur nascendo dal desiderio di proteggere, finisce per intrappolare. È l’amore dei genitori iperprotettivi, quelli che credono — spesso in buona fede — che il mondo sia troppo pericoloso per i loro figli. E allora costruiscono intorno a loro un recinto morbido, fatto di premure, consigli non richiesti, interventi costanti, soluzioni pronte, decisioni prese al posto tuo. Ma sotto quella coperta calda si nasconde una trappola: la trappola dell’immobilità emotiva.
Crescere con genitori iperprotettivi non significa semplicemente avere avuto qualcuno sempre pronto a correre in tuo soccorso
Significa soprattutto aver imparato — lentamente, impercettibilmente — a dubitare di sé stessi. Perché se qualcuno si prende sempre cura di te, finisci per non imparare mai a farlo da solo. E nel tempo, la protezione diventa privazione: di autonomia, di esperienza, di fiducia.
In una lettura psicoanalitica, l’iperprotezione genitoriale non è mai solo un comportamento educativo; è un riflesso delle ansie, delle paure e dei bisogni inconsci dei genitori stessi. Il bambino, in questo contesto, diventa oggetto di proiezione: è colui che deve essere preservato non tanto per il suo bene, ma per placare l’angoscia dell’adulto. E così, il legame si tinge di ambivalenza: amore che soffoca, cura che controlla, presenza che limita.
Un viaggio psicoanalitico tra i legami che stringono… e non lasciano volare
In questo articolo, esploreremo i segnali — spesso invisibili ma profondamente radicati — che ci dicono che forse, in quel passato avvolto da mille attenzioni, qualcosa ci ha privati della possibilità di diventare pienamente adulti. E lo faremo guardando dentro, con gli occhi della psicoanalisi e del cuore.
1. Hai difficoltà a prendere decisioni, anche le più semplici
Uno dei segnali più ricorrenti è l’incapacità o il forte disagio nel decidere. Anche scegliere cosa mangiare al ristorante o che film vedere può generare un’inquietudine sproporzionata. Questo accade perché chi è cresciuto con genitori iperprotettivi ha spesso interiorizzato l’idea che qualcun altro debba sapere cosa è meglio per lui.
A livello psicoanalitico, è come se il Super-Io — quella parte della psiche che regola ciò che è giusto o sbagliato — fosse colonizzato dalle figure genitoriali. Il pensiero autonomo non si è mai potuto sviluppare pienamente, perché ogni scelta era guidata, suggerita, corretta.
2. Ti senti in colpa quando ti allontani o prendi spazio
L’iperprotezione crea un legame simbiotico, dove ogni forma di separazione è vissuta come tradimento. Se ti sei sentito in colpa nel dire “no” ai tuoi genitori, nel voler vivere la tua vita o semplicemente nel desiderare qualcosa di diverso da loro, è probabile che tu sia stato cresciuto all’interno di una relazione ipercoinvolta.
Nel linguaggio psicoanalitico, potremmo parlare di “legame narcisistico-fusionale”: il figlio non è visto come un soggetto distinto, ma come un’estensione del Sé genitoriale. Prendere distanza, allora, equivale a “distruggere” l’altro — ecco perché il senso di colpa è così forte.
3. Hai paura di sbagliare, al punto da preferire l’inazione
Chi è cresciuto sotto una campana di vetro spesso ha una ferita invisibile: non ha mai potuto sperimentare l’errore. I genitori iperprotettivi non lo permettono, perché vedono lo sbaglio come pericolo da evitare, non come opportunità di crescita. Ma senza l’esperienza dell’errore, si resta bloccati nella paura.
Nel profondo, il bambino iperprotetto ha interiorizzato l’idea che l’amore dipende dalla “bravura”, dalla correttezza, dalla perfezione. E questo genera una struttura psichica rigida, spesso associata a disturbi ansiosi, insicurezze croniche, fobie sociali.
4. Hai bisogno costante di approvazione
Sei una persona che cerca conferme continue? Hai bisogno che qualcuno ti dica che stai facendo bene, che sei sulla strada giusta? Questo bisogno compulsivo è figlio dell’iperprotezione. Quando i genitori invadono lo spazio decisionale del figlio, questi impara a fidarsi solo del giudizio altrui.
Nel linguaggio analitico, si potrebbe parlare di un Sé non strutturato, ancora dipendente da oggetti esterni per sentirsi valido. La mancanza di autonomia affettiva crea una personalità fragile, iperadattiva, che si plasma in base agli altri per ricevere accettazione.
5. Provi disagio o imbarazzo nell’essere “troppo” autonomo
Ti è mai capitato di sentirti strano, addirittura in colpa, quando riesci a cavartela da solo? Come se stessi facendo qualcosa di scorretto? È un segnale importante. L’iperprotezione ti ha forse insegnato, inconsciamente, che non puoi — o non devi — farcela da solo.
Dal punto di vista psicoanalitico, potremmo trovarci di fronte a un attaccamento ambivalente: il bisogno di autonomia coesiste con la paura della separazione. Il risultato è una perenne altalena emotiva, un conflitto tra il desiderio di libertà e il bisogno di legame.
6. Fatichi a tollerare la frustrazione
I bambini iperprotetti non imparano a tollerare la frustrazione perché ogni disagio viene risolto in anticipo dagli adulti. Questo crea adulti che crollano facilmente di fronte alle difficoltà, che si sentono sopraffatti dalla minima resistenza, che non hanno sviluppato la “muscolatura emotiva” necessaria per vivere nel mondo reale.
A livello psicoanalitico, potremmo parlare di un Io non sufficientemente differenziato, poco capace di contenere l’angoscia. Questo porta a meccanismi di difesa primitivi come la fuga, la negazione, la somatizzazione.
7. Ti senti spesso indegno o “non all’altezza”
L’amore iperprotettivo può mandare un messaggio ambiguo: “Ti proteggo perché da solo non ce la faresti”. E questo messaggio, una volta interiorizzato, si trasforma in una profonda svalutazione del Sé. Il figlio non si sente mai abbastanza bravo, abbastanza capace, abbastanza forte.
Questa svalutazione può essere vista come l’effetto di una proiezione inconscia: il genitore proietta sul figlio la propria fragilità, e poi la combatte iperproteggendolo. Ma così facendo, blocca il processo di individuazione.
8. Non riesci a dire “no” senza sentirti cattivo
Chi ha avuto genitori iperprotettivi ha spesso difficoltà a porre limiti. Questo accade perché dire “no” è stato storicamente associato a un’idea di disobbedienza, di mancanza di riconoscenza. Ma in realtà, dire “no” è un atto di identità, di costruzione del Sé.
In termini analitici, potremmo dire che il confine dell’Io è stato compromesso: non c’è un senso chiaro di dove finisce l’altro e dove inizi tu. Questo genera relazioni simbiotiche, faticose, dove il bisogno di compiacere è costante.
9. Senti di non aver mai potuto sbagliare la tua strada
Magari hai sempre seguito le regole, fatto quello che ci si aspettava da te, scelto il percorso più sicuro. Ma dentro di te c’è una sensazione sorda, un disagio profondo: quella strada non è mai stata davvero la tua. Crescere con genitori iperprotettivi significa anche vivere all’interno di aspettative che ti precedono.
Questa è la dinamica del “falso Sé”, descritta da Winnicott: il bambino, pur di ricevere amore e approvazione, costruisce una personalità conforme, sacrificando la propria autenticità. Ma il prezzo è alto: una vita sentita come vuota, priva di senso.
10. Vivi un’ansia pervasiva che non sai spiegarti
L’ansia, in chi è cresciuto con genitori iperprotettivi, non nasce sempre da una causa specifica. È un’ansia esistenziale, diffusa, che accompagna ogni scelta, ogni cambiamento, ogni sfida. È l’eco di un mondo vissuto come pericoloso, instabile, imprevedibile.
Questa ansia ha radici profonde nel non aver mai potuto interiorizzare un senso di fiducia nel proprio valore e nelle proprie capacità. È un’ansia che dice: “Non ce la farò”, anche quando, razionalmente, tutto suggerirebbe il contrario.
Ritrovare la libertà di essere (e scegliere per sé)
Se ti sei riconosciuto in molte di queste dinamiche, non sei solo. E soprattutto: non sei rotto. Sei semplicemente cresciuto in un ambiente dove l’amore era troppo vicino, troppo presente, troppo vincolante. Ma non è mai troppo tardi per iniziare a separare ciò che sei da ciò che ti è stato proiettato addosso. Non è mai troppo tardi per fare spazio a te, ai tuoi bisogni autentici, alle emozioni inascoltate, alle strade non percorse.
La buona notizia è che queste dinamiche, per quanto profonde, non sono immutabili. Possiamo rieducarci emotivamente, possiamo imparare a fidarci di noi, possiamo anche imparare a sbagliare — e ad amarci anche quando non siamo all’altezza delle aspettative interiorizzate.
Nel mio libro “Il mondo con i tuoi occhi”, accompagno il lettore proprio in questo tipo di esplorazione interiore: non un viaggio per aggiustarsi, ma un percorso per vedersi davvero, al di là degli schemi che ci hanno costruiti. È un invito a disfare, più che a fare. A decolonizzare il proprio mondo interiore dai “doveri affettivi” ereditati, da quelle strutture che ci hanno detto chi essere per poter essere amati.
Spesso chi ha avuto genitori iperprotettivi ha interiorizzato l’idea che l’amore sia qualcosa che si conquista con la rinuncia, con il sacrificio, con la sottomissione emotiva. Il mio libro ti guida a sovvertire questa logica: non sei amabile nonostante ciò che sei, ma proprio perché sei come sei. E non devi restare incastrato nel copione di chi è stato cresciuto per piacere, per non deludere, per non fare preoccupare.
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A cura di Ana Maria Sepe, psicologo e fondatrice della rivista Psicoasvisor
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