Ci sono momenti in cui, anche stando a pochi centimetri dal proprio partner, ci si può sentire lontani anni luce. Hai mai provato quella sensazione frustrante di spiegarti, argomentare, chiedere, ma sentire che le tue parole scivolano addosso all’altro, come acqua sulla pietra? Come se parlassi una lingua sconosciuta o fossi invisibile? Ti sembra che non ti ascolti, e non perché sia distratto, ma perché non ti “sente” davvero.
È una delle ferite più sottili e dolorose delle relazioni: non essere compresi, nonostante tutti gli sforzi per comunicare
E non si tratta solo di comunicazione verbale, ma anche — e soprattutto — di quella emotiva. La comprensione, nelle relazioni intime, non nasce solo dalle parole, ma dalla qualità della presenza, dallo spazio mentale che riusciamo a dedicare all’altro, dalla capacità di “sentirlo” nel suo sentire.
Ma perché, allora, finiamo così spesso per non capirci? Perché ci ritroviamo in un gioco di specchi deformanti dove ciò che diciamo non arriva mai come vorremmo? La risposta non è semplice, ma affonda le sue radici nella nostra storia affettiva, nella struttura della mente e nelle dinamiche inconsce che, pur non viste, plasmano ogni nostro dialogo.
Quando non ascoltiamo davvero: il dialogo tra due mondi interni
Dal punto di vista psicoanalitico, ciò che chiamiamo “ascolto” va ben oltre l’udito. Ascoltare, nelle relazioni intime, significa dare ospitalità al mondo interno dell’altro, senza che il nostro mondo interno lo colonizzi. Ma questo è possibile solo se, a nostra volta, abbiamo avuto qualcuno che ha fatto questo per noi.
Winnicott, uno dei grandi maestri della psicoanalisi relazionale, sosteneva che per potersi “mostrare” emotivamente all’altro, occorre aver avuto un’esperienza precoce di essere “tenuti nella mente” da qualcuno. Se da bambini ci siamo sentiti visti e contenuti nelle nostre emozioni, allora potremo, da adulti, farlo anche con chi amiamo.
Ma se la nostra storia è stata segnata da genitori intrusivi, distratti o incapaci di sintonizzarsi, il nostro ascolto da adulti sarà disturbato da eco inconsce: giudizio, difesa, interpretazione, attacco.
In molte coppie, il partner non è davvero ascoltato, ma piuttosto proiettato. L’altro diventa il contenitore delle nostre paure, dei nostri bisogni non riconosciuti, delle nostre parti scisse. E così, invece di ascoltarlo, ci difendiamo da ciò che temiamo di sentire. Questo è ciò che accade quando uno dice: “Mi sento trascurata” e l’altro risponde: “Stai dicendo che non valgo niente?” — un classico esempio di ascolto filtrato da ferite antiche.
Il linguaggio emotivo: una grammatica spesso mai appresa
Non tutte le incomprensioni nascono da mancanza di empatia. Spesso, i partner si amano sinceramente, ma non conoscono la grammatica emotiva dell’altro. Parlano linguaggi diversi, costruiti nel tempo dalle rispettive esperienze infantili.
Chi ha imparato a difendersi dal dolore emotivo con il silenzio, tenderà a chiudersi nei momenti di conflitto. Chi, al contrario, ha dovuto urlare per sentirsi visto, diventerà insistente, accusatorio. Il risultato? Due stili relazionali che si scontrano e si fraintendono continuamente, alimentando una spirale di frustrazione.
Qui entra in gioco anche la neuroscienza. Studi sul cervello sociale (Porges, Cozolino) ci mostrano che in situazioni di tensione emotiva, l’attivazione del sistema nervoso autonomo — in particolare dell’amigdala — può inibire le funzioni della corteccia prefrontale, sede della regolazione emotiva e della comunicazione consapevole. In altre parole, quando ci sentiamo minacciati emotivamente (anche solo da una critica), il nostro cervello reagisce come se fosse in pericolo fisico, impedendoci di ascoltare davvero.
Questa risposta è automatica e non cosciente. Per questo, molte incomprensioni avvengono anche tra partner che si amano profondamente: non è mancanza di volontà, ma una reazione difensiva radicata.
Le ferite invisibili che parlano al posto nostro
Nel cuore delle incomprensioni c’è spesso un dolore antico che cerca voce. Ogni partner porta nella relazione le sue ferite, e quando queste non sono state elaborate, diventano filtri attraverso cui leggiamo ogni parola dell’altro.
Se da bambini siamo stati ignorati, anche un semplice “non ora” del partner può riattivare quella ferita primordiale. Se siamo cresciuti con genitori critici, ogni osservazione del partner ci sembrerà un attacco personale.
In psicoanalisi si parla di “transfert”: il modo in cui rivediamo nel partner le figure genitoriali del passato. Ma il transfert non è solo un concetto clinico: è una dinamica quotidiana che plasma il nostro modo di ascoltare e di essere ascoltati.
Ecco perché, spesso, non ci capiamo: perché non stiamo parlando con il partner reale, ma con una figura interna che proiettiamo su di lui o su di lei. E le parole si perdono in una danza confusa tra presente e passato.
Quando l’ascolto diventa impossibile: il cortocircuito della reattività
Molte incomprensioni nascono nel momento esatto in cui la comunicazione si trasforma in reazione. Invece di stare con l’altro, reagiamo. Invece di ascoltare, rispondiamo per difenderci.
Questo meccanismo si alimenta di reattività affettiva, una dinamica che blocca la possibilità di comprensione autentica. Come ho evidenziato anche nel mio nuovo libro, la reattività può essere:
- Passiva, quando ci chiudiamo in noi stessi, smettendo di rispondere emotivamente.
- Aggressiva, quando attacchiamo l’altro per proteggerci dal sentirci vulnerabili.
In entrambi i casi, il messaggio emotivo dell’altro non viene elaborato, ma respinto o distorto, e il dialogo si interrompe. Solo quando usciamo dalla reattività e torniamo a un ascolto regolato e intenzionale, possiamo davvero comprenderci. Ma questo richiede un allenamento profondo e, spesso, anche un lavoro su di sé.
Udire non è comprendere: il ruolo dell’empatia matura
La vera comprensione nasce da un’empatia matura, quella che non si limita a “mettersi nei panni dell’altro”, ma riesce a contenerlo senza confondersi con lui.
Questo tipo di empatia non è innata: è il frutto di uno sviluppo affettivo sano, di una mente capace di tollerare la differenza senza sentirsi minacciata. Nella coppia, l’empatia matura permette di ascoltare l’altro senza giudizio e senza ansia di rispondere, ma solo per accoglierlo.
Spesso, ciò che cura non è trovare una soluzione, ma sapere che c’è qualcuno disposto a stare con noi nel nostro sentire. Un ascolto profondo può sciogliere nodi antichi che mille parole non riuscirebbero a disfare.
La mente che mente: quando proiettiamo il nostro mondo interiore
In molte relazioni, l’incomprensione nasce anche da una dinamica più sottile: la proiezione svalutativa egodifensiva. È un concetto che ho approfondito in ambito clinico e che descrive quel meccanismo per cui ciò che non accettiamo in noi stessi viene attribuito all’altro, svalutandolo.
Così, chi si sente insicuro dentro, accuserà il partner di essere distante. Chi non tollera la propria rabbia, leggerà rabbia in ogni parola dell’altro. In questi casi, il dialogo è già compromesso in partenza, perché non stiamo parlando con l’altro, ma con ciò che vogliamo espellere da noi stessi.
Questa dinamica non è patologica in sé, ma può diventarlo se diventa costante. Il primo passo per superarla è riconoscere che ogni parola che ci ferisce profondamente sta toccando una parte di noi che ha ancora bisogno di essere vista.
Comprendersi è un atto d’amore che si impara
Comprendersi davvero non è qualcosa che accade spontaneamente. È una scelta quotidiana, un esercizio costante di presenza, empatia e responsabilità affettiva. Le incomprensioni in coppia sono inevitabili, ma diventano pericolose solo quando smettiamo di cercare il significato emotivo nascosto dietro le parole.
Imparare a capirsi, prima ancora che a comunicare, è un percorso che richiede consapevolezza delle proprie ferite, capacità di regolazione emotiva e volontà di vedere l’altro per ciò che è, non per ciò che temiamo o speriamo che sia.
Nel mio libro Il mondo con i tuoi occhi esploro proprio questi temi: come le nostre esperienze precoci influenzano il modo in cui costruiamo le relazioni, e come possiamo liberarci dai condizionamenti interiori per creare legami più autentici e sani. Non si tratta di “fare meglio” in coppia, ma di imparare a vedere e ascoltare l’altro con occhi nuovi, a partire da un nuovo ascolto di sé. Perché l’amore, quando è autentico, non ha bisogno di essere perfetto. Ha solo bisogno di essere presente. Per immergerti nella lettura del mio libro e farne tesoro, puoi ordinarlo qui su Amazon) oppure in libreria.
A cura di Ana Maria Sepe, psicologo e fondatrice della rivista Psicoasvisor
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