Vai a un concerto? Quello che cerchi in un artista dice molto di te

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Dott.ssa in biologia e psicologia. Esperta in genetica del comportamento e neurobiologia. Scrittrice e founder di Psicoadvisor

Qualche tempo fa abbiamo proposto, sui nostri canali social, un reel in cui il cantante Lewis Capaldi era stato costretto a interrompere l’esecuzione di un suo brano a causa della sindrome di Tourette. Il concerto, però, non si è interrotto: il pubblico ha cantato per lui. Lo ha sostenuto, lo ha accompagnato tenendolo in scena. Non per pietà ma per una splendida alleanza di empatia.

Abbiamo postato quel reel perché da un lato ci ha dato la possibilità di parlare della sindrome di Tourette (poco conosciuta) e dall’altro, ci ha offerto l’occasione di mostrare un momento di umanità condivisa. Perché diciamocelo, in genere ci guardiamo bene dal mostrare le nostre vulnerabilità in pubblico. Quel reel, dal nostro canto, parlava di questo, di quanto siamo disposti ad accogliere le fragilità e l’imprevisto nell’altro. Ma… purtroppo, non tutti hanno questa disposizione. Non sono mancati commenti “pesanti”.

  • «Un biglietto costa un botto e poi non puoi neanche sentire la tua canzone preferita»
  • «Paghi il biglietto per fare karaoke, io avrei chiesto il rimborso»
  • «Vai lì e non puoi neanche ascoltare la sua canzone di punta, che senso ha?»
  • «Ho pagato per sentire cantare lui non per fare il coro»

Mi sono premurata di edulcorarli e riportare i commenti più pacati per sollevare una questione che va oltre la sindrome di Tourette o le fragilità che dovremmo “accogliere”. Vorrei focalizzarmi sul valore che diamo alle persone. Le persone non sono oggetti, non sono strumenti per il proprio piacere edonistico, anche se hai pagato un biglietto, anche se hai investito molto emotivamente, ti sei sposato o l’hai messo al mondo tu. Tienilo ben presente sia quando ti relazioni, sia quando acquisti il biglietto di un concerto.

Le aspettative che abbiamo sugli altri, cantanti compresi

Tra partner amorosi c’è un tipo di contratto implicito: io ho queste aspettative da te e tu hai aspettative su di me. Se io le rispetto, allora tu mi dai qualcosa in cambio. Se tu rispetti le mie aspettative, allora io ti do qualcosa in cambio. Giusto? Se la tua relazione d’amore funziona così, sappi che è disfunzionalissima. L’amore dovrebbe basarsi sull’accettazione. Ti amo per ciò che sei e accetto ciò che tu puoi e sei disposto a darmi. Se ciò che puoi darmi non è in linea con i miei bisogni, non vivrò di pretese e ricatti, non farò coercizione, non ti umilierò… semplicemente, cambierò partner!

Tra cantante e pubblico vige più o meno lo stesso contratto. Io vengo ai tuoi concerti ma tu canti le canzoni che io mi aspetto. Io ti faccio like ai post, ma tu devi mettere le cose che mi piacciono altrimenti ti critico o addirittura ti umilio. E questo è estremamente disfunzionale.

Viviamo in una cultura che consuma tutto. Consuma storie veloci, i volti, le voci, spesso ci consumiamo a vicenda pretendendo dall’altro ciò che non riusciamo a concedere a noi stessi. Così capita anche per i personaggi in vista: pretendiamo da loro che soddisfino, in qualche misura, il nostro bisogno di essere rappresentati, il nostro bisogno di affermazione identitaria. Dimentichiamo che loro non sono noi. Dimentichiamo che un cantante, anche se con la sua canzone ci ha regalato tante emozioni, non dovrebbe mai essere visto come un qualcosa che ci rappresenti ma come qualcuno-diverso-da-sé-da-accettare. Proprio come dovremmo fare con chiunque altro.

La scaletta del cantante

Quest’anno andrò ad ascoltare diversi artisti. Ho già i biglietti e sono molto emozionata. Pensavo ai cantanti, a quando devono decidere le scalette e si ritrovano a cantare migliaia di volte sempre gli stessi brani. Pensavo alla mia voglia di ascoltare dei pezzi meravigliosi che si scontrava con la noia o la saturazione che un cantante potrebbe nutrire circa un pezzo. Anche perché le canzoni scritte o interpretate, possono aver rappresentato i vissuti dell’artista anche solo per un frangente della sua vita.

Possono aver dato voci a emozioni che lo stesso artista vorrebbe dimenticare… invece è costretto a cantarle e attraversarle ancora e ancora. Come in un loop. Allora, devo ammetterlo, rinuncerei volentieri ad ascoltare la mia canzone preferita se questo renderebbe la performance artistica più autentica.

È nella spontaneità e nell’autenticità che riusciamo a dare il meglio (e questo vale anche per un cantante sul palco che magari potrebbe concedersi la libertà di scegliere una scaletta più autentica, più in linea con le sue emozioni del momento). Allora sì che non sarebbe intrattenimento ma espressione libera. E la libertà comporta qualsiasi possibilità, anche quella di non riuscire. Di doversi fermare. E qui torniamo alla nostra disponibilità ad accogliere l’altro per ciò che è e non per ciò che vogliamo che sia.

Sappi che ogni volta che fai pressione su qualcuno affinché soddisfi un tuo bisogno a scapito dell’espressione di sé, ti stai deprivando di autenticità.

Tu cosa preferiresti?

Immagina di avere la fortuna di ascoltare dal vivo il tuo cantante preferito, vorresti che cantasse le canzoni che tu più ami o quelle che più lo rappresentano? Da qui si traccia una linea di demarcazione nettissima. Stai oggettivando l’altro o stai cercando di conoscerlo e apprezzarlo per ciò che è? Ormai penso che avrai capito, in questo articolo non parlo solo di concerti. Quando pretendiamo che l’altro sia sempre disponibile, performante, sorridente, impeccabile, pronto a soddisfarci, lo stiamo usando.

È nel momento in cui smettiamo di interrogarci sul peso delle nostre aspettative e le vulnerabilità dell’altro, che trasformiamo l’altro in una merce, un oggetto. Non più una persona sfaccettata con caratteristiche a sé.

Essere fan (o essere in qualsiasi relazione) significa anche saper proteggere

A breve andrò ad ascoltare un’artista che amo (di quei concerti dove sei seduto). Il pensiero che abbia scelto la sua scaletta in base all’indice di gradimento del pubblico e non in base ai suoi gusti personali, mi rattrista. Noi “fan” dovremmo apprezzare l’altro per ciò che è, dovremmo lasciarlo libero in ogni sua manifestazione personale senza inciampare nel giudizio feroce, nella pretesa.

Nel relazionarmi a qualsiasi persona -anche nelle relazioni incompiute come quella tra fan e artista- mi fa stare male l’idea che l’altro debba fare qualcosa che non vuole, che non sente, che fa solo perché costretto da pressioni esterne. Vorrei solo che l’altro si sentisse libero di essere ciò che è.  È vero, ho pagato un biglietto (così come posso aver investito tante energie in una relazione) ma questo non mi dà il diritto di disprezzare o pretendere qualcosa che l’altro non sarebbe disposto a darmi. Ogni relazione dovrebbe basarsi sul principio della libertà. Lasciamo l’altro libero di esprimersi come si sente e impariamo a conoscerlo per ciò che è, dovremmo essere curiosi e non pretenziosi. Se non ci piace cosa ci dà l’altro, in modo libero e spontaneo, non fa per noi!

Ma se decidiamo di sostare in quella relazione, dovremmo ricordarci che siamo ospiti nella vita degli altri e dovremmo scegliere con cura anche chi ospitare nella nostra vita. Persone che accogliamo e ci fanno sentire accolte. Dovremmo alimentare la nostra capacità di accettare l’altro, custodirlo senza possederlo. Qui c’è la chiave relazionale ed etica del vivere insieme: saper accogliere gli altri senza il bisogno di dominarli, senza farli diventare proiezione dei nostri bisogni, senza trasformarli in estensioni di chi siamo. Accogliere è un atto di stima o d’amore attivo, che protegge senza soffocare. Possedere, invece, è un gesto di controllo, che pretende, limita e cancella l’altro. Nelle relazioni e ai concerti, non tentare di cancellare l’altro.

Autore: Anna De Simone, psicologo esperto in psicobiologia
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