Quando fai un percorso introspettivo, un buon esercizio terapeutico consiste nel “dialogare” con l’emozione o meglio, con la parte di te ferita che genere quell’emozione. È un esercizio molto semplice per chi ha già imparato a conoscersi (mediante un buon percorso terapeutico e attraverso la lettura dei miei libri). Come funziona? Si sceglie un’emozione ingombrante, quella che più invalida la propria vita e si inizia a parlare con lei come se fosse davanti a noi. In questo articolo affronterò, con delicatezza, un tête-à-tête con l’ansia; nel prossimo articolo affronteremo insieme un dialogo con un’emozione altrettanto scomoda: la rabbia. Ma proseguiamo con gradi e torniamo all’ansia.
Se la tua ansia potesse parlarti, ecco cosa ti direbbe
Ciao, lo so che sono opprimente e che non mi vorresti al tuo fianco ma ti giuro, non voglio farti male. Sono qui solo per proteggerti. Tu forse non lo ricorderai ma c’è stato un tempo in cui essere te stesso era impossibile, sì, perché ti facevano sentire sempre “troppo” o “troppo poco”. Bastava un tuo piccolo errore per perdere l’amore, per sentirti chiuso fuori, escluso… ed era una sensazione insostenibile.
Allora io ti ho insegnato a nasconderti, a diventare piccolo per non essere abbandonato, per non essere rifiutato, per risparmiarti il dolore degli sguardi giudicanti di chi, per te, era molto importante. Di chi, per te, avrebbe dovuto esserci e non c’è stato, almeno non come avrebbe dovuto. A quel tempo, l’invisibilità era l’unico modo per sopravvivere.
A quel tempo io c’ero e da allora, giuro che non ti ho mai lasciato e ho fatto sempre del mio meglio per proteggerti. Ancora oggi. Sono vigile e mi attivo tutte le volte che sento odore di pericolo. E per me, il pericolo ha il volto di uno sguardo che giudica, di una parola che ferisce, di un silenzio che esclude.
Quando temo che stia per accadere di nuovo, che qualcuno possa umiliarti, abbandonarti, respingerti o rifiutarti, arrivo io. Arrivo perché voglio limitarti, inibirti, renderti ancora una volta invisibile… perché un tempo questa strategia ha funzionato e io, da allora, non ho imparato a fare altro. Ma… pian piano, puoi insegnarmi tu.
Non voglio impedirti di vivere. Voglio solo evitare che tu soffra ancora. Ma mi rendo conto che forse, per proteggerti, ti sto anche facendo perdere pezzi importanti di vita. E se tu mi aiutassi a capire quando è davvero pericolo… e quando invece posso fidarmi?
Usa dolcezza e pazienza perché il problema è che io non so distinguere tra passato e presente. Per me, ogni sguardo critico è ancora quello lì. Quello che ti ha fatto vergognare di chi sei. Come ti dicevo, tendimi la mano. Vorrei che mi aiutassi a capire che sei adulto ormai, che ora sei al sicuro, anzi, che siamo al sicuro… Perché ormai lo avrai intuito, io sono parte di te e ti voglio bene.
E ora che hai ascoltato la mia voce, cosa ne diresti di parlarmi tu? Tutte le volte che vengo da te, che arrivo senza preavviso… Ti prego, usa con me parole rassicuranti così da iniziare a sentirci finalmente liberi.
Le emozioni non sono un sintomo da zittire
A volte le emozioni sembrano troppo grandi e allora le trattiamo come un sintomo da zittire… Ci travolgono, ci confondono, ci spaventano. Eppure… dentro ognuna di loro c’è una voce che chiede solo di essere ascoltata. Ma nessuno ci ha educati all’ascolto, anzi, al contrario. Fin da bambini, i nostri genitori, ci insegnano involontariamente a sopprimerle, per poi pagarne le conseguenze da adulti.
- «Smettila di piangere!», «Non essere triste!»
Come se il pianto o la tristezza fossero qualcosa da evitare a ogni costo, e non un’espressione naturale del sentire - «Dai! Smettila che non è successo nulla»
Un tentativo di minimizzare che però può far sentire il bambino sbagliato per ciò che prova. - «Ma che fai i capricci? Sai che solo i bambini piccoli fanno così?!», «Vedi tuo fratello, prendi esempio da lui!»
Trasmette vergogna e un’idea di inadeguatezza rispetto all’espressione emotiva e rispetto al confronto sociale. Ogni paragone, poi, induce il piccolo ad aderire a un modello, all’omologazione sociale. - «Se ti arrabbi ti metto in castigo»
Colpevolizza un’emozione naturale, invece di insegnare a gestirla. - «Non fare quella faccia lì, dai sorridi!»
Sostituisce l’autenticità con l’apparire, inducendo il bambino a mostrare ciò che gli altri vogliono vedere. - «Ma non ti vergogni a comportarti così?!»
Colpevolizza il vissuto emotivo, lasciando il bambino umiliato, solo con la sua confusione. - «Sei troppo sensibile»
Ancora una volta, spinge verso un’omologazione. Etichetta la sensibilità come debolezza, piuttosto che come risorsa da proteggere e modulare.
Giorno dopo giorno, impariamo a ignorare ciò che sentiamo, anche se ciò che sentiamo rimane lì, non sparisce, è solo inascoltato. Allora le emozioni quando tornano si fanno sempre più forti, diventano intense per farsi ascoltare. Ogni emozione ha una ragione d’esistere, anche se si pensa che siano irrazionali. Emergono in contesti all’apparenza dissonanti solo perché, quando era naturale la loro espressione, abbiamo fatto di tuto per zittirle. Ecco perché la nostra emotività gode di una tale brutta fama: la nostra trascuratezza infantile. Le nostre soppressioni. La nostra volontà di diventare invisibili (e rendere invisibile anche il nostro cuoricino tumultuoso) pur di far contenti mamma e papà. Pur di non deludere chi amavamo.
Beh, se è vero che niente può essere silenziato, è altrettanto vero che tutto può essere trasformato. E parlare con le nostre emozioni è un modo per farlo.
Un esercizio profondamente trasformativo
Il dialogo con le nostre emozioni (e con la parte di noi che le ha generate) — sì, proprio come se fossero sedute davanti a noi — è uno degli esercizi terapeutici più profondi e trasformativi che possiamo fare. Un allenamento semplice, ma che richiede coraggio e consapevolezza.
In questo articolo ho immaginato che fosse l’ansia a parlarti. Non per spaventarti, ma per spiegare cosa sente, cosa teme, e perché è così presente; perché dietro l’ansia, c’è solo una parte di te che ha imparato a ritirarsi troppo presto, non per vigliaccheria ma per necessità.
Si tratta di un esercizio che puoi fare facilmente se hai già iniziato a guardarti dentro, magari grazie a un percorso terapeutico o leggendo dentro di te con il cuore, come insegno a fare nei miei libri. Allora, quando arriva, se hai voglia di prenderti cura di te e dei tuoi stati emotivi, ricorda di rispondere con calma e di farlo sempre con parole gentili. Con una carezza, una promessa… Per te sarà l’inizio di un nuovo dialogo. Uno in cui non ti senti più in guerra con te stesso, ma… alleato.
In effetti, più di un dialogo, quello che si verifica è un incontro intimo e profondo con se stessi: vero, autentico, niente più narrazioni fittizie, niente più resistenze, ne’ difese, solo verità. E la verità, si sa… anche se dolorosa, è l’unica cosa che ci rende liberi. Ed è tutto ciò che ti auguro. Se hai voglia di capirti e cimentarti con esercizi terapeutici come questo, ti consiglio la lettura del mio libro «il mondo con i tuoi occhi», lo trovi in tutte le librerie o a questa pagina Amazon.
Autore: Anna De Simone, psicologo esperto in psicobiologia
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