Perché l’adrenalina può bloccare o attenuare la percezione del dolore

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Dottoressa in psicologia, esperta e ricercatrice in psicoanalisi. Scrittrice e fondatore di Psicoadvisor

Ci sono momenti in cui il dolore sembra svanire. Un taglio profondo, un colpo improvviso, una distorsione netta e violenta… eppure niente. Nessuna lacrima, nessun grido. Solo un vuoto momentaneo, come se il corpo avesse deciso di “staccare la spina”. È come se la sofferenza si fosse congelata, nascosta sotto una coltre di ghiaccio trasparente. Eppure c’è. Silenziosa, latente, pronta a riemergere non appena il contesto cambia, non appena il pericolo passa.

Questo fenomeno non è frutto della volontà né di una straordinaria capacità di resistenza. È una risposta biologica potente, automatica, antica: una scarica di adrenalina che sovrascrive tutto il resto, inclusa – temporaneamente – la percezione del dolore.

È il corpo che protegge se stesso

La mente che mette in pausa il dolore per permetterci di sopravvivere. L’organismo che sceglie, in una manciata di millisecondi, che sentire dolore in quel momento sarebbe… controproducente.

E così, in mezzo a un incidente, a una gara estrema, a una fuga improvvisa, molte persone riferiscono di “non essersi accorte di nulla”, di essersi accorte della ferita solo dopo, quando tutto era finito.
Ma come è possibile che un dolore oggettivamente intenso venga ignorato? Che cosa accade nel cervello e nel corpo in quei momenti? E perché, a volte, anche sul piano emotivo, sembra che non proviamo nulla – per poi crollare più tardi?

In questo articolo, esploreremo nel dettaglio il ruolo dell’adrenalina nella percezione del dolore, collegando aspetti neuroscientifici, psicologici ed evolutivi, per restituire una lettura integrata di un meccanismo tanto affascinante quanto essenziale.

Cos’è l’adrenalina e quando viene rilasciata

L’adrenalina (nota anche come epinefrina) è un ormone e neurotrasmettitore prodotto principalmente dalle ghiandole surrenali, situate sopra i reni. La sua produzione è attivata in risposta a situazioni di stress acuto o pericolo, che innescano la cosiddetta risposta “fight or flight” – combatti o fuggi.

Quando il cervello, attraverso l’amigdala e l’ipotalamo, rileva una minaccia (reale o percepita), invia un segnale all’intero corpo per prepararsi all’azione. In pochi secondi:

  • la frequenza cardiaca aumenta;
  • la pressione sanguigna si alza;
  • la glicemia cresce;
  • le pupille si dilatano;
  • e, cosa ancora più rilevante per il nostro tema: il corpo inizia a “spegnere” le funzioni non essenziali, tra cui la percezione del dolore.

Questa risposta ha un’origine evolutiva chiara: in un contesto di pericolo, sentire dolore potrebbe compromettere la sopravvivenza. L’organismo preferisce affrontare l’immediato – correre, lottare, difendersi – per poi, eventualmente, crollare quando è al sicuro.

Il dolore: una costruzione del cervello

Prima di comprendere come l’adrenalina possa “bloccare” il dolore, è fondamentale ricordare un punto chiave: il dolore non si trova nella ferita, ma nel cervello.

La percezione del dolore non è una risposta diretta al danno tissutale, ma il risultato di una elaborazione centrale. I nocicettori (terminazioni nervose specializzate) rilevano il danno o il pericolo, ma è il cervello che decide quanto dolore provare, e se provarlo del tutto.

In condizioni normali, i segnali di danno vengono inviati attraverso il midollo spinale fino al talamo, e da lì trasmessi alle aree corticali superiori (soprattutto la corteccia somatosensoriale, l’insula e la corteccia cingolata anteriore), che attribuiscono significato, localizzazione e intensità al dolore.

Ma questo processo può essere modulato, in alto o in basso, da molteplici fattori: emozioni, contesto, significato dell’evento e, soprattutto, neurotrasmettitori.

Come l’adrenalina attenua la percezione del dolore

1. Modulazione centrale del dolore

L’adrenalina agisce a più livelli del sistema nervoso. Uno degli effetti principali è la sua capacità di potenziare i sistemi inibitori centrali del dolore.

Attraverso il circuito discendente del dolore – che coinvolge strutture come il periaqueductal gray (PAG) e il nucleo del rafe – l’adrenalina stimola il rilascio di endorfine e encefaline, oppioidi endogeni che riducono la trasmissione del segnale dolorifico al livello del midollo spinale. In pratica, è come se il cervello inviasse un messaggio al corpo: “Non sentire adesso, non è il momento”.

2. Effetto periferico: vasocostrizione e riduzione dell’infiammazione

A livello periferico, l’adrenalina provoca vasocostrizione, riducendo temporaneamente l’afflusso di sangue nell’area lesa. Questo rallenta l’infiammazione locale e la trasmissione dei segnali nocicettivi, attenuando la sensazione di dolore.

3. Azione sul sistema limbico

L’adrenalina agisce anche sull’amigdala e sul sistema limbico, modificando l’attenzione e la valutazione emotiva dell’esperienza. In uno stato di iperarousal, il cervello è così focalizzato sulla sopravvivenza che “sceglie” di non elaborare lo stimolo doloroso, concentrandosi solo sul movimento, la fuga o la lotta.

Il paradosso del “non sentire nulla”

Uno degli effetti più affascinanti dell’adrenalina è proprio questo: l’effetto dissociativo. In condizioni estreme, alcune persone riferiscono di non aver provato nulla – né dolore fisico né panico emotivo. Questa anestesia temporanea può sembrare un superpotere… ma ha un prezzo.

Spesso, una volta che il pericolo è passato e i livelli di adrenalina calano, il dolore irrompe improvvisamente. Si manifestano la ferita, l’ematoma, la stanchezza, a volte anche il collasso emotivo. Il nostro cervello, mentre ci protegge nel momento acuto, “rimanda” alcune percezioni. Ma rimandare non significa annullare.

Esempi reali: sportivi, sopravvissuti, soldati

In molte testimonianze di atleti di alto livello o di persone coinvolte in incidenti, si ritrova la stessa narrazione: “non mi ero accorto di essere ferito”.

  • Il calciatore che gioca l’intera partita con una frattura.
  • La madre che solleva un oggetto pesantissimo per salvare il figlio.
  • Il soldato che, in battaglia, ignora una ferita grave per mettere in salvo i compagni.

Sono storie che sembrano incredibili ma che trovano piena spiegazione nel ruolo dell’adrenalina. Non si tratta di incoscienza, ma di una disattivazione temporanea del sistema percettivo, a favore di una prestazione massima.

Adrenalina e dolore emotivo: c’è un legame?

Sì. E qui il discorso si fa ancora più interessante. Così come l’adrenalina può modulare il dolore fisico, può anche interferire con la percezione del dolore emotivo, almeno temporaneamente. In situazioni di forte stress (una lite violenta, una separazione improvvisa, un lutto), alcune persone riferiscono di non sentire nulla, come se fossero “anestetizzate”.

Questo stato dissociativo – in parte indotto dall’adrenalina – è una forma di protezione. Il dolore verrà elaborato, ma non subito, perché il corpo ha bisogno di far fronte alla crisi. Tuttavia, quando l’adrenalina cala, il dolore psichico può travolgere, proprio come quello fisico. E spesso lo fa in modo ancora più profondo e disorientante.

Cosa succede dopo: il crollo fisiologico

Dopo il picco adrenergico, il corpo entra in una fase di recupero e compensazione. Si abbassano i livelli di adrenalina, e può manifestarsi:

  • dolore intenso e improvviso;
  • stanchezza estrema;
  • tremori;
  • pianto;
  • crollo emotivo.

Il corpo si riprende quello che ha “messo in pausa”. È un momento delicato, che può far emergere anche sintomi da stress post-traumatico se l’evento è stato particolarmente intenso.

Adrenalina cronica: quando lo stress si cronicizza

L’adrenalina, però, è un’arma a doppio taglio. Se l’attivazione adrenergica è acuta e puntuale, può salvare la vita. Ma se diventa cronica – come accade in chi vive in uno stato costante di allerta, ipercontrollo, tensione o ansia – il corpo paga un prezzo altissimo. Il sistema nervoso simpatico, se resta cronicamente attivo, continua a stimolare il rilascio di adrenalina, anche quando non ce n’è un reale bisogno. Il corpo resta in uno stato di allerta costante, consumando risorse vitali e impedendo un vero recupero. Questo può causare:

  • ipersensibilità al dolore (iperalgesia);
  • tensioni muscolari croniche;
  • insonnia;
  • sbalzi emotivi;
  • esaurimento delle riserve corporee.

In altre parole, ciò che ci protegge in acuto, ci consuma in cronico. Anche per questo è così importante imparare a riconoscere e regolare gli stati di attivazione interna, attraverso un lavoro psicologico, corporeo e relazionale.

Quando il corpo ci protegge, ma ha bisogno di ascolto

L’adrenalina è una forma potente di amore biologico. È il modo in cui il corpo ci dice: “Ora ti proteggo io. Adesso pensa solo a sopravvivere”.
Ma non possiamo viverci dentro per sempre.

Il dolore, anche quando è messo in pausa, chiede di essere sentito, ascoltato, integrato. È così che ci curiamo davvero: permettendo al corpo di difendersi quando serve, e alla mente di abbracciare ciò che è stato, quando è il momento.

Nel viaggio verso la consapevolezza e la libertà interiore, imparare ad ascoltare i segnali del corpo – anche quando sembrano assenti – è una delle chiavi più importanti.
E quando ci sembra di non provare nulla… forse è il nostro sistema nervoso che sta solo cercando di tenerci in piedi, un respiro alla volta.

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A cura di Ana Maria Sepe, psicologo e fondatrice della rivista Psicoasvisor
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