Essere amati a condizione che… È questo il cuore invisibile di tante relazioni: familiari, romantiche, affettive. Un cuore invisibile perché quel “a condizione che…” solo raramente viene esplicitato a parole. Più spesso è un vincolo tacito che implicitamente condiziona tutta la tua esistenza, un ricatto interiore sempre vivo.
Prima di proseguire con l’articolo, ti fornirò un elenco di condizioni che forse hai sperimentato durante l’infanzia o più di recente. Vediamo quali di queste frasi risuona in te.
- Ti amo se non chiedi troppo.
- Ti amo se ti metti da parte.
- Ti amo se mi credi anche quando mento.
- Ti amo se fai finta di niente.
- Ti amo se non mi deludi.
- Ti amo se mi rendi la vita facile.
- Ti amo se sei ciò che voglio.
- Ti amo se sei rassicurante.
- Ti amo se sei infrangibile.
- Ti amo se sei come me.
- Ti amo se non sei come tuo padre.
- Ti amo se sorridi.
- Ti amo se non ti arrabbi.
- Ti amo se non cresci.
- Ti amo se non ti allontani.
- Ti amo se non dai fastidio.
- Ti amo se ti prendi cura di me.
- Ti amo se hai bisogno di me.
- Ti amo se non ti lamenti.
- Ti amo se ti accontenti.
«Ti sono vicino a patto che…», «Ti amo a condizione che…». Questa è la radice invisibile di tanti dolori che ci portiamo dentro senza capirne fino in fondo l’origine. La cosa più dolorosa? Quel “a patto che” spesso ci induce a rinunciare a noi stessi e…
Non sacrifichiamo parti di noi per amore autentico. Lo facciamo per rispondere a un’aspettativa silenziosa, per non deludere chi ci ha donato solo un amore condizionato.
Quando l’amore richiede una rinuncia
Quando l’amore che riceviamo da bambini richiede una rinuncia, non ci modelliamo per scelta consapevole, ma per sopravvivenza emotiva. Accettiamo di sorridere quando vorremmo piangere. Siamo disposti a negare in nostri bisogni, pur di non perdere l’approvazione. Accettiamo di rinunciare a chi siamo, pur di non sentirci sbagliati.
Così impariamo che l’amore non è libertà ma negoziazione costante. Non è accoglienza, ma adesione e soprattutto, non è essere visti, ma essere utili, funzionali; “perché se mi sento utile, allora ho valore e sono amabile“.
Il figlio-oggetto e il partner-oggetto
Quando il tuo valore viene misurato sulla base di quanto riesci a compiacere, tu non sei più una persona: diventi uno strumento emotivo per l’altro. Sei il figlio che deve ripagare, il partner che deve confermare, il compagno che deve aggiustare vuoti antichi non suoi.
Il figlio-oggetto non è libero di esplorare, di sbagliare, di cambiare idea. Il partner-oggetto non è libero di crescere, di allontanarsi, di dissentire. Ogni deviazione dallo script viene vissuta come tradimento, come minaccia, come abbandono.
Chi cresce in questo terreno instabile impara una verità distorta:
«se sarò me stesso, perderò l’amore».
L’adattamento come sopravvivenza
Per questo, tante delle nostre scelte non sono davvero libere.
Sono tentativi — a volte disperati, a volte silenziosi — di conservare un amore fragile, incerto, condizionato. Rinunciamo a pezzi di noi stessi senza nemmeno accorgercene. E con il tempo, quello che sacrifichiamo smette di sembrarci importante ma lo è, perché è la causa della nostra insoddisfazione: in nome dell’amore, diventiamo estranei a noi stessi.
Il patto invisibile: amore in cambio di sacrifici
L’amore, quando è strumentale, non ci chiede di essere felici. Ci chiede di essere funzionali ai bisogni degli altri. Di aderire a uno scopo. Così, anche da adulti, spesso non cerchiamo chi ci ama per chi siamo. Cerchiamo inconsciamente chi si aspetta da noi che torniamo a interpretare quel copione.
Siamo stati il figlio che realizza i sogni mancati. Che riscuote i debiti emotivi di mamma e papà. Che compensa mancanze oppure che incarna il perfetto contenitore delle frustrazioni genitoriali. Siamo il partner che placa paure ancestrali e, con molte probabilità, cerchiamo anche noi un partner-cerotto, da usare come benda emotiva sulle nostre ferite.
Hai rinunciato alla libertà in nome di un falso amore
Il figlio-oggetto (così come il partner-oggetto) non è mai davvero libero. Non può esplorare chi è, non può deviare, non può cercare la sua verità. Perché farlo significherebbe tradire. Tradire il bisogno dell’altro di specchiarsi, di sentirsi importante, giusto, risarcito, potente. Tradire il copione che è stato scritto per lui prima ancora che nascesse (e ancora prima di quel “primo incontro” in caso di una relazione romantica).
Crescere in una relazione strumentale, dove l’amore è merce di scambio e l’identità un compromesso, lascia ferite invisibili (per fortuna, non indelebili), perché un figlio-oggetto non si sente mai veramente visto, veramente amato. Spesso, da adulto, continua a vivere allo stesso modo: cercando di compiacere, adattarsi, meritare… Ma non può essere felice se è stato costretto a rinunciare a se stesso.
Crescendo, a poco a poco interiorizziamo l’idea che per essere amati dobbiamo tradirci. La cosa assurda è che arriviamo al punto che non è più l’altro a chiederci di cambiare. Siamo noi stessi a convincerci che per essere degni d’amore dobbiamo essere “diversi da chi siamo”. Ci convinciamo che è normale soffocare una parte di noi per essere accettati anche entro noi stessi. Lo abbiamo imparato da come siamo stati trattati e “pseudoamati”.
L’esercizio terapeutico: la lista delle cose che hai sacrificato
E allora oggi ti propongo di fermarti. Di respirare un momento. E di scrivere. Non per giustificare, non per accusare. Solo per vedere. Prendi un foglio e dividilo in due colonne.
Nella prima, scrivi 5 cose che hai sacrificato per mantenere vivo un legame — che fosse una relazione romantica, genitore-figlio, o qualunque altra forma di amore condizionato. In cima a quella lista ti invito a scrivere la parola “libertà”, perché chiunque abbia vissuto un amore totalizzante (e condizionato) ha sicuramente rinunciato alla libertà di esprimere liberamente cosa sente e quando lo fa, può sentirsi addirittura in colpa o disorientato dai suoi bisogni, sempre così ingombranti e “da sopprimere”.
Nella lista puoi metterci ciò che vuoi:
- La fiducia
- Sogni abbandonati,
- Passioni accantonate,
- Amicizie perse,
- Emozioni represse,
- Verità dolorose, mai dette ad alta voce («non sono stato mai amato come avrei meritato!»)
Scrivi anche cose piccole, anche cose invisibili agli altri. Tutto ciò che, a guardarlo bene, ti ha allontanato da te Nella seconda colonna, per ogni elemento, rispondi:
La rivorrei indietro? Vorrei recuperarlo?
Se sì, cosa mi impedisce oggi di riprenderla?
Non correggerti, non censurarti. Scrivi con onestà brutale e dolcezza infinita insieme. Perché stai scrivendo a te stesso, e meriti di essere visto.
A cosa serve davvero questa lista?
Non serve a colpevolizzarti o a colpevolizzare chi non ti ha amato come avrebbe dovuto. E… non ti serve neanche a crogiolarti nel rimpianto. Serve a:
- Prendere coscienza concreta del prezzo che hai pagato,
- Rimettere a fuoco il tuo valore,
- Smettere di interpretare il copione di chi deve meritarsi l’amore,
- Vedere chiaramente gli ostacoli interiori (la paura del giudizio, la paura della solitudine, la paura di sentirsi inadeguato senza l’approvazione).
Scrivere questa lista non cambia il passato ma cambia il tuo sguardo. Ti ricorda di non tradire più te stesso e di concederti uno spazio. Perché tu esisti come entità a sé e non come estensione di qualcun altro.
Succede, infatti, che nella scia dell’amore condizionato impariamo a definirci solo attraverso l’altro. Impariamo ad avere un senso solo in rapporto agli altri e a cosa pensano di noi. Allora chiediti: chi sono io per me? Cosa faccio io per me?
A volte, in nome dell’amore, rinunciamo all’autonomia
Nell’elenco che ho scritto in alto ci sono delle frasi molto pericolose. Quella che passa inosservata ma dovrebbe colpirci, è questa:
- «ti amo se hai bisogno di me»
Che equivale a una condanna. Molte persone, per sentirsi importanti nel loro ruolo (di genitore o di partner amorevole), fanno sentire l’altro piccolo, incapace, così da potersi sentire indispensabili per qualcuno e acquisire significato. Se hai vissuto questo, sei stato costretto a rinunciare alla tua autonomia perché affermarti significava tradire l’aspettativa dell’altro. Essere sicuro di te, significava violare il bisogno di indispensabilità altrui… E così hai continuato a sentirti piccolo. Ecco, nel tuo elenco puoi scrivere anche “autonomia”.
Se hai voglia di recuperare (con gli interessi) tutto ciò a cui hai dovuto implicitamente rinunciare, ti consiglio di leggere il mio libro bestseller «il mondo con i tuoi occhi», disponibile su amazon e in tutte le librerie. Sei nato per vivere nella tua forma piena, autentica, senza più chiedere il permesso per essere chi sei.
Scrivi la tua lista.
Rileggila.
Non per soffrire.
Ma per ritrovarti.
Perché tutto ciò a cui hai dovuto rinunciare… hai il diritto di recuperarlo.
Autore: Anna De Simone, psicologo esperto in psicobiologia
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