Il profilo psicologico inatteso di chi ama camminare sotto la pioggia

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Dott.ssa in biologia e psicologia. Esperta in genetica del comportamento e neurobiologia. Scrittrice e founder di Psicoadvisor

A volte, camminare sotto la pioggia viene letto come un gesto poetico, vagamente malinconico, forse un po’ ribelle. Ma cosa succede nella mente di chi, pur avendo un ombrello in borsa o nella mano, sceglie di non aprirlo? Di chi cammina sotto la pioggia con passo deciso, incurante dei capelli che si bagnano, dei vestiti che si appiccicano addosso, delle scarpe inzuppate?

Dietro questa scelta, apparentemente irrazionale, può celarsi un intero mondo emotivo. Un atto tanto semplice può essere il riflesso profondo di una storia affettiva, di un modo di sentire il mondo, di relazionarsi al dolore, alla libertà e al contenimento.

In quest’articolo esploreremo – attraverso la lente della psicoanalisi e con l’aiuto della neurobiologia  – il profilo psicologico di chi ama camminare sotto la pioggia e lo fa, incurante di tutti gli “effetti collaterali”. Perché sì: chi non apre l’ombrello, con questa scelta, sta comunicando qualcosa che non riesce a dire a parole.

1. Il corpo come contenitore del non detto

La psicoanalisi -ma anche la più moderna psicologia cognitiva- ci insegna che il corpo è spesso il mezzo attraverso cui passano emozioni che non trovano forma nel linguaggio. Camminare sotto la pioggia senza proteggersi può diventare una forma di comunicazione pre-verbale: un modo per rendere tangibile una sensazione interna di vulnerabilità o di dolore non riconosciuto.

Secondo il pensiero di Bion, psicoanalista britannico noto per le sue teorie sull’elaborazione mentale, ciò che non può essere “pensato” viene agito. Ciò che censuriamo dentro nei stessi, trova sempre un modo per esprimersi! L’acqua che ci bagna, allora, diventa un modo per sentire fuori ciò che si vive silenziosamente dentro. Le gocce che scendono sul corpo diventano il corrispettivo fisico di un sentire emotivo sommerso. Un modo semplice e inconscio per riconoscersi un dolore non ancora elaborato.

2. Il bisogno inconscio di sentire qualcosa, anche se scomodo

Molti di coloro che scelgono consapevolmente di bagnarsi potrebbero avere una soglia alta per il disagio fisico, ma una soglia molto bassa per il “vuoto emotivo”. In altre parole, potrebbero avere una finestra di tolleranza ristretta e quindi oscillare tra il “sentire poco” o “sentire troppo” e, per proteggersi, sperimentare un vuoto emotivo, perché il nostro sistema affettivo funziona così: quando le emozioni sono soverchianti e troppo intense, a volte, stacca la spina e possiamo attraversare vuoto, apatia, mancanza di senso… Ho approfondito questa modalità nel quinto capitolo del mio libro «il Mondo con i Tuoi Occhi». E non c’è da meravigliarsi. In una società anestetizzata, dove fin dall’infanzia ci insegnano a sopprimere le emozioni scomode in ogni modo, ci sono persone che poi, una volt adulte, cercano inconsciamente di sentire qualcosa – qualsiasi cosa – pur di sentirsi vivi.

Una piccola ribellione: «voglio sentire, anche se è scomodo»

Camminare sotto la pioggia può diventare una piccola ribellione sensoriale: “voglio sentire, anche se è scomodo”. È una forma di autoattivazione che rassicura l’individuo della propria esistenza. In termini neurobiologici, l’acqua fredda stimola il sistema nervoso autonomo e può indurre un rilascio di noradrenalina: una piccola scarica che può risultare sorprendentemente “viva”, persino appagante, per chi si sente emotivamente spento.

3. Il piacere di perdere il controllo

Chi ama camminare sotto la pioggia spesso mostra una relazione ambivalente con il controllo. Il controllo – che può avere radici in un bisogno infantile di gestire l’imprevedibilità affettiva – è stancante. Un’imprevedibilità legata alla discontinuità delle figure di accudimento: a volte disinteressante, altre opprimenti, altre ancora abusanti… La pioggia, in quanto evento incontrollabile e irregolare, offre paradossalmente sollievo: si può smettere di controllare, finalmente.

Questo gesto può rappresentare una forma di regressione sana. La persona si abbandona alla natura, come farebbe un bambino che si fida del mondo. Ed è proprio qui che l’atto acquisisce un valore trasformativo: nel lasciarsi bagnare c’è un abbandono, una resa, un’eco del desiderio infantile (e rimasto insoddisfatto) di essere contenuti da qualcosa di più grande.

4. Una sfida silenziosa alla “funzionalità” sociale

In una cultura performativa, dove ogni comportamento deve essere razionale e produttivo, scegliere di camminare sotto la pioggia è un piccolo atto di anarchia emotiva. È il rifiuto del dover essere sempre “composti”. Possiamo configurarlo, dunque, come una forma di protesta muta contro tutto ciò che è conforme e, al contempo, l’abbraccio indiscusso con l’informe, il bagnato, l’inadeguato. Chi si lascia bagnare spesso è qualcuno che ha imparato a stare anche nel caos, a non temere l’incoerenza. Può essere letto, pertanto, come un «eccomi qui, in tutta la mia inadeguatezza».

5. La memoria emotiva e il richiamo all’infanzia

Il gesto può avere anche una valenza mnestica. Chi è cresciuto associando la pioggia a un ricordo affettivo (un momento di gioco, una corsa con i genitori, un ballo improvvisato sotto l’acqua, il saltare nelle pozzanghere…) potrebbe inconsapevolmente riattivare quell’esperienza ogni volta che sceglie di non usare l’ombrello.

La pioggia diventa allora un ponte sensoriale con un tempo più libero e autentico, un ritorno a un sé originario non ancora dominato dalle (quasi) inevitabili sovrastrutture.

6. Il bisogno di “punirsi dolcemente”

In alcuni casi, però, camminare sotto la pioggia può assumere una sfumatura più cupa: diventare un’autopunizione sottile, non violenta, ma ugualmente pungente. Chi si sente “inadatto”, “sbagliato”, chi ha interiorizzato colpe precoci o vissuti depressivi latenti, può trovare nel disagio lieve del bagnarsi una forma di espiazione quotidiana.

Non è una sofferenza eclatante, ma una piccola forma di penitenza. Il messaggio che veicola è: «questo è il tuo posto, meriti l’emarginazione, il peso della colpa, il peggio… Non voglio prendermi cura di me! Non voglio assolvermi!». La psicoanalisi descriverebbe questo come una sorta di “masochismo morale interiorizzato”: l’idea inconscia che il disagio sia qualcosa che ci si merita. È diventato così perché, fin dall’infanzia, con le nostre esperienze precoci, ci siamo convinti di non valere nulla e di meritare il peggio.

7. Il simbolismo dell’acqua: pulizia, rinascita, liberazione

In chiave junghiana, l’acqua rappresenta l’inconscio, la trasformazione e il fluire della vita. Camminare sotto la pioggia può diventare un rituale personale di catarsi. Per tornare ai punti 1, 2 e 3… un modo per contenere le proprie emozioni attraverso sensazioni corpore che si ritengono più accettabili. È come se ogni goccia lavasse via un pensiero, una paura, un dolore. E qui tornano le neuroscienze: il rumore della pioggia attiva, nel cervello, le onde alfa che sono associate a uno stato di maggiore quiete.

Chi si bagna, spesso… vuole solo sentire

Ogni scelta che compiamo ha sempre le sue ragioni. Queste ragioni vanno indagate? Non è sempre necessario farlo ma di certo è bello conoscersi ed è fondamentale esplorarsi quando si vuole dare significatività alla propria vita. Comprendersi non significa deprivare di leggerezza gli atti che compiamo ma soltanto imparare a leggerci e dare alle nostre esperienze emotive il giusto spazio. Allora, la prossima volta che cammini sotto la pioggia prova a sentire le tue emozioni, quali di queste verità ti risuona di più?

E tu, cosa senti?

Leggendo questo articolo, infatti, potresti esserti riconosciuto in più punti e non c’è da meravigliarsi: siamo esseri estremamente complessi! Talvolta le nostre emozioni ci possono condurre a passeggiare sotto la pioggia per un senso di ribellione, altre volte per un moto nostalgico. Adesso, quando ti capita, hai più nozioni per interpretare il tuo sentire: dove ti porta? All’espiazione o alla resa… al «finalmente posso mollare la presa e arrendermi alla perdita di controllo… che leggerezza!». Oppure, ancora: «sono qui, sono vivo, sento tutto, riconosco il mio dolore».

Non tutti quelli che si bagnano sotto la pioggia stanno chiedendo aiuto. Ma molti di loro stanno raccontando, con il corpo, una storia che le parole non riescono a dire. Se hai voglia di osservare più da vicino la storia che ogni giorno racconti con le tue scelte, con il tuo corpo, con le tue emozioni… ti consiglio la lettura del mio libro «il mondo con i tuoi occhi», puoi trovarlo a questa pagina amazon e in tutte le librerie. È il saggio di psicologia più consigliato da psicologici e psicoterapeuti!

Autore: Anna De Simone, psicologo esperto in psicobiologia
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