La rivista Panorama, con il suo numero di maggio, ha pubblicato una nostra dichiarazione riguardo l’efficacia della terapia online. Una dichiarazione che merita di essere approfondita. Approfittiamo, dunque, dello spunto per riportare qui la nostra posizione rispetto alla proliferazione di piattaforme di psicoterapia online. Iniziamo con dei punti chiave:
- La psicoterapia online può essere utile per gli italiani all’estero. La terapia, infatti, è più efficace quando condotta nella propria lingua nativa.
- Non è consigliata la psicoterapia online quando si possono scegliere alternative in presenza.
I motivi li approfondiremo nei paragrafi successivi. In breve:
Il setting viene completamente sacrificato
Il setting in presenza offre una cornice spazio-temporale stabile, concreta e simbolica. Lo studio diventa un luogo terzo, separato dalla quotidianità, che facilita l’elaborazione emotiva. Nella terapia online, il paziente è spesso nella propria camera, a letto, in auto, al ristorante: spazi non neutri che interferiscono con il processo terapeutico.
Non si attivano gli stessi circuiti neurobiologici della co-regolazione
Il contatto in presenza stimola in modo efficace aree cerebrali legate alla co-regolazione emotiva, come il sistema limbico e l’insula. La presenza fisica del terapeuta funge da regolatore autonomico implicito. Online, queste vie di sincronizzazione corporea si attivano molto meno o non si attivano affatto.
Si perde di vista che il terapeuta non dovrebbe limitarsi ad ascoltare le criticità del paziente ma dovrebbe erogare un trattamento sanitario
La dimensione dell’andare in terapia scompare
Recarsi nello studio implica un gesto attivo: uscire di casa, ritagliarsi uno spazio, fare un percorso concreto verso il cambiamento che ha dei tempi. Nel recarsi e nel ritornare a casa, il paziente è solo con se stesso, con i suoi pensieri e ha più possibilità di “continuare il lavoro terapeutico” che altrimenti si perderebbe nell’oblio della quotidiano domestico.
Si rafforza il modello svalutativo della relazione d’aiuto
Dopo decenni di battaglie per equiparare la terapia a un trattamento sanitario, alcune piattaforme online promuovono un’idea prestazionale e standardizzata della terapia, riducendola a “parlare con qualcuno che ti ascolta”. Ma la psicoterapia non è un ascolto generico: è un processo trasformativo, un percorso di guarigione, spesso anche scomodo.
Aspetti positivi e negativi della terapia online
La digitalizzazione ha avuto il merito indiscusso di ampliare l’accessibilità ai servizi psicologici, soprattutto per chi vive in aree mal collegate e ha difficoltà logistiche. La possibilità di connettersi con un professionista tramite videochiamata ha rappresentato un’ottima opportunità durante la pandemia e, ancora oggi, è un’ottima possibilità per gli italiani all’estero.
Tuttavia, riteniamo importante riflettere sulle criticità del caso. Per anni, noi professionisti abbiamo lavorato per restituire alla psicoterapia la sua dignità clinica, per farla riconoscere non come un semplice “parlare dei propri problemi” ma come un complesso trattamento sanitario. Quando la terapia viene inserita nelle logiche di mercato dei servizi digitali (veloci, economici, accessibili al bisogno), il rischio che venga sottostimata c’è e con esso aumenta anche il rischio che venga percepita come un servizio “on demand”, facilmente fruibile sì… ma anche facilmente abbandonatile, senza l’attenzione e la continuità degne di un trattamento sanitario.
Considerando la vostra esperienza nel settore, come valutate l’impatto di queste piattaforme sulla qualità dell’assistenza psicologica?
La qualità dell’assistenza psicologica non può mai prescindere dalla qualità della relazione terapeutica e dal rigore metodologico con cui viene condotto il percorso. Le piattaforme online hanno sicuramente il merito di aver normalizzato la richiesta di aiuto ma ecco un altro enorme limite, forse il più invalidante dell’erogazione online: sebbene la psicoterapia venga descritta come “le terapie della parola”, in gioco non c’è affatto solo la “parola”; a essere centrali sono la relazione e l’alleanza terapeutica. E che alleanza si stringe quando esistono limiti comunicativi?
Ricordiamo che la comunicazione è multimodale e ognuno dei nostri sensi partecipa all’interazione. In videochiamata si sacrifica quasi completamente il linguaggio paraverbale, un canale comunicativo che un buon clinico osserva. Si sacrifica la tridimensionalità della mimica facciale che, anche se non ne siamo consapevoli, ha un impatto in tutte le nostre relazioni, gioca un ruolo nell’empatia, nella teoria della mente… In fondo quella neuroni specchio è una scoperta tutta italiana che, insieme alla teoria del feedback facciale, ci insegna che i nostri muscoli rispondono automaticamente all’espressione del nostro interlocutore inviando ai nostri sistemi afferenti (e quindi al nostro cervello) delle informazioni su ciò che sta avvenendo in quella relazione. Informazioni che elaboriamo in maniera inconsapevole ma che sono preziosissime nelle interazioni umane.
Tutto ciò si perde con la terapia online, così come viene perso anche il canale legato alle frequenze vocali che, per quanto la trasforma di Fourier consente di ricostruire la voce del nostro interlocutore, ciò che sentiamo è appunto una riproduzione impoverita: sappiamo bene che dal vivo un’intonazione vocale può trasmettere più delle parole che pronuncia. Insomma, noi esseri umani, con tutti i nostri organi di senso, ci siamo evoluti per la comunicazione faccia a faccia, spostarla in un contesto bidimensionale è sicuramente un limite da non sottovalutare.
Inoltre, online, non si ha modo di mettere alla prova il paziente lontano dalla sua zona di comfort. Quando tutto avviene dalla stessa casa da cui si lavora, si litiga o si guarda la TV, il processo terapeutico rischia di perdere il suo carattere “altro”. Quindi anche questo è un aspetto che nel setting andrebbe valutato.
La qualità dell’assistenza fornita potrebbe non risentire di tutto ciò, ma solo se il professionista è pienamente consapevole dei limiti del mezzo. Nel prestare assistenza psicologica online, infatti, il professionista deve essere ancora più attento perché paradossalmente, faccia a faccia, avrebbe più elementi su cui lavorare.
Avete osservato cambiamenti nel comportamento dei lettori riguardo la ricerca di supporto psicologico online?
Osserviamo una crescente apertura verso il supporto psicologico in generale e questo è sicuramente un segnale positivo. Per fortuna, un aspetto che ci colpisce, è che i nostri lettori tendono ancora a preferire un contatto diretto con il professionista, infatti nelle richieste quotidiane che riceviamo si cerca sempre un “terapeuta di zona” disponibile per un incontro di persona.
Laddove valutano un percorso online, lo fanno solo se il professionista è già ben “recensito” e gode di una reputazione costruita nel tempo. Il “passaparola” si è spostato dai salotti tra amici ai commenti lasciati sotto ai post social, ma è ancora valido! Pertanto il mezzo (che sia online o in presenza) passa in secondo piano: ciò che si cerca è la competenza clinica. Perché se è vero che adesso le terapie sono divenute più fruibili, è importante che anche la qualità dell’offerta sia degna di un trattamento sanitario.
L’attenzione è posta sulle competenze del professionista. Dobbiamo ammettere che negli anni molte piattaforme online ci hanno proposto partnership ma abbiamo sempre declinato anche perdendo importanti investimenti. Abbiamo declinato proprio perché non possiamo farci garanti della qualità offerta. Non certo per la selezione dei professionisti che sicuramente con i loro studi avranno accumulato tutti gli strumenti necessari a fornire assistenza psicologica, ma sono realmente consapevoli di cosa significa erogarla online? Sono davvero consci dei limiti comunicativi o di quelli imposti dal setting dal salotto di casa? Di certo, dato l’andamento del settore, sarà materiale formativo per le scuole di specializzazione ma ad oggi, è appunto un terreno nuovo. Ecco perché ci sentiamo di consigliare a tutti la terapia in presenza.
Aspetti economico-legali per il professionista
Ci sono poi altri fattori su cui riflettere e sui quali speriamo che il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi possa esprimersi al più presto. Da un punto di vista legale e deontologico, dovrebbe essere lo psicologo a stabilire il proprio tariffario e non una piattaforma esterna. Quando una piattaforma impone il prezzo della prestazione, si entra in un’area critica che può violare sia l’autonomia professionale garantita dalla legge, sia i principi fondamentali del Codice Deontologico degli Psicologi Italiani. Approfondiremo gli aspetti economici e legali in un articolo ad hoc dedicato ai professionisti.
Autore: Anna De Simone, psicologo esperto in neuropsicobiologia
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