Ci sono parole che ci scivolano via dalle labbra senza che ce ne accorgiamo. Frasi apparentemente innocue, quasi banali, che diciamo per abitudine, per difesa, per abitudine. Ma a volte, proprio quelle frasi raccontano più di quanto crediamo. Parlano della nostra infanzia, delle ferite che non abbiamo ancora nominato, dei bisogni che non sono stati ascoltati, del nostro modo di stare al mondo che si è formato quando eravamo troppo piccoli per scegliere, ma abbastanza sensibili da assorbire tutto.
Chi ha avuto un’infanzia difficile – e con “difficile” non si intende solo traumi evidenti, ma anche mancanze sottili, amore condizionato, genitori emotivamente assenti o imprevedibili – porta con sé una grammatica emotiva appresa nel dolore. E questa grammatica si esprime ogni giorno, nel linguaggio, nelle scelte, nei legami.
Frasi tipiche di una infanzia difficile e come guarire
Spesso il dolore dell’infanzia non si manifesta con i ricordi, ma con i sintomi. Non lo vedi nel passato, lo senti nel presente: nel corpo che si chiude, nella voce che trema, nei rapporti che si sgretolano o si rincorrono. E proprio attraverso le frasi che usiamo per parlare di noi, degli altri, della vita, possiamo riconoscere le ferite invisibili e iniziare a curarle. Perché ogni frase, se ascoltata con attenzione, può diventare una porta d’accesso alla guarigione.
1. “Non voglio dare fastidio” – Il terrore di esistere troppo
Questa frase tradisce un bisogno profondo: essere invisibili per essere amati. Chi l’ha pronunciata da bambino ha interiorizzato che l’amore arriva solo se non si disturba, solo se si è bravi, adattati, silenziosi. Non si tratta di educazione, ma di sopravvivenza emotiva.
Neuroscienze: L’amigdala di chi ha ricevuto segnali incoerenti affettivamente (genitori affettuosi ma imprevedibili o freddi) tende ad essere iperattiva: si attiva in risposta alla paura di rigetto anche in contesti neutri.
Come guarire: Riconosci il diritto di occupare spazio. Inizia con gesti piccoli ma concreti: chiedi aiuto, esprimi un bisogno, racconta come ti senti anche se pensi che “non sia importante”.
2. “Tanto poi finisce sempre male” – La profezia del dolore
Dietro questa frase si nasconde un’infanzia segnata dalla disillusione: promesse non mantenute, adulti incostanti, esperienze precoci di abbandono emotivo. È una forma di difesa: prevedere il peggio per evitare di soffrire ancora.
Psicoanalisi: È il risultato di un oggetto interno deludente. Il bambino, non potendo permettersi di vedere la madre o il padre come inaffidabili, interiorizza che è il mondo intero a essere pericoloso.
Come guarire: Lavora sul concetto di fiducia. Inizia a distinguere il passato dal presente: “Questo legame non è quello che avevo da piccolo.” La mindfulness e la terapia focalizzata sul presente possono aiutare a rompere la previsione automatica della delusione.
3. “Meglio non aspettarsi nulla da nessuno” – L’autonomia come armatura
Questa frase viene da chi ha imparato, presto, a non aspettarsi conforto. Non per forza a causa di violenza, ma anche per la semplice, devastante, assenza di contenimento emotivo. Crescere senza una base sicura porta il cervello a sviluppare uno stile di attaccamento evitante.
Neuroscienze: Nei bambini trascurati, si è osservata una minore attivazione dell’insula e dell’area prefrontale nell’elaborazione delle emozioni relazionali. Questo rende difficile fidarsi e tollerare la vulnerabilità.
Come guarire: L’autonomia è un dono solo se scelta, non se subita. Lavora sulla capacità di ricevere: accetta piccoli gesti di cura, anche se ti sembrano “troppo”. Imparare a ricevere è un atto rivoluzionario.
4. “Devo meritarmi l’amore” – Il bambino che si sente sbagliato
Se ami solo quando fai qualcosa per l’altro, se ti senti utile ma mai amabile, probabilmente hai imparato da piccolo che l’amore va guadagnato. Forse sei stato elogiato solo per i risultati, o hai visto l’amore ritrarsi quando sbagliavi.
Psicoanalisi: È il risultato dell’identificazione con l’ideale dell’Io genitoriale: “Per essere degno d’amore, devo diventare quello che tu vuoi che io sia.”
Come guarire: Disattiva il pilota automatico della performance. Inizia a fare spazio a chi ti ama anche quando sei fragile, anche quando non “funzioni”. L’amore vero non ha requisiti.
5. “Non riesco a fidarmi di nessuno” – Quando l’amore è stato pericoloso
Chi ha vissuto un ambiente affettivo instabile – genitori imprevedibili, affetto alternato a freddezza o manipolazione – associa inconsciamente la vicinanza all’insicurezza. La diffidenza diventa una strategia per proteggersi.
Neurobiologia: Studi sulla relational trauma mostrano come l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA) si attivi anche solo all’idea dell’intimità, come fosse una minaccia.
Come guarire: La fiducia si ricostruisce con lentezza. Inizia da te stesso: fidati della tua capacità di riconoscere segnali di pericolo, ma anche segnali di presenza e coerenza.
6. “Se mi ami, non te ne andrai mai” – La paura dell’abbandono
Questa frase nasce da un’insicurezza profonda: il timore che l’amore non duri, che l’altro sparisca senza motivo. Deriva da relazioni precoci in cui la figura di attaccamento era presente a intermittenza.
Psicologia dello sviluppo: Bowlby parlava di attaccamento disorganizzato: il bambino cerca conforto da chi gli fa paura. Questo crea un paradosso emotivo che si riversa nelle relazioni adulte.
Come guarire: La stabilità non si chiede all’altro, si costruisce dentro. Lavora sull’autoregolazione emotiva: quando l’ansia dell’abbandono emerge, respira, resta. Non scappare da te.
7. “Mi vergogno a dire come sto” – La repressione emotiva appresa
Questa frase è il riflesso di un ambiente in cui i sentimenti non venivano accolti. Magari ti hanno detto “non piangere”, “non è niente”, “non fare storie”. Così hai imparato che le emozioni sono un problema.
Psicoanalisi: È la formazione di un falso Sé: un adattamento alle aspettative dell’ambiente, che sacrifica la verità emotiva per ottenere accettazione.
Come guarire: Dai voce a ciò che senti, anche se lo fai tremando. Scrivi un diario, parla con qualcuno di fidato, riconosci le emozioni senza giudicarle. Ogni parola detta è una goccia che scioglie l’armatura.
8. “Non ho bisogno di nessuno” – L’indipendenza come risposta alla delusione
Dietro questa frase spesso c’è un cuore che ha chiesto aiuto e non l’ha ricevuto. Il bambino ha imparato che nessuno verrà a salvarlo e ha costruito un’identità fondata sulla negazione del bisogno.
Neuroscienze: Quando i bisogni affettivi vengono ignorati sistematicamente, si sviluppano meccanismi di compensazione cerebrale che disattivano l’attesa relazionale, riducendo la sensibilità all’empatia.
Come guarire: Non si tratta di diventare dipendenti, ma di ritrovare la libertà di chiedere. Ogni relazione sana implica reciprocità. Concediti il diritto di appoggiarti a qualcuno.
9. “Sono troppo sensibile” – Il dono che ti hanno fatto sentire sbagliato
Chi è cresciuto in ambienti emotivamente aridi spesso ha sentito la propria sensibilità come un peso, un problema. Ma quella sensibilità era la tua forma di intelligenza, il modo in cui percepivi anche le più sottili variazioni emotive per sopravvivere.
Come guarire: Riscopri il valore della tua sensibilità. È un dono, non una debolezza. Non devi più nasconderla per essere accettato. Ora puoi scegliere ambienti in cui quella parte di te viene accolta, non giudicata.
La frase più importante che puoi imparare a dire oggi
C’è una frase che chi ha avuto un’infanzia difficile fatica a pronunciare, ma che può cambiare tutto: “Merito amore, anche se non sono perfetto. Anche se ho ferite. Anche se ho paura.”
Guarire da un’infanzia difficile non significa dimenticare il passato, ma smettere di riviverlo senza saperlo. Significa imparare a riconoscere che quelle frasi che dici ogni giorno — “non voglio disturbare”, “meglio non aspettarsi niente”, “mi vergogno a chiedere aiuto” — non sono davvero tuoi pensieri, ma residui antichi, appresi per proteggerti. E ora che sei adulto, non ti proteggono più: ti limitano.
Se ti sei riconosciuto in queste parole, se senti che qualcosa dentro di te si muove quando leggi queste frasi, allora sei già a metà del cammino. Stai ascoltando. Stai ricordando. E forse, per la prima volta, ti stai mettendo al centro della tua storia.
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