Gesti che curano: come prendersi cura di sé quando nessuno lo fa

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Dottoressa in psicologia, esperta e ricercatrice in psicoanalisi. Scrittrice e fondatore di Psicoadvisor

Ci sono momenti in cui il mondo sembra voltarti le spalle. Momenti in cui cerchi uno sguardo che ti accolga, una voce che ti dica che andrà tutto bene, un abbraccio che ti tenga insieme… e non trovi nulla. Intorno a te, il vuoto. Oppure persone troppo distratte, troppo prese da se stesse o troppo ancorate alle proprie ferite per poterti vedere davvero. Ed è lì, proprio in quei momenti, che impari la più difficile delle arti: la cura verso te stesso. Non come gesto egoista, ma come atto di sopravvivenza, di dignità e di amore. Quando non arriva da fuori, puoi decidere che arrivi da dentro.

Prendersi cura di sé non significa isolarsi, non significa chiudersi al mondo o diventare autosufficienti in modo orgoglioso. Significa riconoscere che anche tu meriti ciò che avresti voluto ricevere. E che puoi essere tu, oggi, a darlo a te stesso.

Perché i gesti verso se stessi sono importanti (e spesso dimenticati)

Fin da piccoli, molti imparano che l’amore deve arrivare da fuori: dai genitori, dagli amici, dai partner. Così, quando non arriva, ci si sente sbagliati. Si impara a mendicare affetto, ad adattarsi, a cambiare forma per essere amati. E intanto si dimentica la cura originaria, quella che non dipende da nessuno: quella che puoi donarti tu.

In realtà, il nostro sistema nervoso è biologicamente programmato per rispondere ai gesti di cura, che siano ricevuti da altri o autoindotti. Ogni gesto affettuoso rivolto a sé stessi – una carezza, una parola gentile, il tempo dedicato con intenzione – attiva il sistema parasimpatico, il ramo del sistema nervoso autonomo che regola il riposo, la rigenerazione, la digestione e l’equilibrio interno.

Quando ci prendiamo cura di noi stessi in modo consapevole, stimoliamo il nervo vago, il principale regolatore delle emozioni e della connessione sociale. Questo nervo ha ramificazioni che raggiungono cuore, polmoni, intestino: quando viene attivato attraverso piccoli gesti di auto-compassione, invia al cervello segnali di sicurezza, riducendo l’attività dell’amigdala (il centro della paura) e promuovendo l’equilibrio del sistema limbico.

In altre parole, ogni gesto gentile verso sé stessi è una forma di co-regolazione interna

È come se dicessimo al nostro cervello: non sei in pericolo, puoi rilassarti. Questo abbassa i livelli di cortisolo (l’ormone dello stress) e può aumentare la produzione di ossitocina, un neurotrasmettitore legato al senso di fiducia, appartenenza e sicurezza.

Ma c’è di più: i gesti di autocura rafforzano i circuiti neurali della consapevolezza di sé e dell’autoefficacia, aiutandoci a uscire da stati di passività, autosvalutazione o autosabotaggio. In assenza di queste esperienze durante l’infanzia – quando magari nessuno ci ha insegnato a riconoscere i nostri bisogni o a trattarci con rispetto – diventano ancor più vitali.

Per questo, prendersi cura di sé non è un capriccio, né un premio da meritare: è un’esigenza biologica profonda. Ed è spesso dimenticata perché molte persone crescono con l’idea che il valore personale dipenda dall’utilità, dalla performance, dal giudizio altrui. In realtà, il valore esiste già. E lo si può onorare, ogni giorno, con piccoli gesti riparativi.

I 6 gesti che curano (davvero)

Non servono gesti eclatanti per cominciare a guarire. A volte, bastano piccole azioni quotidiane – semplici, ma fatte con intenzione – per cambiare il modo in cui il corpo si sente, la mente si calma, e il cuore ricomincia a fidarsi.
Questi sei gesti non sono soluzioni magiche, ma inviti concreti a riconoscerti, a esserci per te, a interrompere per un attimo quella voce interiore che ti spinge solo a sopravvivere.
Sono atti d’amore silenziosi, ma profondi. E hanno un potere sorprendente: quando li compi, stai dicendo a te stesso “sei importante” – anche se nessuno lo ha mai fatto.

1. Appoggiati una mano sul petto e respira con te stesso

Sembra una banalità. Ma non lo è. Il semplice gesto di appoggiare la mano sul cuore e fare tre respiri profondi può attivare il nervo vago, rallentare il battito cardiaco, calmare l’iperattività dell’amigdala e comunicare al cervello una cosa sola: sei al sicuro.

Non è solo un gesto fisico, è un’ancora emotiva. È come dirsi: “Ci sono. Ti sento. Sto qui con te”. In un’infanzia affettivamente povera, nessuno ce l’ha insegnato. Ma possiamo impararlo da adulti. Perché il corpo ascolta, anche quando le parole mancano.

Fallo nei momenti in cui ti senti agitato, solo, o hai un nodo in gola. Resta lì, con te. Non serve nient’altro.

2. Scegli di prepararti un pasto con cura

Mangiare in piedi, davanti al frigo aperto, ingurgitare qualcosa in fretta: sono atti di sopravvivenza, non di cura. Uno dei modi più potenti per dire a te stesso “merito tempo, attenzione, nutrimento” è cucinare qualcosa di semplice ma fatto con amore.

Prepararsi un pasto come se si stesse cucinando per qualcuno che si ama è un gesto altamente riparativo. Significa includersi nella propria lista di priorità, interrompere il ritmo automatico e riconoscersi come degni di attenzione.

Anche se vivi da solo, apparecchia la tavola. Anche se non hai fame, scegli un cibo che ti nutra davvero. Non è solo cibo: è rassicurazione antica.

3. Scrivi una lettera alla parte ferita di te

C’è una parte di te che ha aspettato per anni una parola gentile. Una parte che è rimasta bambina, invisibile, convinta di dover essere perfetta per meritare qualcosa. Scriverle una lettera è un atto terapeutico potente: dà voce a ciò che è rimasto in silenzio troppo a lungo.

Non serve saper scrivere bene. Serve solo mettersi lì, in ascolto, e dire tutto quello che nessuno ha mai detto a quella parte di te. Le frasi che non hai ricevuto da piccolo, le puoi pronunciare adesso: “Non dovevi fare nulla per essere amato. Mi dispiace se ti ho trascurato. Ora sono qui per te.”

Puoi rileggere quella lettera ogni volta che ti senti perso. È un filo che ti riporta a casa.

4. Metti un confine che hai sempre rimandato

Un gesto che cura profondamente è imparare a dire di no. Dire no a chi ti sfinisce, a chi non ti rispetta, a chi continua a chiederti più di quanto tu possa dare. Mettere un confine è un atto d’amore verso sé stessi, ma anche un atto di verità.

Per molti è difficile: da bambini, dire “no” significava rischiare l’abbandono. Ma da adulti, significa smettere di abbandonare sé stessi per essere accettati. Ogni volta che dici sì per paura, insegni al tuo corpo che i tuoi bisogni non contano. Ogni volta che dici no con fermezza e gentilezza, ritorni a te.

Parti da un piccolo confine: un messaggio non risposto subito, un appuntamento rimandato, una richiesta declinata. E nota come ti senti dopo.

5. Abbracciati davanti allo specchio (o guardarsi con gentilezza)

Può sembrare imbarazzante, persino ridicolo. Ma provaci: mettiti davanti allo specchio, guardati negli occhi e semplicemente abbracciati. Non serve dire nulla. O, se vuoi, puoi dire: “Sto facendo del mio meglio”.

Questo gesto riattiva la memoria sensoriale del contenimento, la stessa di un abbraccio materno, e comunica al cervello una cosa preziosa: sei degno di tenerezza. Anche se hai sbagliato. Anche se sei in difficoltà. Anche se nessuno lo vede.

Non è vanità. È riparazione. Chi è stato ignorato impara a scomparire: guardarsi con gentilezza è il primo passo per ricomparire.

6. Regalati tempo senza scopo (e senza colpa)

Viviamo in un mondo che misura tutto in funzione della produttività. Anche il tempo libero dev’essere “utile”. Ma il cervello ha bisogno di tempo vuoto per riorganizzarsi, per rigenerarsi, per trovare nuove connessioni emotive.

Concedersi un’ora per passeggiare senza meta, per leggere senza imparare, per ascoltare musica o guardare il cielo, è un gesto che comunica a sé stessi: “non sei una macchina. Non devi meritarti il riposo”. È tempo che cura, proprio perché non chiede nulla in cambio.

Scegli un momento a settimana in cui non devi rispondere a nessuno. E non sentirti in colpa. Stai guarendo.

Tu sei il tuo primo rifugio

Quando nessuno ti salva, quando nessuno ti vede, quando tutti sembrano aver dimenticato la tua fatica… tu puoi esserci. Non per dovere, ma per scelta. Perché nessuno può restituirti ciò che non hai avuto, ma tu puoi cominciare a costruirlo da ora in poi.

Ogni gesto che rivolgi a te stesso è un mattone nella casa emotiva che ti stai costruendo. Una casa in cui si respira sicurezza, non perché non accadono cose brutte, ma perché qualcuno – tu – resta al tuo fianco anche quando accadono. E se senti di aver perso troppo, se hai il cuore affaticato, se sei stanco di dare senza ricevere, ricorda questo: tu sei il tuo primo rifugio. E puoi imparare a trattarti come avresti voluto essere trattato.

Se hai trovato conforto in queste parole, puoi approfondire il percorso di cura leggendo il mio libro Il mondo con i tuoi occhi: un invito a cambiare sguardo, a ritrovarti, a scegliere una vita che assomigli davvero a te. Il mio libro è disponibile in libreria e qui su Amazon

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