Chi usa queste frasi nasconde un vissuto traumatico

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Dottoressa in psicologia, esperta e ricercatrice in psicoanalisi. Scrittrice e fondatore di Psicoadvisor

Ci sono frasi che ascoltiamo ogni giorno. Frasi dette a mezza voce, o con una freddezza che inquieta. Frasi che sembrano semplici opinioni, ma che in realtà contengono un mondo taciuto. Le parole, quando non sono consapevoli, parlano al nostro posto. E lo fanno con una precisione chirurgica. A volte basta una sola frase per raccontare un’intera infanzia.

C’è chi parla come se nulla fosse mai accaduto. Ma il corpo non dimentica, e nemmeno il cervello. Le frasi che emergono nella quotidianità – durante una seduta di terapia, una chiacchierata tra amici o un litigio in famiglia – rivelano molto più di quanto pensiamo. In esse si annidano ricordi, adattamenti, meccanismi di sopravvivenza.

Dietro certe espressioni si cela il tentativo di restare vivi in un ambiente in cui nessuno si è mai accorto delle tue emozioni. Dove parlare era inutile. Dove provare era pericoloso. Dove sentirsi era qualcosa da evitare.

5 frasi che rivelano vissuto traumatico

Ci sono parole che sembrano casuali, dette quasi per abitudine, ma che – se ascoltate con attenzione – rivelano molto più di quanto immaginiamo. Frasi che affiorano in una conversazione qualsiasi, ma che in realtà portano dentro di sé i segni di un passato difficile. Non sono semplici modi di dire: sono strategie di sopravvivenza trasformate in linguaggio.

Chi ha vissuto un trauma non sempre lo racconta in modo diretto. A volte, il dolore si nasconde proprio nelle frasi più ripetute, quelle che servono a tenere insieme un’identità costruita per resistere, più che per esprimersi. Dietro ogni parola, c’è una storia. E ogni frase può diventare una traccia preziosa per riconoscere le ferite che ancora condizionano la vita interiore.

In questo articolo esploreremo cinque frasi che spesso rivelano un vissuto traumatico, anche quando chi le pronuncia non ne è consapevole. Lo faremo non per etichettare, ma per comprendere. Entreremo nel loro significato emotivo e psicologico, ma anche in ciò che accade nel corpo e nel cervello quando certe esperienze lasciano un’impronta profonda. Perché è solo riconoscendo ciò che abbiamo dovuto imparare per proteggerci, che possiamo iniziare – con dolcezza e pazienza – a guarire.

1. “Non provo emozioni” diventa:

“Non so cosa provo, non sento niente… come se dentro fosse tutto spento.”

Quando i sentimenti non trovano posto nella famiglia d’origine, le emozioni si separano dall’identità. Se una persona è cresciuta con frasi come “piangere è da deboli” o è stata punita o ignorata ogni volta che ha espresso un’emozione autentica, allora ha imparato che sentire non è sicuro. Ha imparato che per essere amato deve controllarsi, trattenersi, fare finta di niente.

Col tempo, questa difesa si cristallizza in una sorta di anestesia emotiva. Le emozioni non spariscono, ma si seppelliscono. Restano sotto pelle, confuse, a volte emergono solo come irritazione, noia, o improvvisi scoppi d’ira che sembrano arrivare dal nulla. Chi vive così spesso si descrive come “freddo”, ma in realtà è disconnesso da sé stesso. Non ha imparato a dare un nome a ciò che sente, e quando ci prova, tutto sembra sfuggente, vago, inaccessibile.

Per guarire, serve tempo e tanta gentilezza verso di sé. Significa riavvicinarsi lentamente alla propria interiorità, accettando che ogni emozione, anche quelle scomode, ha diritto di esistere.

2. “Sono sempre io quello che sbaglia” diventa:

“Alla fine è sempre colpa mia… forse sono io che non valgo abbastanza.”

Questa è la voce interiore di chi ha dovuto diventare colpevole per poter restare amato. Da piccolo, se qualcosa andava storto, se un genitore era arrabbiato, distante o deluso, l’unica spiegazione possibile era: “Sono io il problema.” Non era permesso pensare che i grandi potessero ferire. Così, per continuare ad amarli, si impara a odiarsi.

Crescendo, questa convinzione si trasforma in un senso di inadeguatezza costante. Ogni errore è vissuto come una conferma della propria incapacità. Anche davanti a critiche minime, la reazione emotiva è sproporzionata. Ci si difende diventando iper-performanti o compiacenti, cercando di evitare a tutti i costi un nuovo rifiuto.

Ma la colpa cronica non è una verità, è una ferita. Una ferita che può essere riconosciuta e guarita, solo se smettiamo di guardare noi stessi con gli occhi di chi ci ha fatto sentire sbagliati.

3. “Non voglio dare fastidio a nessuno” diventa:

“Mi faccio da parte, non voglio disturbare… preferisco stare in silenzio.”

Sembra una frase educata, gentile, persino nobile. Ma spesso è la voce di chi ha imparato, fin da piccolo, a sparire per sopravvivere. È il linguaggio di chi non si è sentito benvenuto nel mondo emotivo degli altri. Di chi ha imparato che i propri bisogni erano “troppo”, che chiedere affetto era visto come un fastidio, e che mostrarsi vulnerabili attirava disapprovazione o freddezza.

Così si cresce nel silenzio. Con una fame d’amore che non osa più parlare. Si diventa invisibili per non soffrire. Ma anche in questa invisibilità si consuma un dolore silenzioso: quello di non essere mai stati contenuti, mai sentiti davvero. Spesso, chi vive in questo modo appare indipendente e riservato. In realtà, nasconde una profonda paura del rifiuto, e una convinzione radicata di non meritare spazio.

La guarigione parte proprio da qui: dall’osare disturbare, anche solo un poco. Dare valore ai propri bisogni non è egoismo. È un atto di cura verso sé stessi, dopo una vita passata a chiedere il permesso per esistere.

4. “Non mi fido di nessuno” diventa:

“Preferisco contare solo su me stesso… le persone prima o poi deludono.”

Chi pronuncia questa frase non è semplicemente diffidente. Spesso è qualcuno che ha vissuto relazioni in cui la fiducia è stata tradita troppo presto e troppe volte. Forse da genitori instabili, imprevedibili, ambigui. Persone che avrebbero dovuto proteggere, ma che invece hanno fatto paura. E allora la mente ha imparato che l’amore è pericoloso. Che lasciarsi andare è un rischio. Che è meglio restare soli, ma al sicuro.

Ma questa protezione ha un prezzo altissimo: l’isolamento emotivo. Nessuno può avvicinarsi davvero, perché ogni gesto viene filtrato attraverso il sospetto. Anche l’affetto più autentico viene osservato con il timore di essere ingannati, delusi, traditi.

Il paradosso è che, pur desiderando amore, ci si difende da esso con tutte le forze. Non per cattiveria, ma per memoria del dolore. La fiducia, però, è una competenza che si può riattivare. A piccoli passi. Attraverso relazioni sane, continue, prevedibili. E attraverso la cura delle vecchie ferite.

5. “Non ho bisogno di nessuno” diventa:

“Sto bene da solo, non voglio dipendere da nessuno.”

Questa frase sembra forte. Ma in realtà è una dichiarazione di sopravvivenza. Chi la pronuncia ha imparato, spesso fin da bambino, che chiedere aiuto significa sentirsi umiliati. Che contare sugli altri equivale a restare delusi. Così si chiude tutto dentro. Ci si costruisce un’identità autosufficiente, dove i bisogni sono banditi.

Dietro questo atteggiamento c’è una storia di abbandoni, delusioni o risposte emotive mancate. C’è un bambino che ha chiesto e non ha ricevuto. Che ha sperato e poi si è vergognato di averlo fatto. L’indipendenza diventa una corazza. Eppure, anche chi dice “non ho bisogno di nessuno” sente – nel profondo – il peso di una solitudine che non consola. Perché siamo esseri sociali. Abbiamo bisogno di legami. Di cura. Di essere visti.

Riconoscere questo bisogno non è debolezza. È un atto rivoluzionario. Significa ridare voce a quella parte di sé che è rimasta silenziosa per troppo tempo, e che oggi chiede solo una cosa: essere accolta, finalmente, senza vergogna.

Vuoi guarire? Inizia da ciò che dici senza pensarci

Le frasi che ripetiamo ogni giorno, spesso con leggerezza, sono come specchi. Riflettono il modo in cui ci siamo adattati, come abbiamo imparato a sopravvivere, cosa abbiamo dovuto sacrificare per andare avanti.

Non servono grandi rivelazioni per iniziare a guarire. Basta ascoltarsi, con onestà e tenerezza. E iniziare a porci la domanda che nessuno ci ha mai fatto: “A cosa mi è servita questa frase? A cosa ho dovuto rinunciare per pronunciarla?”

La buona notizia è che non è mai troppo tardi per scrivere frasi nuove. Per sostituire il silenzio con il linguaggio della verità. Per permettersi di dire: “Ho bisogno”, “Provo qualcosa”, “Ho il diritto di esistere”.

E’ ora di rinascere!

Pochi di noi hanno avuto la fortuna di essere costantemente valorizzati. Tutte le volte che gli altri non hanno creduto in noi, ci hanno insegnato a non farlo! Le volte che gli altri ci hanno umiliati e scherniti, ci hanno insegnato a essere timorosi e sfiduciati. Famiglia, amici di scuola, insegnanti… ci hanno implicitamente insegnato a metterci da parte, a svalutare il nostro valore intrinseco, a ignorare l’immenso potenziale che ci portiamo dentro.

Non ha senso continuare a portare il peso del passato!

Non ha senso chiuderti nel tuo dolore, hai la possibilità di riscattarti, di guardarti per ciò che sei e che puoi essere! Hai la possibilità di liberarti da zavorre emotive e dai condizionamenti, ti mancano solo gli strumenti giusti per farlo.

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