Frasi che rivelano un’ostilità nascosta: il linguaggio del passivo-aggressivo

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Dottoressa in psicologia, esperta e ricercatrice in psicoanalisi. Scrittrice e fondatore di Psicoadvisor

Ci sono parole che sembrano gentili, ma che graffiano. Frasi che si presentano come offerte di pace e che invece sono il riflesso di un disagio profondo, espresso in modo indiretto. È il linguaggio del passivo-aggressivo: una modalità comunicativa che cela un’aggressività trattenuta, inaccettabile per il soggetto stesso, e per questo convertita in espressioni ambigue, allusive, a volte ironiche, altre volte apparentemente remissive. Ma mai innocue.

Il passivo-aggressivo non si oppone apertamente: la sua è una forma di ostilità mascherata, che si mimetizza dietro la cortesia, il silenzio, la battuta. Eppure comunica. Eccome se comunica. Lancia messaggi ambivalenti, spesso destabilizzanti, che generano nell’altro senso di colpa, confusione, frustrazione. Perché chi li riceve percepisce che qualcosa non torna, ma non ha elementi sufficienti per reagire con chiarezza.

Frasi tipiche del passivo aggressivo

In questo articolo esploriamo cinque frasi emblematiche del linguaggio passivo-aggressivo. Accanto a ciascuna, troverai l’emozione che essa rivela – in modo distorto, ma riconoscibile – e un’analisi approfondita del perché quella frase viene usata, che scopo ha e cosa vuole comunicare davvero.

1. “Va bene, come vuoi tu.”

Una frase che a prima vista sembra esprimere disponibilità e adattamento. Ma il tono, lo sguardo e il contesto comunicativo possono cambiarne completamente il significato.

Cosa nasconde:
Questa frase viene spesso usata per segnalare disapprovazione, risentimento o rabbia repressa. Il “come vuoi tu” non è un gesto di rispetto, ma una forma mascherata di rinuncia forzata. Sottintende che l’altro ha imposto la propria volontà e che chi la pronuncia si sta “sacrificando”, spesso senza avere il coraggio di esprimere apertamente il proprio dissenso.

Perché viene usata:
Per evitare lo scontro diretto. Chi la pronuncia può aver imparato che esprimere il proprio disaccordo apertamente conduce a punizioni, conflitti o senso di colpa. Rinuncia allora alla propria posizione, ma lascia all’altro la sensazione di aver prevaricato. È una forma di sabotaggio relazionale: si dice sì, ma si intende no.

Emozione sottostante: rabbia repressa
Questa frase comunica una rabbia non nominata. La persona si sente ignorata, sopraffatta o esclusa da una decisione e prova risentimento. Ma non riesce (o non osa) dichiararlo. La rabbia, quindi, si trasforma in una falsa accondiscendenza, usata come arma silenziosa per far sentire in colpa l’altro.
Spesso, dietro questa rabbia, si nasconde anche impotenza, il senso di non contare mai abbastanza da poter esprimere davvero ciò che si pensa.

L’effetto sull’altro:
Genera senso di colpa, incertezza, talvolta frustrazione. Il ricevente si sente messo alle strette, come se avesse costretto l’altro a una decisione controvoglia. È un modo per “vincere” il conflitto attraverso la moralizzazione silenziosa.

2. “Era solo uno scherzo.”

Questa frase compare dopo una battuta pungente, una frecciatina che ha ferito. Il passivo-aggressivo la usa come scudo: ha già colpito, ma nega di averlo fatto.

Cosa nasconde:
Un’aggressività mascherata da ironia. Le battute del passivo-aggressivo sono spesso impregnate di verità scomode, critiche nascoste o giudizi velati. Quando l’altro reagisce con fastidio o sofferenza, arriva la negazione: “Stavo solo scherzando”, come se l’altro fosse troppo suscettibile o non capace di cogliere l’ironia.

Perché viene usata:
Per colpire senza assumersene la responsabilità. Questo meccanismo difensivo permette di sfogare una frustrazione, un rancore o un senso di inferiorità attraverso l’umorismo. Ma l’umorismo, in questo caso, non è liberatorio: è una forma sofisticata di aggressione relazionale.

Emozione sottostante: ostilità negata
Dietro la battuta “scherzosa” si nasconde un’aggressività mal gestita. La persona prova fastidio, irritazione o rabbia verso l’altro, ma non riesce a esprimerla in modo diretto. Così la trasforma in ironia pungente. Quando la battuta colpisce, si ritrae, negando l’intenzionalità per proteggere sé stesso e spostare la responsabilità sull’altro (“sei troppo sensibile”). Spesso questa modalità nasce da un’insicurezza profonda, dove l’ostilità è un modo per difendersi da un dolore mai elaborato

L’effetto sull’altro:
Chi riceve la battuta pungente si trova in un paradosso comunicativo: se risponde, viene accusato di essere esagerato; se tace, incassa il colpo. È una dinamica che annulla la possibilità di confronto autentico, lasciando l’altro disarmato e destabilizzato.

3. “Fai pure, tanto so che lo farai comunque.”

Una frase carica di rassegnazione e sarcasmo, spesso accompagnata da un tono monocorde e sguardo sfuggente. Il contenuto verbale è permissivo, ma quello emotivo è profondamente accusatorio.

Cosa nasconde:
Una delegittimazione mascherata da accondiscendenza. Non si dice esplicitamente “non sono d’accordo”, ma si trasmette chiaramente che l’altro agisce in modo egoista, insensibile o irrispettoso. È un modo per esercitare controllo attraverso la colpa.

Perché viene usata:
Per comunicare disapprovazione senza affrontare apertamente il conflitto. Chi la usa si sente impotente o marginalizzato, ma non riesce a dichiarare chiaramente i propri bisogni. Così, trasforma la frustrazione in una condanna silenziosa, lasciando all’altro il peso della responsabilità morale.

Emozione sottostante: rabbia + delusione
Qui l’emozione prevalente è una rabbia che nasce dalla delusione: ci si sente non ascoltati, non considerati, come se le proprie opinioni non avessero peso. Il passivo-aggressivo non dice “mi dispiace che tu non tenga conto di me”, ma affida al sarcasmo la propria frustrazione.
In profondità, spesso si annida anche tristezza: quella di chi ha la sensazione di non valere abbastanza da influenzare davvero il corso degli eventi.

L’effetto sull’altro:
Provoca confusione, senso di colpa, ma anche rabbia. L’altro percepisce che qualunque cosa faccia sarà interpretata negativamente. È una trappola emotiva in cui si è colpevoli a prescindere: se si agisce, si è egoisti; se non si agisce, si è manipolabili.

4. “Sei bravissimo a farlo da solo, io non servo a nulla.”

Apparentemente è una frase auto-svalutante, ma in realtà è un attacco camuffato. Chi la pronuncia non sta realmente cercando conforto, ma vuole colpire il senso di responsabilità dell’altro.

Cosa nasconde:
Una rabbia dissimulata sotto forma di vittimismo. Non si dice “mi sento escluso” o “vorrei partecipare di più”, ma si lancia una critica indiretta alla gestione dell’altro. È un modo per dire: “mi fai sentire inutile”, senza dichiararlo apertamente.

Perché viene usata:
Per reclamare attenzione, riconoscimento o coinvolgimento, senza mostrare vulnerabilità autentica. Chi la usa può temere il rifiuto o il giudizio, quindi preferisce accusare se stesso per colpire l’altro. È una strategia di colpa invertita.

Emozione sottostante: senso di esclusione + invidia
Dietro questa frase si cela una sofferenza per essere messi da parte o per sentirsi “di troppo”. Ma invece di dire “vorrei sentirmi utile”, si sceglie una modalità drammatica, vittimistica, per spingere l’altro a rassicurare.
Spesso questa frase nasce anche da un sentimento di invidia latente: il passivo-aggressivo invidia l’autonomia dell’altro, ma invece di riconoscerlo, la trasforma in svalutazione autoindotta per manipolare emotivamente.

L’effetto sull’altro:
Induce ansia, sensi di colpa e la sensazione di doversi giustificare per qualcosa che non ha fatto. L’altro si sente accusato senza sapere bene di cosa, e rischia di entrare in una dinamica di “riparazione” continua, senza che ci sia un dialogo aperto e costruttivo.

5. “Non preoccuparti per me, io sto sempre bene… anche quando non lo sono.”

Questa frase, detta con tono malinconico o fatalista, è un inno al silenzio carico di significato. Chi la dice, non vuole davvero rassicurare, ma far sentire l’altro in colpa per non essersi accorto di nulla.

Cosa nasconde:
Un bisogno frustrato di essere visti e riconosciuti, che però viene espresso in modo indiretto. L’implicito è: “non ti accorgi mai di come sto”, ma la comunicazione viene veicolata in forma criptica. Il passivo-aggressivo qui si posiziona come vittima invisibile.

Perché viene usata:
Per manifestare un dolore non riconosciuto senza esporsi alla possibilità di essere ignorati apertamente. Chi la usa teme il rifiuto o il giudizio, e preferisce che sia l’altro a “scoprire” il disagio, così da non doversi dichiarare vulnerabile.

Emozione sottostante: tristezza + bisogno di riconoscimento
Questa frase è un grido muto: il bisogno è quello di essere visti, accolti, considerati. La persona si sente triste, sola, trascurata, ma non riesce a dichiarare la sua vulnerabilità. Così si rifugia in un eroismo malinconico che però carica l’altro di colpa.
Spesso è il sintomo di un’antica ferita di invisibilità emotiva: la sensazione, appresa da piccoli, di doversi far bastare tutto da soli perché “tanto nessuno si accorge di come stai davvero”.

L’effetto sull’altro:
Innesca uno stato di allerta emotiva. L’altro si sente responsabile per qualcosa che non ha compreso in tempo, e può iniziare a dubitare delle proprie capacità empatiche. Questo crea una relazione basata su sensi di colpa impliciti e bisogno costante di decodificare l’invisibile.

Perché il linguaggio passivo-aggressivo è così destabilizzante?

Il passivo-aggressivo non è un comunicatore diretto. Esprime il proprio mondo emotivo in modo obliquo, ambiguo, spesso teatrale, senza mai dichiarare apertamente cosa prova o cosa desidera. Questo rende impossibile un confronto autentico: l’altro viene colpito ma non ha strumenti per reagire, perché il messaggio non è mai esplicito.

Si tratta di una modalità appresa, spesso in famiglie in cui i conflitti venivano evitati o puniti, e dove l’amore era condizionato alla compiacenza o al silenzio. Le emozioni “scomode”, come rabbia e frustrazione, non trovavano spazio, così venivano convertite in forme relazionali indirette, sottili, ma profondamente corrosive.

In età adulta, chi comunica in modo passivo-aggressivo può anche non rendersi pienamente conto del proprio comportamento. Ma ciò non toglie che gli effetti sull’altro siano reali: senso di inadeguatezza, colpa, frustrazione e confusione cronica.

Il linguaggio passivo-aggressivo non è solo una forma di comunicazione, ma una strategia di sopravvivenza emotiva

Parla di paura, di rifiuto, di bisogni negati, di conflitti mai imparati. È il linguaggio di chi non ha mai potuto dire: “sono arrabbiato”, “mi sento escluso”, “vorrei contare di più”.

Ma guarire è possibile. Richiede coraggio: il coraggio di uscire dal non-detto, di abbandonare la protezione dell’ambiguità, e di rischiare la chiarezza. Perché ogni volta che scegliamo la trasparenza, scegliamo anche una relazione più vera.

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