
L’errore più frequente è credere che l’amore sia un sentimento che “accade” e che il resto si aggiusterà da sé
In realtà, ciò che chiamiamo “innamoramento” è spesso la riattivazione di mappe antiche: ricorrenze emotive, profumi di casa anche quando quella “casa” è stata fredda o instabile. Il cervello cerca il familiare, non necessariamente il buono: questo vale nelle scelte, nelle abitudini e, soprattutto, nei legami.
Se vuoi incontrare il vero amore, ricorda sempre due cose. La prima riguarda il rapporto con te stesso: l’amore comincia da dentro. La seconda riguarda il legame: l’amore è incontro tra due interi, non fusione di due metà. Queste non sono frasi fatte: sono le condizioni minime perché il sentimento possa radicarsi, crescere e restare.
Prima cosa da ricordare: il vero amore inizia da te
Tutti cerchiamo l’amore, spesso fuori da noi: nelle relazioni, negli sguardi, nelle conferme altrui. Ma il punto di partenza è molto più vicino di quanto immaginiamo. Prima di poterlo riconoscere e custodire negli altri, il vero amore deve nascere dentro di noi, come un terreno fertile che sa accogliere e nutrire.
Perché senza un “me” solido non esiste un “noi” sano
Senza una base interna sufficientemente stabile, ogni dinamica affettiva rischia di diventare una negoziazione continua per essere rassicurati, confermati, placati. È comprensibile: se nella storia emotiva ci sono state carenze, invalidazioni, amori condizionati (“ti voglio bene se…”), il partner finisce per essere investito del compito di riparare ciò che non è stato. È un compito impossibile: nessun legame adulto può riscrivere da solo la nostra infanzia.
Da un punto di vista psicoanalitico, quando la mancanza originaria non è stata mentalizzata, cerchiamo nell’altro l’oggetto che la colmi: alterniamo idealizzazione (sei perfetto, mi salverai) e svalutazione (non mi dai abbastanza, non capisci). Il partner diventa schermo di proiezioni: non vediamo chi è, vediamo cosa speriamo/presumiamo che sia per noi. Il risultato è la relazione-altalena, dove l’intensità sostituisce l’intimità.
Le neuroscienze della familiarità (che a volte fa male)
Sul piano neurobiologico, le memorie emotive implicite — tracce che non passano dalla narrazione cosciente — orientano le nostre previsioni di realtà. L’amigdala è un radar che segnala sicurezza/minaccia sulla base del già vissuto; l’ippocampo contestualizza, la corteccia prefrontale può modulare, ma solo se c’è consapevolezza e regolazione. Quando non c’è, il sistema “sceglie” ciò che riconosce: partner sfuggenti se l’amore è stato intermittente, partner controllanti se l’accudimento è stato invasivo, partner freddi se abbiamo appreso che chiedere era pericoloso o inutile. La familiarità placa l’ansia nel breve periodo (“mi sembra casa”), ma riproduce nel lungo gli stessi dolori.
Autostima, autoaccudimento e confini: i tre pilastri
- Autostima realistica: non grandiosa, non autodenigratoria. È la capacità di riconoscere il proprio valore senza confronti tossici. Chi ha autostima realistica non implora attenzioni né teme di perderle a ogni silenzio.
- Autoaccudimento: sapersi calmare, organizzare la propria energia, prendersi cura del corpo e dei bisogni emotivi primari (riposo, alimentazione, movimento, relazioni nutrienti). Senza autoaccudimento, la relazione diventa la “farmacia” per ogni stato interno.
- Confini personali: saper dire “no” e saper tollerare il no dell’altro. Il confine non è muri che escludono, ma porte che regolano il passaggio. Un confine sano protegge dal sacrificio identitario e dall’invasione.
Indicatori pratici: come capire se “parti da te”
- Quando l’altro tarda a rispondere o cambia un programma, riesci a restare presente senza scivolare nell’allarme o nel controllo?
- Sai esprimere un bisogno senza mascherarlo da rimprovero o da prova d’amore?
- Riesci a distinguere ciò che ti serve per stare bene da ciò che desideri per arricchire la relazione?
- Dopo un conflitto, sai farti capire con chiarezza invece di sperare che l’altro intuisca i tuoi pensieri non detti?
- Riesci ad accogliere la stanchezza o la distanza dell’altro senza leggerla come disamore verso di te?
- Sai accettare che l’altro non sia sempre disponibile senza viverlo come una minaccia al legame?
- Riesci a comunicare le tue paure senza trasformarle in pretese?
- Quando non ricevi conferme, sai calmarti da solo invece di pretendere che l’altro colmi subito il tuo vuoto?
- Sai rispettare i confini dell’altro senza sentirti escluso o messo da parte?
- Se l’altro non reagisce come speravi, riesci a non leggerlo come un rifiuto personale?
- Ti permetti di mostrare vulnerabilità senza temere di perdere valore agli occhi di chi ami?
- Sai ascoltare davvero l’altro senza preparare dentro di te la tua contro-argomentazione?
- Quando emergono differenze di opinione, riesci a restare curioso invece che difensivo?
- Riesci a chiedere vicinanza senza paura di sembrare debole?
- Quando sbagli, sai chiedere scusa senza sentirti annientato?
Se a più di queste domande rispondi “no”, non è una condanna: è una mappa di lavoro. Nessuno “arriva” perfetto all’amore; si arriva disponibili a riconoscere e curare le proprie zone fragili.
Dalla reattività alla responsabilità affettiva
Un passaggio decisivo è trasformare la reattività (risposta automatica guidata da allarme) in responsabilità affettiva (risposta intenzionale guidata da senso e valore). Sul corpo questo si sente: il respiro si fa più basso e regolare, la mandibola si allenta, la mente smette di cercare prove a carico. Non si tratta di reprimere: si tratta di regolare. Il corpo impara che non ogni silenzio è abbandono, non ogni distanza è disamore, non ogni divergenza è attacco.
Esempi concreti
La trama dell’intermittenza: Marta si innamora di chi “va e viene”. Quando c’è, sente euforia; quando sparisce, vive nel panico. L’intermittenza è familiare: da piccola, carezze e rimproveri erano intercambiabili. Finché lo riconosce, può scegliere legami più continui, anche se all’inizio sembrano “piatti”. Non sono piatti: sono stabili.
Il copione del salvatore: Luca sceglie partner da “sistemare”. La sua identità si nutre nel prendersi cura più che nell’essere visto. Ma il salvataggio genera debito e risentimento. Quando smette di farsi terapeuta in casa, scopre che essere scelti per sé è più prezioso che essere indispensabili.
L’evitante funzionale: Serena teme la dipendenza e confonde autonomia con solitudine organizzata. Lavora, produce, si tiene lontana. Ma il distacco è armatura. Imparare la co-dipendenza sana (posso appoggiarmi senza perdermi) è la sua cura.
Seconda cosa da ricordare: il vero amore è relazione, non fusione
All’inizio di ogni storia sembra naturale desiderare di perdersi nell’altro: messaggi continui, pensieri che occupano ogni spazio, la sensazione di voler diventare “uno solo”. Ma l’amore autentico non è la dissolvenza dei confini: è l’incontro tra due persone che restano intere, capaci di sostenere la propria identità mentre scelgono di condividere la vita.
La differenza non separa: nutre il legame. La fusione può sembrare intensità, ma alla lunga soffoca. La vera intimità nasce quando due individui imparano a restare sé stessi dentro la relazione, senza paura che questo li allontani.
La differenza che salva: due soggetti, un legame
La fusione seduce: promette pace perché elimina il confine. Ma il confine è ciò che consente il desiderio e la libertà. Amare non è diventare uno, è restare due capaci di creare un “noi”. Il noi non inghiotte, ospita; non cancella, integra; non pretende, ascolta. La misura della qualità relazionale non è l’assenza di conflitto, ma la capacità di riparazione.
Attaccamento: quando il bisogno traveste l’amore
- Attaccamento ansioso: iperlettura dei segnali, paura dell’abbandono, richiesta continua di conferme. La relazione è un barometro emotivo in perenne tempesta.
- Attaccamento evitante: svalutazione del bisogno, idealizzazione dell’autosufficienza, ritiro davanti all’intimità. La relazione è sorvegliata, come una casa con allarme sempre inserito.
- Attaccamento sicuro: interdipendenza matura; si può chiedere, negare, negoziare, riparare. Il corpo percepisce spazio: si respira.
La buona notizia: gli stili non sono gabbie eterne. Con consapevolezza e pratica relazionale, si può tendere a maggiore sicurezza. Il partner non è il terapeuta, ma la relazione può essere ambiente correttivo se entrambe le parti partecipano in modo responsabile.
Neurochimica dell’amore: tra legame e dipendenza
Nel primo innamoramento, dopamina (ricompensa/novità) e noradrenalina (attivazione) creano focus e slancio; l’ossitocina favorisce fiducia e legame; endorfine e vasopressina contribuiscono alla coesione. Il rischio? Confondere l’alta attivazione con profondità. L’altalena emotiva (ti cerco/ti sfuggo, ti idealizzo/ti svaluto) mantiene alto il rilascio dopaminergico e crea dipendenze relazionali. Il vero amore, quando matura, cala l’intensità oscillante e aumenta la qualità dell’intimità: non “meno”, ma “più fine”. È come passare dal rumore all’armonia: meno clangore, più risonanza.
Segnali di fusione (da riconoscere e sciogliere)
- Controllo mascherato da cura: “Ti scrivo ogni mezz’ora perché mi preoccupo”. In realtà monitoro per quietare la mia ansia.
- Gelosia idealizzata: “Se non sei geloso non ci tieni”. La gelosia cronica non misura l’amore, misura l’insicurezza.
- Annullamento dei confini: “Quello che è tuo è mio, quello che è mio è tuo” in versione rigida, in cui l’individuo scompare.
- Pensiero unico: differire diventa tradimento. In coppia matura, dissentire è possibile senza minacciare il legame.
- Dissolvenza del mondo personale: amici, passioni, spazi propri evaporano. All’inizio può sembrare romanticismo; nel tempo diventa impoverimento.
Che cos’è, allora, una relazione “nutriente”
- Spazio e tempo: c’è prossimità emotiva senza richiesta di reperibilità totale.
- Linguaggio chiaro: bisogni detti in prima persona (“Io ho bisogno di…”), non processi all’altro (“Tu non fai mai…”).
- Ritualità: i piccoli riti (messaggi del mattino, un giorno fisso per noi, il saluto prima di dormire) danno continuità; non sono gabbie, ma cuciture.
- Riparazione: dopo un conflitto, non si fa finta di niente; ci si incontra, ci si ascolta, si scambiano scuse e richieste.
- Progetto: non necessariamente figli o casa, ma intenzionalità condivisa (crescere, imparare, esplorare). Il progetto orienta e protegge dai vortici.
Copione tossico vs. copione maturo
Ogni relazione si costruisce anche attraverso frasi ripetute, piccoli copioni che con il tempo diventano veri e propri automatismi. Alcuni di questi dialoghi interni ed esterni sono tossici, perché basati sulla paura, sul controllo o sul ricatto emotivo; altri, invece, sono maturi, perché lasciano spazio alla libertà e alla crescita reciproca. Riconoscere la differenza è fondamentale per capire se stiamo alimentando un amore che nutre o un legame che logora.
- Tossico: “Se non fai come dico, non mi ami”.
- Maturo: “Anche quando non la pensiamo allo stesso modo, voglio capirti”.
- Tossico: “Senza di te non esisto”.
- Maturo: “Con te scelgo di esistere anche meglio”.
Cosa succede quando dimentichiamo queste due cose
Quando non partiamo da noi e cerchiamo la fusione, mettiamo in atto previsioni di realtà che autoriproducono il passato: scegliamo persone che confermano la nostra idea di valore (scarso o condizionato), ci agganciamo a chi promette pace breve (altalena dopaminica), evitiamo chi è stabile perché “non ci dice niente” (confondendo calma e noia). Il risultato è una economia emotiva in deficit: spesa altissima (controllo, ansia, ipervigilanza), poca resa (sicurezza, progettualità, crescita).
Il corpo lo sa: sonno disturbato, iperattivazione, somatizzazioni (nodo allo stomaco, tensioni cervicali, fame emotiva o perdita di appetito), pensiero ruminativo. Non è debolezza caratteriale: è un sistema che tenta di regolarsi con mezzi spezzati. Il cambiamento avviene quando ci fermiamo e vediamo il copione: “Questa attrazione è intensa perché mi è familiare? Sto rincorrendo un bisogno antico? Posso restare qui, respirare, scegliere diversamente?”.
Ricordare le due cose — partire da sé e restare due — non garantisce l’assenza di dolore (nessun legame è privo di fatica), ma protegge da quel dolore che non insegna nulla, quello che ripete, prosciuga e confonde.
Prepararsi a un amore che resta
Trovare il vero amore non è cercare il partner perfetto, ma diventare il partner capace di amare bene: un sé che si sa reggere e un noi che sa accogliere. Ricorda sempre:
- Il vero amore inizia da te: senza autostima realistica, autoaccudimento e confini, l’altro diventa farmaco o nemico.
- Il vero amore è relazione, non fusione: la differenza custodisce il desiderio; la somiglianza lo nutre; la riparazione lo fa crescere.
Se oggi ti senti fragile, insicuro, bloccato o inadeguato… non stai esagerando. Stai semplicemente dando voce a un dolore antico, un dolore che non ha ancora trovato accoglienza. Ogni volta che ti fermi, che resti con te stesso, che provi a dirti quelle parole che avresti voluto ascoltare da bambino… qualcosa inizia, lentamente, a guarire.
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