La pena, l’angoscia e il disorientamento di chi intrattiene una relazione con un/una narcisista perverso/a sono amplificate dal senso di impotenza sperimentato ogni volta che si ricerca un cambiamento o che si propone una soluzione.
Chi ha esperienza diretta in fatto di “relazioni impossibili” sa bene che non servirà sottomettersi e non servirà ribellarsi, che il silenzio e le parole non serviranno, né saranno utili i ritorni conciliatori.
Gli armistizi e le “pause”, i compromessi e gli accordi di non-belligeranza possono in alcuni casi alleviare il dolore e, talvolta, regalare quei momenti d’estasi che preludono al più duro e disastroso degli addii. Allo stesso modo, si rivela infruttoso o controproducente il tentativo di porre il narciso davanti alla sofferenza che crea e ai problemi che ha: il risultato è la lapidazione psicologica o, sulla scia della rabbia, si ottiene la minaccia dell’abbandono, quando non direttamente la punizione dell’evitamento e del tradimento.
Simili alla ninfa Eco, che nel mito di Narciso fu condannata a ripetere le parole dell’amato, inutilmente e in eterno, i/le partner del/la narcisista sembrano intrappolati nella ricerca affannosa di un modo per superare l’abisso interiore del compagno/a con l’intento di salvarlo.
Nessuno, come la persona che vive la relazione impossibile col narcisista, può sapere quanto il/la narcisista sia intimamente e disastrosamente compromesso/a sul piano psicologico e affettivo.
E il fatto che la consapevolezza unilaterale della patologia si scontri di continuo con l’apparenza credibile e grandiosa con cui il narciso si accredita nel mondo esterno complica, se non impedisce di fatto, ogni realistica possibilità di cambiamento nella gran parte dei casi.
Il narcisista rifiuta l’aiuto, perché rifugge da un senso di inadeguatezza profondo e profondamente denegato. Allo stesso tempo, nutre totale sfiducia verso gli altri e, quasi sempre, disprezza, apertamente o con malcelato timore, psicologi e psicoterapeuti.
Così, l’incontro col narciso in terapia è possibile solo quando, a causa del disturbo di personalità, la depressione o le conseguenza dell’abuso di sostanze, l’insonnia o altri “disturbi collaterali” divengono insostenibili. Perché il narcisista acuto si mobilita unicamente per se stesso, quando e dove ha bisogno di utilizzare l’altro (terapeuta compreso) allo scopo di trarne un qualche vantaggio personale.
Per quello che ne so, dopo quasi quindici anni di esperienza clinica, un/una narcisista non verrà mai a dire: “Sono qui perché non voglio rinunciare alla mia donna/al mio uomo a causa del mio comportamento”, oppure: “Ho bisogno del Suo aiuto, Dottore, perché, anche se provo in tutti i modi a migliorarla, la mia relazione é impossibile”.
Questo avviene solo nella testa della vittima. L’idea che il narciso affronterà una psicoterapia e cambierà per amore si struttura come una prospettiva illusoria che mantiene il rapporto ad oltranza e, in certi casi, diventa una sorta di “desiderata”, un obiettivo irrealistico inseguito sino al parossismo che anima e alimenta la dipendenza affettiva.
Molto spesso, le compagne o i compagni del/della narcisista, si rivolgono al terapeuta non per sé ma, coerentemente con l’auto-sacrificio che governa la loro relazione, per chiedere “consigli” su come trattare l’altro, su come aiutarlo e su come mantenere il rapporto amoroso nonostante tutto, oppure per ricevere suggerimenti per indurre il narciso a iniziare una psicoterapia.
Nella fantasia della/le sue amanti, il narcisista cercherà di rimediare alle proprie mancanze d’amore e di empatia, impegnandosi in un percorso psicologico per mantenere e “riparare” la relazione amorosa; diventerà finalmente più umano, e ci saranno matrimoni, magari uno o più figli e un’esistenza felice dopo tanta fatica … Ma nella realtà tutto questo è impossibile.
La richiesta di cambiamento per interposta persona è il sintomo di una dipendenza ostinata, quello stato mentale di dissociazione dal reale in cui culmina la psicologia della “vittima”.
Nel frattempo, il narcisista continuerà a svalutare, a giocare a nascondino, a sedurre, a svalutare, a tradire e a degenerare in una diabolica e inarrestabile sequenza di addii. Per poi, magari, trovarsi in fretta e furia una nuova compagna, con cui procreare a tempo record e mimetizzarsi velocemente in una “famiglia”, soprattutto quando, raggiunta una certa età, ha bisogno di una “copertura” sociale. Perché, anche quando si sposa o inscena una relazione stabile, il narcisista fugge e, allo stesso tempo, “giustizia” le sue/i suoi precedenti amanti, si vendica di chi, colpevole di conoscere e di subire la sua patologia, ha continuato ad amarlo.
Come nota Behary (2012), “i narcisisti non sono in genere quel tipo di persone che cercano volontariamente aiuto, addestramento o qualunque tipo di assistenza per abbattere i loro impenetrabili muri emozionali. Al contrario, essi evitano questo tipo di interazione quasi a tutti i costi, sia attraverso lo scherno, esternalizzando la colpa su qualcun altro, con varie forme di distrazione e occultamento, sia con il rifiuto tassativo.”
Il narciso, insomma, non può essere indotto o costretto a chiedere aiuto, in nessuna forma e in nessun modo. Meno che mai se la proposta di terapia arriva dal/dalla partner di turno.
Tuttavia, esiste nel narcisista patologico un nucleo d’amore, lontanissimo e profondo, un nucleo “sano” che, con qualche probabilità, può essere riattivato e può ritrovare vigore e funzionalità in psicoterapia, a condizione che il narciso decida da sé, autonomamente e incondizionatamente, di affrontare i limiti e i sintomi che, storia dopo storia, lo consegnano all’infelicità e alla frustrazione.
In questo senso, la psicoanalisi, la psicoterapia psicodinamica, l’approccio bioenergetico, e la schema-therapy – e cito solo alcuni modelli – hanno formalizzato modalità di trattamento specifiche per il disturbo narcisitisico di personalità e, da decenni, si adoperano per supportare efficacemente quei pazienti che, spinti dalla sofferenza, dal’isolamento e dall’angoscia conseguenti al narcisismo, chiedono aiuto di propria iniziativa.
Tutto considerato, l’aiuto che le “vittime” del narciso possono davvero offrirgli è acquisire consapevolezza di quanto la stessa relazione che intrattengono serva a convalidare il disturbo narcisistico, ha luogo in quanto conseguenza (e non causa) del disturbo di fondo della personalità di cui la dipendenza affettiva amorosa e l’ossessione innescate nel partner predisposto rappresentano un’espressione sintomatica, non certo un “amore”.
Aiutare il narcisista è un compito psicoterapeutico, un lavoro specialistico che non può in nessun modo essere svolto dalla “vittima” , né realizzarsi all’interno la relazione dipendente.
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