Tra le forme più nobili di amore c’è quello materno che si manifesta principalmente nel nutrire, nel prendersi cura e nel proteggere. Tutte queste attenzioni consentiranno al bambino di crescere e, al tempo stesso, di filtrare il mondo esterno in una forma per lui “digeribile”.
“Stai attento, non prendere freddo”; “Mi raccomando vai piano”; “Fammi uno squillo quando arrivi”; “Stai bene? Tutto a posto?”; “Non andare in giro col buio”; “Con chi esci? Dove vai? Cosa fai?“. Tra i vari modi di proteggere il figlio vi è anche quello di cercare di prevenire e presentire ciò che potrebbe danneggiare o far male al bambino; la madre fa naturalmente tutto ciò, proprio perché tra le dotazioni che la maternità porta con sé vi è anche quella di “sintonizzarsi” in anticipo e di sviluppare una sorta di “coscienza diffusa” che permette di cogliere tra le tante sfumature, quelle che servono a preservare il proprio cucciolo.
Ci sono però madri che vanno ben al di la’ di tutto questo; vivono costantemente quella fase simbiotica che in teoria dovrebbe esistere fino al sesto mese di età del proprio bimbo, in cui realmente il bebè non riconosce il proprio “Io” da quello della mamma e la sua vita e la sua sopravvivenza dipendono dalle cure e dalla presenza materna.
Apparentemente non ci si sarebbe niente di male nel voler proteggere i proprio figli a tutti i costi, ma qui stiamo parlando di mamme che non hanno ben chiaro in mente la suddivisione tra la loro identità e quella dei loro figli.
Mi riferisco alle mamme che sviluppano ansia e apprensività eccessive tali da bloccare le possibilità del bambino, che si appresta ad esplorare il mondo, toccando e sperimentando tutto ciò che gli capita a tiro.
Certo è che queste mamme sviluppano delle antenne abnormi che, anziché segnalare pericoli reali, finiscono per segnalare quelli inesistenti che però hanno uno straordinario peso ai loro occhi. Di conseguenza finiscono per proiettare sul figlio paure ed apprensioni che sono loro, instillando nel piccolo messaggi contorti che lo bloccano nel fare le esperienze che invece gli sono necessarie per crescere.
Ma che cosa proietta una mamma troppo apprensiva sul suo bambino?
Di solito vede nel piccolo troppa fragilità, vulnerabilità e senso di impotenza: un comportamento distorto che le fa credere che lui non sia sufficientemente strumentato per affrontare la vita. Si convincerà quindi che lei invece è onnipotente e forte al punto da salvaguardarlo da qualunque difficoltà della vita.
Una mamma troppo apprensiva spesso svolge funzioni che invece dovrebbe fare il figlio: infatti, nel percepirlo costantemente troppo gracile ed incapace di crescere, si sostituisce al figlio anche in quei piccoli doveri quotidiani che potrebbero favorire lo sviluppo del senso di responsabilità necessario per l’autonomia. In questo modo, anziché considerarlo una persona separata da lei che gradualmente sta affrontando la vita in base alle sue capacità, lo blocca e lo imprigiona in una condizione da “eterno infante” con conseguenze tragiche nell’adolescenza e nella maturità.
LE CONSEGUENZE SUI FIGLI
Infatti, questa modalità di pensare va a imprimersi drammaticamente sulla psiche del figlio che si vede rimandare costantemente una immagine di impossibilità, di fragilità e di impotenza; tutti presupposti che inevitabilmente influiranno in modo negativo sulla sua personalità. L’immagine di sé sarà quella di un’incapace” e nella situazioni della vita si rapporterà come tutte le persone che hanno una bassa autostima: non rischia mai nulla, non prende iniziative, all’università non rende secondo le sue capacità, nel gruppo di amici è sempre ai margini.
Ciò implica che durante il suo sviluppo vivrà male la frustrazione perché abituato ad essere iperprotetto, a non agire poiché in tutte le situazioni c’è chi lo fa per lui. Crescendo iniziano le difficoltà: manifestazioni di ansia, attacchi di panico, fobie, che potranno presentarsi già in tenera età e influiranno negativamente sulla sua naturale necessità di allontanarsi dalle figure di riferimento. In particolare quando dovrà allontanarsi da casa (uscire, stare con gli amici, andare a scuola, andare all’università, viaggiare per qualche giorno) o quando tenterà di percorrere una strada diversa da quella ‘proposta’ o nel tentativo di diventare autonomo sul piano personale, non si sentirà in grado di farlo da solo.
ll legame genitore-figlio viene inglobato in una simbiosi patologica che, nei casi più gravi, conduce alla psicosi. L’invadenza irrimediabilmente produce degli scompensi interiori, dei conflitti, delle emozioni sottostanti di rabbia, frustrazione, insicurezza poiché ad ogni tentativo sano del figlio di porre dei limiti ai suoi cari, emergerà in lui il senso di colpa. Ciò inoltre darà forma ad una struttura di personalità dipendente che chiederà sempre agli altri di fare al posto suo o comunque reclamerà consolazione e protezione per paura che possa succedere qualcosa. Molti dei problemi legati all’alimentazione dipendono da questo tipo di dinamiche familiari.
La responsabilità del genitore
A volte è difficile lasciare ai figli la libertà di fare e sperimentare, poiché significa fare un passo indietro, non fornire soluzioni immediate e semplicemente stare a osservare e rispondere alle eventuali richieste. “Questo atteggiamento implica una posizione molto complicata da parte del genitore, che accetta l’indipendenza del figlio da sé e lo considera una persona separata, con idee e pensieri autonomi che possono essere diversi dai suoi, un processo molto complesso che avviene attraverso la separazione e individuazione.
Come costruire un legame sano con tuo figlio
La fiducia in tuo figlio è l’ingrediente fondamentale che ti consentirà’ di trasformarti da genitore troppo apprensivo in genitore sicuro e fiducioso. Fidati del tuo istinto. Coltivalo! Ricorda che la maggior parte delle catastrofi che temi, per fortuna, non si verificheranno ma i momenti di gioia e serenità a cui rinunci, nel tentativo di tenere tutto sotto controllo, saranno persi per sempre.
Smettila di preoccuparti! Molto probabilmente le cose andranno esattamente come devono andare indipendentemente dalla tua preoccupazione, usa invece le tue energie per guardare negli occhi tuo figlio, per conoscerlo, per fargli capire che ci sei e che hai fiducia in lui. Sarai ripagata!
Lascia che tuo figlio sbagli, lascia che provi a fare da solo. Il tuo compito come genitore non è quello di sostituirti a lui per poterlo proteggere meglio, ma essere presente con un sorriso quando, dopo una caduta, avrà bisogno di un abbraccio e magari anche di un piccolo cerotto. Inoltre se ti accorgi di avere difficoltà a contenere le tue ansie o le tue preoccupazioni, chiedi aiuto ad uno specialista (psicoterapeuta) per poter comprendere da dove proviene il tuo disagio e imparare a gestirlo in maniera più produttiva sia per la tua serenità sia per quella dei tuoi figli.
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