Vedi che è come dico io? Il bias di conferma

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Il bias di conferma è un pregiudizio cognitivo in base al quale si prediligono le informazioni che confermano le proprie convinzioni o ipotesi preesistenti, scartando o ignorando invece le prove contrarie alle idee di partenza. Questo tipo di bias comporta la distorsione dell’informazione su più livelli: la raccolta, l’interpretazione ed il recupero delle informazioni dalla memoria. Se si ha una convinzione o si formula un’ipotesi, si tende a ricercare e raccogliere tutti i dati che la supportino, rifiutando o sminuendo le informazioni contrarie.

Nel caso in cui le informazioni raccolte non siano congruenti con le proprie idee di partenza, esse possono essere scartate oppure interpretate in modo da sostenere e, addirittura, rafforzare i propri preconcetti. Diverse ricerche hanno dimostrato come, in particolare dinanzi a questioni sociali complesse, le persone anche se ricevono prove contrarie alle loro convinzioni, tendono a mantenere o alimentare la personale prospettiva.

Anche la memoria contribuisce al funzionamento del bias di conferma. Alcuni esempi

Quando si deve dimostrare un’idea o un’ipotesi, è più facile recuperare in modo selettivo dalla memoria solo i dati che sono congruenti con lo schema di partenza. Alcuni esempi concreti del bias di conferma

L’attacco di panico

Uno degli elementi caratteristici di chi soffre di attacchi di panico è la convinzione che un sensazione fisica sia indice di danno imminente alla sua salute con la conseguenza catastrofica di poter morire, svenire o perdere il controllo. Ad esempio, l’aumento della frequenza cardiaca è interpretata come attacco cardiaco. Attivata questa credenza, la persona in stato di allarme, inizia a raccogliere informazioni sul significato dei sintomi che sta provando.

Lo stato di minaccia influenza la selezione delle informazioni, per cui salteranno all’occhio ed avranno maggiore rilevanza tutti quei dati che sono congruenti con l’attuale stato mentale di allarme, ovvero quelli che confermano l’idea che ci sia davvero un serio problema cardiaco. Le informazioni raccolte vengono, dunque, interpretate come prova di un danno imminente, mentre quelle incongruenti (ad esempio che l’aritmia potrebbe essere solo legata all’ansia) semplicemente vengono ignorate, oppure sminuite.

Il perché avviene questo è dovuto al fatto che, secondo le convinzioni del panicoso, si è in pericolo di vita, quindi davanti ad una minaccia per la quale non si può rischiare nulla e bisogna attivarsi subito affinché non si realizzi. In quanto convinto di essere a rischio di morte incombente, non avrebbe la flessibilità mentale per analizzare tutti i dati disponibili.

Sul piano della memoria, accade facilmente che nella mente del panicoso si attivano ricordi concernenti morte per attacchi cardiaci (un amico, un parente, un personaggio conosciuto, una notizia in tv). Infatti, sia lo stato cognitivo di allarme che quello emotivo di panico condizionano il recupero di informazioni in memoria, proprio selezionando in modo automatico e poco consapevole i dati coerenti con lo stato psichico del momento.

Il pregiudizio razziale

Una persona può essere fermamente convinta che gli immigrati siano tutti delinquenti, solo perché immigrati. Condizionata da questa idea, la sua attenzione tende a soffermarsi sugli eventi che provano la natura delinquenziale dello straniero: notizie sui giornali o in tv, titoli di cronaca con riferimenti alla nazionalità, aneddoti e così via.
In più, è orientata a fare ricerche di tipo confirmatorio cercando su internet dati coerenti con la sua idea ed è risaputo, per esperienza comune, che ogni ricerca fatta mediante internet darà almeno un risultato congruente con quello che si sta cercando.

Ancora, la persona tende ad informarsi esclusivamente su canali di informazione e gruppi che condividono la sua visione, senza esporsi ad una riflessione diversa dalla propria. Se, per caso, si imbatte in una notizia che contrasta il suo preconcetto, essa viene ignorata, minimizzata o interpretata al punto da rafforzare la sua convinzione: il ragazzo immigrato che trova un portafoglio e lo consegna alla polizia è solo un caso, una persona tra mille delinquenti, un furbo che vuole ottenere qualcosa in cambio.

Si crea un disequilibrio tra la sua rappresentazione della realtà e la realtà esterna. Ciò crea disagio psicologico perché minaccia la sua identità (individuale e/o di gruppo), costruita nel tempo su idee e valori per lei stabili. Ignorare, minimizzare e distorcere l’informazione contraria, serve per recuperare un equilibrio psicologico, appunto la sua coerenza cognitiva.

Sul lato memoria, come nell’esempio precedente, rievocherà più facilmente e selettivamente esempi di immigrati che delinquono, visto che sono le informazioni più coerenti e quelle rapidamente accessibili.

Donna al volante pericolo costante

Chissà come e quando è nata l’idea che le donne alla guida siano meno capaci o più pericolose degli uomini, eppure è uno stereotipo forte che si tramanda di generazione in generazione. Vi è mai capitato, in caso di incidenti, di guardare il presunto responsabile con l’aspettativa di trovare una donna e confermare quello che già ci si immaginava? E’ molto probabile.

In caso contrario, in presenza di un uomo, è mai successo che le spiegazioni sommarie o i giudizi approssimativi non hanno riguardato il sesso ma ben altro? E’ probabile.
Questo è un altro esempio di come il bias sia in grado di distorcere rapidamente le opinioni, confermando le idee iniziali o minimizzando e trovando risposte alternative in caso contrario. Non me ne vergogno nel dirlo, ma questo è un bias che ha coinvolto in passato anche me, quando ero appena un neopatentato. E sorrido nel pensare che i danni delle mie macchine sino ad ora sono stati causati solamente o dal sottoscritto o da altri uomini al volante.

Le ricerche paradigmatiche sul confirmation bias

Una delle ricerche più rappresentative sul bias di conferma è stata quella condotta da Charles Lord, Lee Ross e Mark Lepper nel 1979, alla Stanford University.
Gli autori reclutarono due gruppi di persone, uno fortemente a sostegno della pena di morte, l’altro contrario.

Ad entrambi i gruppi furono dati due studi falsi, ma verosimili, dove in uno vi erano dati che dimostravano come le pena di morte riduceva il tasso di omicidi, nell’altro che la pena di morte non aveva alcuna influenza.

I risultati della ricerca evidenziarono che le prove a favore di una o l’altra posizione rafforzavano le convinzioni dei due gruppi, ma lo fecero anche le prove contrarie le quali venivano o minimizzate oppure duramente criticate dai lettori (ovvero i sostenitori della pena di morte mettevano in discussione la raccolta ed analisi dei dati dello studio che dimostrava la sua inefficacia, viceversa per i contrari).

Un altro esperimento molto famoso che dimostra il confirmation bias è quello delle quattro carte condotto da Peter Wason nel 1960.
Furono mostrate quattro carte da gioco che presentavano su una faccia una lettera e sull’altra un numero. Le carte, che mostravano solo una delle due facce possibili, erano E-F-2-5.

L’unica regola del gioco comunicata fu la seguente: “se una carta ha una vocale su un lato, sull’altro avrà un numero pari”. I soggetti dello studio dovevano verificare la correttezza della regola, voltando solamente le carte strettamente necessarie a tale scopo. La maggior parte dei soggetti girò la lettera E per controllare che la faccia nascosta avesse un numero pari e dimostrare che la regola fosse rispettata. Risposta corretta, ma incompleta.

Per essere realmente sicuri che “se una carta mostra una vocale su di un lato, allora avrà un numero pari sull’altro lato” era necessario girare anche la carta con il 5. Solo in questo caso, se dietro il 5 vi fosse stata una consonante, si poteva affermare che la regola era rispettata. A dare la risposta giusta (carte E e 5) fu solo il 5% del campione testato.

La spiegazione di tale risultato risiede nel fatto che la maggior parte delle persone, di fronte ad una ipotesi va alla ricerca di dati che la confermano (il girare la carta E), mentre non va alla ricerca di dati che la falsificano (girare la carta 5), per cui si tende a favorire le informazioni a sostegno della propria ipotesi piuttosto che quelle che la disconfermano.

Perché esiste il bias di conferma?

Il bias di conferma risponde a diversi scopi individuali orientati a preservare l’equilibrio e la sicurezza psicologica.

1) Economicità cognitiva

L’uomo è letteralmente bombardato da continue informazioni provenienti dall’ambiente che lo circonda. Analizzare con razionalità e logica ogni dato immagazzinato richiederebbe un ingente consumo di risorse sia cognitive che di tempo, soprattutto in quelle situazioni per le quali la rapidità di risposta è importante per proteggersi da minacce personali (siano esse minacce alla sopravvivenza o ad uno scopo esistenziale come l’autostima e l’approvazione sociale).

Le ricerche hanno dimostrato che il cervello umano non è in grado di elaborare continuativamente le informazioni secondo i principi logico-formali o le regole statistiche. Il bias di conferma, raccogliendo, interpretando e recuperando le informazioni in modo parziale, consente di elaborare i dati in modo economico e più rapido.

2) Autostima e identità personale

Confrontarsi con informazioni che contrastano la propria rappresentazione della realtà può indebolire l’autostima e l’identità di una persona. Se si ha una struttura di convinzioni, consolidata nel tempo, su come funzionano il mondo e gli eventi, l’esposizione ad informazioni contraddittorie minano le rappresentazioni del Sé e, con esse, il valore personale. Vengono messi in dubbio la propria morale, la coerenza, le abilità individuali ed anche la propria intelligenza.

Il bias di conferma consente, invece, di raccogliere e distorcere le informazioni affinché esse siano conformi o vengano conformate alle convinzioni di partenza. Queste, una volta rinforzate, alimentano la propria autostima e saldano l’identità personale.
Chi non si è mai sentito un po’ esaltato e rassicurato nel poter dire “hai visto che è come dicevo io? So troppo forte!”

3) Dissonanza cognitiva

Come accennato nell’esempio sul pregiudizio razziale, quando vi è una discrepanza tra cognizioni, ovvero tra due personali rappresentazioni mentali di un evento, si generano uno stato di disagio psicologico ed emozioni negative. Questo fenomeno, a cui ho dedicato un articolo più approfondito, è chiamato dissonanza cognitiva. Viene da sé desumere che il bias di conferma, filtrando selettivamente le informazioni coerenti con il proprio sistema di credenza, riduce o azzera la dissonanza ed il disagio emotivo esperito.

4) Appartenenza sociale e difesa del gruppo

Il bias di conferma permette di allineare le proprie convinzioni alla realtà sociale di cui si fa parte e, viceversa, adegua la realtà sociale alle proprie credenze. Questo processo può avere risvolti vantaggiosi sia per l’individuo che per il gruppo di appartenenza: i singoli si sentono accettati e percepiscono la comunità come più prevedibile e familiare; il gruppo è più coeso, compatto, apparentemente più produttivo (dico apparentemente perché, spesso, è la diversità di vedute che consente il progresso e la crescita di una comunità). In generale il bias di conferma, nel rapporto individuo-gruppo, facilita l’interazione e la comunicazione tra i membri.

Impatto del bias di conferma nella vita

Il bias di conferma può essere considerata una tendenza naturale del ragionamento umano, finalizzato a rispondere a diversi scopi psico-sociali dell’uomo, ma è innegabile che può avere effetti negativi, se non persino devastanti.

In ambito processuale, una giuria si fa un’idea prematura sulla colpevolezza o innocenza di un imputato. Le prove e le arringhe raccolte nel tempo possono essere interpretate e allineate al giudizio iniziale, portando a verdetti sbagliati.

In ambito medico, un dottore può partire da un’ipotesi diagnostica e iniziare a cercare indizi clinici conformi ad essa. Se mantiene rigidamente questa impostazione, potrà non condurre altri esami che sosterrebbero una diagnosi differenziale e sbagliare, di conseguenza, anche il trattamento.

In ambito lavorativo, la selezione e l’assegnazione dei ruoli può essere viziata da dettagli ininfluenti come il colore della pelle, l’abbigliamento o il genere sessuale.

In ambito sociale, il bias di conferma può contribuire a mantenere impressioni del tutto sbagliate su una persona, un gruppo culturale, un’intera etnia, alimentando pregiudizi e discriminazioni.

Su internet, quando si fa una ricerca specifica in sintonia con la propria ipotesi di partenza, gli algoritmi generano risultati congruenti con la stessa ipotesi di partenza. Tutto questo non è superfluo, ma pone interrogativi importanti su come vengono analizzate e veicolate le ricerche.

Infatti accade che, così facendo, una persona di orientamento politico si nutrirà quasi sempre solo di informazioni conformi alle sue idee, così come chi è di vedute politiche opposte alimenterà le sue convinzioni di partenza. Si verifica un vero e proprio isolamento intellettuale perché la rete tende a fornire le informazioni algoritmicamente preferite.

Viene meno un confronto costruttivo, le posizioni di partenza si radicalizzano, si perde una lettura critica e complessa degli eventi per i quali, molto spesso, né una posizione esclusivamente modernista né una esclusivamente tradizionalista sono corrette o sufficienti. Queste dinamiche sono anche alla base del fenomeno “fake news”.

Come gestire il bias di conferma

Tutti noi abbiamo questo tipo di bias. Anche se la nostra mente è flessibile, durante alcune delle nostre riflessioni e valutazioni può attivarsi, ma è possibile non rimanere inermi di fronte a questa naturale tendenza del ragionamento umano. Il punto di partenza è sapere che esiste questa forma di distorsione cognitiva e che essa può entrare a far parte del nostro ragionamento.

Dunque, facciamo ricorso alle nostre capacità metacognitive, ovvero quelle capacità che permettono di osservare dall’esterno i nostri pensieri, di riconoscerli e di prenderne distacco per modificarli laddove necessario.

Quando ci capiterà di giungere a delle conclusioni o formulare un giudizio, domandiamoci se si può esser attivato il bias, soprattutto se ci imbattiamo in informazioni che non confermano le nostre idee e siamo inclini a scartarle o minimizzarle.

Sarebbe utile allenarsi a mettere in discussione le proprie opinioni e provare a formulare ipotesi alternative rispetto a quella di partenza. Nel farlo, è importante preparare la mente ad analizzare le informazioni raccolte, valutare l’affidabilità delle fonti che abbiamo usato e confrontare i diversi dati con le diverse ipotesi alternative formulate.
Non sempre questo è possibile in quanto il tempo a sufficienza per effettuare un ragionamento così articolato può scarseggiare, ma ci si può esercitare nei momenti di maggiore distensione.

Se non si è in pericolo di vita o non c’è una grave minaccia al proprio equilibrio psicologico, ad esempio quando si ha il momento di consultare con tranquillità il giornale per aggiornarsi su temi politici e culturali (e non solo), ci si può allenare leggendo per intero l’articolo e non solo il titolo o le frasi in grassetto, valutare la fonte, analizzare le prove a sostegno della tesi esposta e cercare quelle contrarie, leggere altre fonti (anche di giornali diversi) che trattano dello stesso argomento.

Mentre lo si fa è importante mantenere la consapevolezza che il bias può essere attivo.
Oppure, se si è convinti che per svolgere un qualsiasi compito sia necessario seguire una rigida scaletta di azioni o sequenze automatiche, è possibile modificarle, cambiare i passaggi e le azioni stesse per scoprire cosa succede o cosa si può imparare.

Cerchiamo di virare il nostro atteggiamento mentale dalla automaticità nel cercare conferme alle proprie idee alla ricerca di dati che le disconfermano e rinvigorire la capacità critica.

Anche se possiamo nutrire una forte fiducia per le nostre credenze, rimangono sempre delle semplici idee, possono essere errate ed incomplete. Accettare informazioni contrarie non significa demolire e destrutturare la propria identità, ma arricchirla.

A distanza di più di 2000 anni, il “so di non sapere” di Socrate continua ad essere il principio di ragionamento più funzionale e razionale da seguire.

A cura di Christian Spinelli Psicologo Psicoterapeuta. Terapeuta EMDR. Riceve su appuntamento nel suo studio di Bari. Contatti: tel. 3335980704. Email christian.sp@libero.it