Accogliere il dolore per superarlo e andare oltre

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Psicologo e Pedagogista, esperto in bioenergetica orientale.

Come psicologo e pedagogista ho avuto modo di parlare e confrontarmi con molte persone, di ascoltare la sofferenza che, avvertita nel corpo, viene espressa attraverso la voce.

Le emozioni sono ciò che più di autentico definiscono il nostro modo di essere adesso, nel qui ed ora, infatti, se possiamo dubitare di ciò che diciamo o pensiamo, sicuramente non possiamo mentire su ciò che sentiamo ed il corpo spesso tradisce la nostra verità attraverso segnali che facilmente sfuggono al controllo della volontà.

Il corpo diviene teatro delle emozioni, il palcoscenico nel quale si muovono tutte le componenti che caratterizzano la nostra vita psichica, le nostre relazioni, i silenzi, le pause e le grida, anche quelle taciute.

Stare bene a ogni costo

L’espressione del dolore e della tristezza spesso coincide con la ricerca della via di fuga. La sofferenza, in qualche modo, ci fa sentire sbagliati perché spesso passa il messaggio che l’essere gioiosi, sorridenti e felici sia la modalità giusta di essere nel mondo. La persona felice è quella realizzata, invidiabile. La persona triste è out, sbagliata, è l’elemento fragile che va tenuta in ombra.

Le parti di noi che non coincidono con l’idea felicità e bellezza sono automaticamente la parte brutta e quindi sbagliata. Le emozioni che riconosciamo come giuste son quelle legate all’idea di “positivo” facendo passare il messaggio che rabbia, dolore, disgusto, paura e tristezza siano sbagliate e non sia lecito provarle. Purtroppo circolano filosofie fondate sul “sorriso perenne”, sull’”essere sempre felici ad ogni costo”, sul dover essere in qualche modo sempre e comunque.

Per essere in qualche modo occorre pensare in una certa maniera e seguire determinate regole. Se nonostante lo sforzo non riesci a sorridere alla vita, allora forse c’è qualcosa di sbagliato in noi. Le filosofie della “gioia eterna” rischiano in qualche maniera, allora, di alimentare il conflitto fra come ci sentiamo e come sarebbe giusto fossimo.

Questo conflitto nasce e si sviluppa fra il dolore che percepiamo e il voler fuggire da questa condizione seguendo dei percorsi o dei protocolli senza interrogarsi sulla natura del malessere.

Non esistono emozioni giuste o sbagliate. Nel nostro corredo biologico sono presenti tutte le emozioni con tutte le sfumature ed ognuna di essa ha una precisa funzione. Le emozioni ci fanno entrare in contatto con ciò che accade in noi nella nostra relazione con il mondo esterno. Sono reazioni che ci rendono consapevoli di cosa accade dentro di noi nel momento in cui facciamo delle scelte, ci troviamo innanzi a situazioni inaspettate o in qualunque altra condizione di vita quotidiana.

Le emozioni ci interfacciano alla realtà esterna

Le emozioni sono ciò che innescano reazioni per effettuare cambiamenti in modo da migliorare l’adattamento dell’organismo alla realtà esterna.

Il dolore e la tristezza rimandano al corpo il messaggio che occorre effettuare dei cambiamenti, che ciò che stiamo vivendo in questo momento è nocivo per noi stessi o che comunque stiamo attraversando un periodo in cui stiamo sperimentando la perdita di un riferimento importante.

Chiedere di voler uscire da una condizione di sofferenza senza interrogarsi sulla natura delle emozioni emerse, senza domandarsi cosa stia accadendo per capire come orientarsi per un eventuale cambiamento, è un po’ come voler disinnescare un allarme perché suona senza preoccuparsi del ladro che intanto è entrato.

Oltre a questo, il pretendere di uscire da una condizione di malessere seguendo dei precetti filosofici o delle indicazioni di un qualche “consigliere esperto”, può causare la ancor più dolorosa sensazione di non sentirsi ascoltati o accolti.

Un ascolto empatico e attento ai dolori altrui consente di accogliere quel malessere considerandolo come unico ed irripetibile. Ogni emozione è figlia di un’unicità, di una storia che sarà sempre e comunque diversa dalle altre. Ecco perché le teorie generali filosofiche del benessere non potranno mai addentrarsi nelle magli della soggettività e dei vissuti particolari.

Ogni storia è a sé e non è mai accostabile ad altre per somiglianza proprio perché il vissuto soggettivo è e sarà sempre diverso. Teorie generali non possono risolvere situazioni problematiche particolari così come protocolli di casi simili saranno sempre e comunque carenti e in difetto rispetto alla complessità della situazione particolare.

La vicinanza terapeutica consiste nell’accogliere e validare il vissuto del soggetto aiutandolo a chiarificare ciò che esprime a livello verbale e corporeo. Il terapeuta si fa piccolo, non aggiunge niente di suo, diviene specchio comprensivo ed attento rimandando al paziente tutta l’intensità e la pienezza della sua sofferenza in modo che venga riconosciuta come tale e, finalmente, possa essere accolta, integrata per poter poi essere successivamente elaborata e trasformata, in qualche modo, in risorsa per il futuro.
Si chiama esperienza terapeutica perché i vissuti vengono espressi e lavorati in modo da reinnestarli nel mosaico della soggettività in modo creativo e funzionale.

L’incontro terapeutico diviene esperienza per il futuro inteso proprio come un fare del paziente che consente di elaborare un vissuto riorganizzando la direzione dei vettori emozionali che lo connotano in modo che divenga realmente l’occasione per un cambiamento di sguardo e di prospettiva.

Senza questa volontà di confronto, di apertura e di espressione, senza il voler ascoltare per accogliere, chiarificare e validare, non può esserci cambiamento. Il dolore e la tristezza per poter essere superati devono essere vissuti, riconosciuti, espressi, accolti e, finalmente, integrati per poter andare oltre.

Un andare oltre che non è dimenticare un qualcosa di brutto ma rendersi conto che ogni vissuto è frutto di un’autenticità che consente di prendere coscienza di una parte di noi che deve essere sempre e comunque riconosciuta per poter trasformarci e superarci in modo unico, nel rispetto della nostra dimensione soggettiva umanità.

A cura di Andrea Guerrini, psicologo e pedagogista
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