Il rancore è un’emozione complessa e duratura che nasce da un senso di ingiustizia o da un torto subito. A differenza della rabbia, che può essere un’emozione momentanea e sfogata, il rancore si insinua lentamente fino a radicarsi, in modo più stabile, nell’identità, diventando una presenza costante nella vita della persona che lo prova.
Si tratta di una vera e propria trappola emotiva che ci tiene ancorati al passato, impedendoci di guardare al futuro con serenità. Chi nutre rancore continua a rivivere mentalmente l’offesa ricevuta che, ogni giorno, si appesantisce di più, come se il dolore fosse ancora vivo nel presente anche se in veste occulta e mai esplicitata. Peculiarità del rancore, infatti, è coprire il dolore con una sorta di astio. Questo continuo rimuginare contribuisce a mantenere viva la ferita, rendendo impossibile la guarigione.
Uno degli effetti più insidiosi del rancore è la sfiducia nei confronti degli altri. Chi porta dentro di sé questa emozione negativa tende a vedere il mondo attraverso un filtro di sfiducia e risentimento. Si aspetta continuamente di essere ferito, deluso o tradito, e questo atteggiamento influenza le sue relazioni interpersonali. Non è raro che chi serba rancore eviti di aprirsi agli altri, di fidarsi e di creare legami profondi, per paura di essere nuovamente deluso. Spesso, le persone cariche di rancore, sperimentano solo relazioni strumentali, cioè legami in cui l’altro è uno strumento che deve svolgere un compito di utilità. Un vero peccato perché si perde tutto ciò di bello che un legame ha da offrire, senza parlare degli effetti negativi esercitati su chi sta accanto.
Atteggiamenti tipici delle persone rancorose
Le persone rancorose mostrano spesso comportamenti ricorrenti che le distinguono. Questi atteggiamenti, oltre a rivelare il loro dolore interiore, influenzano negativamente la loro vita sociale, lavorativa e affettiva. Vediamone alcuni.
1. Non dimenticano mai un torto subito
Chi prova rancore non riesce a lasciar andare le offese ricevute. Anche dopo anni, può ricordare con precisione cosa è successo, come si è sentito e persino le parole esatte pronunciate dall’altra persona. Questo atteggiamento lo porta a rinfacciare eventi di vecchia data, tirare in ballo fatti anche quando non c’è alcuna attinenza e ripetere frasi come: “Non dimenticherò mai quello che mi hai fatto.” “Tu, anni fa, mi hai trattato male e io non me lo sono mai scordato.”
2. Tendono a rinfacciare il passato
Una caratteristica tipica delle persone rancorose, infatti, è l’incapacità di chiudere definitivamente i conti con il passato. Anche nelle discussioni quotidiane, tendono a riesumare vecchi dissapori e a rinfacciare errori ormai superati dagli altri: “Ah, adesso ti serve il mio aiuto? E quando io ne avevo bisogno, tu dove eri?“.
3. Si sentono costantemente vittime
Il rancore porta spesso a un senso di vittimismo cronico. Chi lo prova si percepisce come una vittima costante delle ingiustizie degli altri, senza mai prendere in considerazione la propria responsabilità nei conflitti.
4. Provano piacere nelle sconfitte altrui
Un altro atteggiamento tipico è il senso di soddisfazione quando chi li ha feriti subisce una delusione o un fallimento. Attenzione, non parliamo di chi li ha feriti nel concreto ma di persone che evocano qualcosa nella mente di chi porta rancore. Chi nutre rancore, infatti, può prendere di mira un’intera categoria di persone solo perché emblematicamente gli ricordano chi l’ha ferito. È come se, in quel momento di sciagura altrui, la giustizia fosse stata ristabilita.
5. Perdonano ma non lo fanno davvero
Il perdono è spesso visto come un segno di debolezza o una concessione immeritata. Le persone rancorose si aggrappano al loro dolore come se fosse un’armatura che le protegge da ulteriori ferite. Allora si oppongo completamente al perdono oppure, poiché hanno bisogno dell’altro “perdonano” ma è chiaro che non si tratta di vero perdono, ma solo di un compromesso indigesto che non farà altro che fomentare l’astio di sottofondo.
6. Si isolano e costruiscono muri punitivi
“Se ho sofferto io, devi soffrire anche tu”. È più o meno questo il mood interiore di chi cove rancore. Le persone rancorose tendono a punire il prossimo, anche chi non ha nulla a che fare con il loro dolore, perché il rancore è un’emozione che si autoalimenta, spingendo chi lo prova a proiettare la propria sofferenza su chiunque capiti nel proprio raggio d’azione. Alcune persone credono, inconsciamente, che facendo soffrire gli altri possano compensare il proprio dolore, come se il mondo dovesse restituire loro un risarcimento. “Se non posso essere felice, non lo sarà nessun altro intorno a me.”
7. Hanno uno stile comunicativo passivo-aggressivo
Piuttosto che esprimere apertamente il loro malessere, le persone rancorose spesso comunicano in modo passivo-aggressivo, con battute taglienti o frecciatine velenose.
Come spezzare il ciclo del rancore
Essere prigionieri del rancore non significa essere condannati a soffrire per sempre. Esistono modi per superarlo e ritrovare serenità:
- Accettare il passato senza riviverlo continuamente: prendere atto di ciò che è successo e scegliere di non permettere che ricapiti e che influenzi ancora il presente.
- Imparare a perdonare (per se stessi, non per gli altri): il perdono non significa giustificare, ma liberarsi di un peso che ci avvelena. Inoltre, perdonare non significa riallacciare i rapporti con qualcuno, soltanto accettare ciò che è già accaduto.
- Coltivare la fiducia in se stessi e nel futuro: concentrarsi su nuove esperienze costruttive anziché restare intrappolati nei vecchi dolori.
Il rancore, se non affrontato, diventa un fardello che pesa su chi lo porta e su chi gli sta accanto. Riconoscerne i segnali è il primo passo per liberarsene e costruire relazioni più sane e appaganti.
E se sei costretto a cooperare con persone rancorose?
Qui i confini sono tutto. Rispondere con rabbia o irritazione non farà altro che rafforzare il loro atteggiamento ostile. Mantieni un tono pacato e assertivo, senza cadere nella loro trappola e soprattutto senza alimentare altro dolore. A una frecciatina potresti provare a rispondere così: “Capisco che quello che è successo ti abbia ferito, e mi dispiace che tu ti senta così. Possiamo provare a parlarne in modo costruttivo?”. Ma questo servirà più a te che a lui/lei perché… non puoi cercare di cambiarlo/a! Il rancore difficilmente sparisce con la buona volontà di una persona esterna. Il cambiamento può avvenire solo se loro stessi ne sentono la necessità.
Se la persona rancorosa usa il suo risentimento per manipolarti o farti sentire in colpa, è importante stabilire limiti chiari. Prenditi lo spazio necessario per proteggere il tuo equilibrio senza sentirti in colpa. Può sembrarti crudele ma ognuno è responsabile del proprio benessere e non potrebbe essere diversamente. Il motivo? Riflettici, nessuno può vivere le tue emozioni al posto tuo così come tu non puoi vivere e risolvere i conflitti interiori altrui, non appartengono a te.
Prendersi in carico la propria felicità è una vittoria
Ricorda, chi si assume la responsabilità del proprio benessere cerca soluzioni e, nonostante la sofferenza, tenta di farcela, di muoversi verso un’evoluzione; al contrario, chi si sente vittima e non si assume la responsabilità di se stesso, rimane intrappolato nel dolore e finisce per trascinarsi anche gli altri.
Quello della responsabilità affettiva (la responsabilità che abbiamo verso noi stessi in primis e poi verso gli altri) è un tema che ho esplorato nel mio libro bestseller «il mondo con i tuoi occhi», disponibile su amazon e in tutte le librerie. In ogni pagina, ti prendo per mano e ti accompagno nel mondo dell’autoaccudimento. Se ne parla pochissimo ma lo scopo di ogni percorso terapeutico è imparare ad accudire se stessi, oltre l’altro. L’autoaccudimento, infatti, è come un abbraccio invisibile che ti dice: “Va tutto bene, sei al sicuro qui e ora, ce la fai, puoi agire per costruire il meglio per te nonostante le inevitabili avversità.” Un costante mood di sostegno che spesso cerchiamo nell’altro ma che possiamo imparare a garantirci in autonomia.
Autore: Anna De Simone, psicologo esperto in psicobiologia
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