Autostima e neuroni specchio: ecco perché ti vedi come ti vedono gli altri

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Dottoressa in psicologia, esperta e ricercatrice in psicoanalisi. Scrittrice e fondatore di Psicoadvisor

Ti sei mai chiesto perché bastano uno sguardo critico o una frase detta male per farti crollare? Non serve un trauma, una violenza o un grande abbandono per minare la fiducia in sé: a volte basta un’espressione sbagliata nel momento sbagliato. Un sorriso mancato quando ne avevi bisogno. Una madre sempre preoccupata. Un padre sempre distratto. O un insegnante che ha etichettato la tua goffaggine come “pigrizia”. Sono questi gli specchi deformanti con cui spesso impariamo a vederci, fin da piccoli.

Ma cosa accade nel nostro cervello quando ci specchiamo negli occhi degli altri? La risposta sta in una delle scoperte neuroscientifiche più affascinanti degli ultimi decenni: i neuroni specchio. Sono loro, in gran parte, a plasmare il nostro senso di identità, il modo in cui ci percepiamo e quanto ci sentiamo degni di essere amati.

Quello che stai per leggere è un viaggio che unisce psicologia, neuroscienze e esperienza emotiva per aiutarti a capire perché la tua autostima è così vulnerabile, e soprattutto, cosa puoi fare per ricostruirla partendo da dentro.

Cosa sono i neuroni specchio e perché ci riguardano da vicino

I neuroni specchio sono cellule nervose che si attivano sia quando compiamo un’azione, sia quando osserviamo qualcun altro compierla. Questa scoperta, fatta nei primi anni ’90 da un gruppo di neuroscienziati guidato da Giacomo Rizzolatti, ha rivoluzionato il modo in cui comprendiamo l’empatia, l’apprendimento sociale e… l’identità.

Quando un neonato vede il volto della madre che sorride, il suo cervello non si limita a osservare, ma replica internamente quell’emozione. È come se il sorriso della madre diventasse, per un attimo, parte del vissuto del bambino.

Ecco il punto: i neuroni specchio non si limitano a copiare gesti o emozioni altrui, ma le rendono parte della nostra esperienza soggettiva. In altre parole, impariamo chi siamo attraverso il modo in cui gli altri ci trattano. Se chi ci circonda ci guarda con affetto, accoglienza e fiducia, iniziamo a costruire una base solida per l’autostima. Se, al contrario, gli sguardi che riceviamo sono critici, svalutanti o assenti, il nostro cervello registra tutto… e lo interiorizza.

L’autostima è un riflesso che nasce prima ancora del linguaggio

Molto prima che impariamo a parlare, a descriverci o a definirci con parole, abbiamo già assorbito l’immagine di noi stessi attraverso ciò che gli altri ci hanno rimandato.

Pensaci: un bambino di pochi mesi non sa ancora chi è. Ma ha già un cervello che interpreta e imita. Se la madre si mostra ansiosa ogni volta che lui piange, il bambino interiorizza che le sue emozioni sono pericolose. Se il padre si allontana ogni volta che lui cerca vicinanza, quel piccolo cervello registra che i bisogni affettivi sono “troppo”. Così, attraverso lo specchio delle reazioni altrui, impariamo a regolare le nostre emozioni… spesso reprimendole per essere amati.

Il linguaggio che ti ha formato non era fatto solo di parole: era emozione incarnata

Quando pensiamo a come si forma l’autostima, tendiamo a concentrarci sulle parole che ci sono state dette. Ma in realtà, ciò che ha inciso più a fondo è il linguaggio paraverbale, cioè il tono, il ritmo, il volume e le pause con cui quelle parole sono arrivate.

Questi segnali sottili sono elaborati prevalentemente dall’emisfero destro del cervello, lo stesso emisfero che regola le emozioni, la comunicazione non verbale e l’empatia. Ecco perché un “bravo” detto con freddezza può ferire più di un rimprovero, e un “non hai fatto niente di male” pronunciato con un tono stanco o impaziente può suonare come un’accusa.

Il nostro cervello destro è un lettore silenzioso di sfumature emotive, e i neuroni specchio ne sono parte attiva: assorbono non solo le espressioni del volto, ma anche l’energia affettiva con cui ci si rivolge a noi. Così, ancora prima di comprendere le parole, impariamo il nostro valore attraverso il tono con cui veniamo accolti. Un tono calmo, caldo, presente attiva i circuiti della sicurezza emotiva. Un tono secco, disinteressato o nervoso genera allerta, e con essa la sensazione di essere “di troppo”.

In questo senso, l’autostima non nasce dalla grammatica, ma dalla prosodia: dalla melodia invisibile che accompagna le parole e che dice — più delle parole stesse — quanto vali.

“Come ti vedono, ti vedi”: l’identità riflessa

La psicoanalisi lo aveva intuito molto prima delle neuroscienze. Jacques Lacan parlava dello stadio dello specchio, un momento chiave dello sviluppo in cui il bambino inizia a costruire il suo io osservando il proprio riflesso… e soprattutto il modo in cui gli altri reagiscono a lui. Ma oggi possiamo andare ancora più a fondo, grazie alla biologia.

Ogni volta che ci troviamo in relazione con qualcuno, il nostro sistema di neuroni specchio si attiva: registra emozioni, intenzioni, microespressioni. Ma non lo fa in modo neutro. Il nostro cervello è plastico, sì, ma anche incredibilmente influenzabile.

Ecco perché una critica ricevuta da un genitore freddo può lasciare un segno più profondo di cento complimenti ricevuti in età adulta. Ecco perché spesso ci sentiamo stupidi, anche se razionalmente sappiamo di essere capaci. Ecco perché ci sentiamo come ci hanno fatto sentire, nonostante i nostri successi.

Il riflesso non è solo visivo: è neuronale. È il cervello che dice: “Se ti hanno guardato come un problema, allora sei un problema”. Ma c’è una buona notizia: questo riflesso può cambiare.

Quando il giudizio degli altri diventa la tua voce interiore

Molti di noi vivono con una voce interiore svalutante. Ti dice che non sei abbastanza brillante, che sei troppo sensibile, troppo lento, troppo tutto. Quella voce, in realtà, non è tua. È un eco dei volti che hai osservato da piccolo. Volti che ti hanno guardato con impazienza, delusione, freddezza.

I neuroni specchio, infatti, non smettono di lavorare con la crescita. Continuano ad attivarsi ogni volta che ci confrontiamo con un altro essere umano. Ma quando quella voce interna è stata ormai appresa, non serve più nemmeno la presenza di qualcuno. Ci bastiamo da soli per perpetuare la svalutazione. La nostra mente ha imparato a guardarsi con gli occhi degli altri, e non sempre quelli giusti.

L’autostima non si “costruisce”: si disimpara la disistima

Uno degli errori più comuni è pensare che l’autostima sia qualcosa che si costruisce aggiungendo nuovi comportamenti: parlare in pubblico, affrontare sfide, dirsi frasi motivanti davanti allo specchio. Ma la verità è che la vera autostima nasce quando smettiamo di guardarci con occhi pieni di vergogna.

Il problema non è che non ci amiamo abbastanza, ma che ci siamo visti troppo a lungo attraverso occhi giudicanti, e il nostro cervello ha creato un’autonarrazione fondata sul rifiuto. È qui che le neuroscienze e la psicologia si incontrano: la neuroplasticità del cervello ci dice che possiamo cambiare connessioni, anche dopo anni, ma serve un ambiente relazionale diverso, sicuro, in cui i neuroni specchio ricevano nuovi input.

E questo ambiente può essere anche interno. Puoi diventare tu la figura che non hai avuto. Ma serve tempo. Serve silenzio. Serve saper ascoltare anche il dolore antico.

Come iniziare a guardarti con occhi nuovi (e riscrivere la tua autostima)

La buona notizia è che, anche se hai passato anni a vederti attraverso sguardi critici, puoi imparare a rispecchiarti in modo diverso. Il cervello è plastico, e il cuore — quando viene accolto — sa ricostruirsi. Non esiste un gesto unico che ti restituisca la fiducia in te stesso, ma una serie di piccoli atti quotidiani, fatti di consapevolezza, presenza e verità emotiva, che nel tempo riscrivono la narrazione interiore. Ecco da dove puoi cominciare.

1. Individua la voce critica che hai interiorizzato

Fermati e chiediti: Questa frase che mi dico… di chi è davvero? Spesso stai ripetendo, senza accorgertene, le parole di chi ti ha fatto sentire “sbagliato”.

2. Cambia lo specchio

Circondati di relazioni che ti rispecchino in modo nuovo. Non servono decine di persone. A volte basta una sola relazione sana, che attivi nuovi circuiti neurali.

3. Attiva l’osservazione gentile

Invece di giudicarti, inizia a osservarti. Proprio come farebbe un buon terapeuta: con curiosità, rispetto, e senza bisogno di “aggiustare” ogni emozione.

4. Riattiva il corpo

I neuroni specchio non elaborano solo parole, ma anche gesti e posture. Cammina con dignità. Respira a fondo. Muoviti come se già ti appartenessi. Il cervello imparerà.

5. Scrivi la tua autobiografia emotiva

Ripercorri i momenti della tua infanzia in cui ti sei sentito visto, ignorato, rifiutato. Riconoscere è il primo passo per non lasciare che quelle immagini decidano ancora chi sei.

Tu non sei ciò che hai visto negli occhi degli altri

Se oggi ti vedi fragile, indegno, sbagliato… sappi che questa immagine non è la verità. È un riflesso. E ogni riflesso dipende dallo specchio. I tuoi neuroni specchio hanno assorbito emozioni, atteggiamenti, giudizi. Ma non sono incisi nella pietra. Ogni nuova esperienza, ogni nuova carezza emotiva, può riprogrammare il modo in cui ti vedi. Soprattutto se impari a diventare, tu stesso, lo specchio amorevole che ti è mancato.

Ricorda: non sei nato con una bassa autostima. L’hai imparata. E tutto ciò che si impara… si può anche disimparare. E se desideri un percorso ancora più profondo per tornare a guardarti con occhi liberi, senza i filtri deformanti dell’infanzia, ti invito a leggere il mio libro Il mondo con i tuoi occhi.

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