Sempre più spesso all’interno dei contesti formativi di ogni ordine e grado sentiamo parlare di bisogni educativi speciali e di strategie da adottare per facilitare gli apprendimenti.
Senza addentrarci nelle normative di riferimento, è sufficiente in questo contesto accennare al fatto che gli insegnanti sono tenuti, in accordo con i genitori, ad adottare un piano educativo individualizzato là dove si sia in presenza di una diagnosi di disturbo specifico di apprendimento o relativo alla sfera comportamentale.
I docenti sono tenuti ad adottare un piano educativo individualizzato anche là dove, in assenza di diagnosi, si manifestino situazioni in cui l’alunno mostra difficoltà a raggiungere gli obiettivi educativi prefissi. E’ proprio su quest’ultimo punto che vorrei centrare l’attenzione.
Non solo disturbi specifici dell’apprendimento:
le difficoltà di concentrazione del bambino possono essere la conseguenza di trascorsi difficili
Molti alunni, pur in assenza di un disturbo specifico, spesso attraversano momenti di vita che impattano eccessivamente con la sfera emotiva.
Situazioni di separazione, lutti, ma anche di difficoltà economica o di abbandono da parte di un genitore, possono attivare meccanismi emotivi tali, da inibire l’attenzione, demotivare, ridurre l’entusiasmo per le diverse attività didattiche, incrementare atteggiamenti di passività o di eccessiva vivacità, con conseguenze drammatiche non soltanto da un punto di vista del rendimento scolastico ma anche da quello relazionale ed affettivo con le figure adulte di riferimento.
Gli strumenti compensativi e dispensativi che i docenti mettono in campo insieme alla propria professionalità possono essere molto utili per facilitare, da un punto di vista tecnico-operativo, gli apprendimenti ma poco suggeriscono su come intervenire da un punto di vista emozionale ed espressivo dell’alunno.
Bisogno educativo speciale può significare non solo necessità di arrivare ad un traguardo in termini di apprendimento ma anche necessità di accogliere quei vissuti che, se non espressi, rischiano di inibire la motivazione scolastica.
Bisogni educativi speciali
In un’ottica umanistica e bioenergetica i bisogni educativi speciali possono essere ridefiniti in termini emozionali, centrando l’attenzione sui nuclei affettivi che spesso rimangono congelati soprattutto se i vissuti non vengono accolti e legittimati da parte delle figure adulte di riferimento.
Il lavoro psico-educativo che propongo con bambini e ragazzi con bisogni educativi speciali non consiste quindi nella somministrazione di specifici reattivi didattici o di schede operative mirate ma nella disponibilità ad accogliere l’altro con tutto il so carico emozionale.
Si tratta quindi di stabilire un contatto empatico profondo con l’altro manifestando un reale interesse verso la narrazione delle esperienze e degli accadimenti. E’ interessante centrare l’attenzione sul modo in cui le esperienze sono state metabolizzate e sui comportamenti che sono scaturiti in conseguenza a certi eventi.
Sentire che la figura adulta c’è, è presente non tanto per portare a termine un lavoro scolastico ma perché vuole accogliere l’altro senza giudizio e senza la pretesa di volere cambiare qualcosa nell’immediato, è fondamentale per stabilire una relazione basata sulla fiducia. Senza la fiducia è difficile che si possa stabilire una connessione educativa duratura ed efficace.
L’apertura dell’alunno è direttamente proporzionale alla capacità dell’adulto di accogliere senza criticare i contenuti emersi.
La fase successiva è quello di validare ciò che emerge in termini emotivi, come paura, rabbia o dolore, legittimando i vissuti in modo da non far sentire sbagliata la persona che li esprime. Molte persone tendono a chiudersi in se stesse proprio perché temono il giudizio dell’altro o perché hanno vissuto sulla propria pelle il dolore della critica nel momento in cui si sono aperte. La perdita di fiducia nelle relazioni è il primo scoglio da abbattere per iniziare ad intraprendere un lavoro educativo efficace.
Successivamente è importante chiarificare ciò che viene espresso, rimandando una rielaborazione di quanto è stato compreso dal racconto dell’altro. Riproporre la narrazione altrui con parole proprie rimanda la sensazione che l’altro ascolta attivamente e che non è soltanto una presenza fisica. Sentirsi accolti facilita l’apertura in modo da preparare il terreno per iniziare a lavorare sugli apprendimenti.
Lavorare sulla dimensione emotiva per migliorare l’apprendimento
Se manca il lavoro sulla dimensione emozionale la didattica rischia di fallire perché viene meno la predisposizione a prestare attenzione e ad elaborare le informazione.
La costruzione dei saperi è frutto di una elaborazione dei dati acquisiti e per procedere in questa direzione occorre un’attivazione emozionale consona. Molti bambini ed adolescenti portano con sé una forte rabbia della quale spesso hanno una scarsa consapevolezza. Si manifesta attraverso atteggiamenti di insofferenza, fastidio, oppositività e mancanza di interesse.
L’alunno può procedere con il rifiuto e la provocazione quasi a cercare un conflitto. Sono questi i segnali che fanno da spia alla necessità di far emergere ed accogliere più che punire ed inibire. La rabbia attiva a sua volta la rabbia e così si innescano processi distruttivi da un punto di vista relazionale in cui figure adulte ed alunni fanno muro contro muro.
Spesso la rabbia deriva da esperienze formative precedenti disastrose che hanno alimentato la convinzione di non essere capaci, di non essere all’altezza delle aspettative con conseguenze negative in termini di stima di sé.
La frustrazione quindi è un altro elemento da far emergere ed accogliere perché è spesso l’attivatore dei comportamenti aggressivi e di rifiuto che mettono seriamente in crisi il rapporto educativo.
Aiutare a parlare di sé e di come ci si sente è importante per incrementare la consapevolezza delle emozioni provate e di come queste possano essere accolte dall’ascoltatore. Già questo innesca un processo di riflessione su se stessi importante per arrivare a riequilibrare i volumi troppo alti o troppo bassi delle varie tonalità emotive.
Solo dopo questa alfabetizzazione emozionale, l’espressione dei vissuti e delle emozioni esperite è possibile smontare le convinzioni errate su se stessi (sono incapace di…) e sperimentare gradualmente il successo.
Provare piacere per la fatica durata è il motore attivatore per i successivi apprendimenti. Calibrare bene l’attività in modo che siano rispettati i tempi di attenzione dell’alunno è necessario affinché possa essere ottenuto il successo in maniera proporzionale alla fatica durata.
Il piacere per il successo può aiutare a prolungare i tempi di attenzione. La difficoltà sta poi nel gestire l’impianto di lavoro perché ovviamente ogni differenziazione rispetto al gruppo classe può essere vissuto come frustrante e, allo stesso tempo, un lavoro troppo complesso può attivare nuovamente il senso di impotenza.
Certo è che, se il lavoro emozionale ha avuto effetto, sicuramente si attiveranno delle dinamiche relazionali diverse, atte a non vivere la scuola solo in termini di prestazione/risultati ma anche di competenze socio affettive acquisite. Il successo nelle relazionali interpersonali è infatti un altro motore importante che aiuta a costruirsi un’immagine di sé positiva, lontana dalla concezione che il valore della persona si misura soltanto dalla capacità di rispondere alle richieste e dai risultati ottenuti.
A cura di Andrea Guerrini, psicologo e pedagogista
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