C’è un momento nella vita in cui il mondo si fa troppo piccolo per contenere tutto ciò che sentiamo. È l’adolescenza. Un tempo intermedio, sospeso tra l’infanzia e l’età adulta, in cui la mente esplode di domande e il cuore non riesce più a contenere le emozioni. In questo tempo fragile e potentissimo, l’adolescente non è “solo un ragazzo che cambia”, ma un essere in piena rivoluzione interna. Comprenderlo richiede uno sguardo che sappia andare oltre il comportamento, oltre la ribellione o il silenzio, per intercettare ciò che accade in profondità: nel cervello, nell’inconscio, nelle emozioni ancora senza nome.
Ogni adulto, che sia genitore, educatore o terapeuta, dovrebbe fermarsi a osservare la mente adolescente con rispetto e meraviglia
Perché ciò che accade in quegli anni non è solo una fase da superare, ma un terreno sacro in cui si costruisce l’identità, si riorganizzano i legami affettivi e si pianta il seme dell’autonomia. In questo articolo ci immergeremo nei cambiamenti neurobiologici e psicoaffettivi che plasmano l’adolescenza. Con uno sguardo che intreccia la psicoanalisi e le neuroscienze, cercheremo di restituire complessità a questa fase e, soprattutto, offrire strumenti per comprenderla e accompagnarla con maggiore consapevolezza.
1. Il cervello adolescente: un cantiere in piena attività
L’adolescenza è il tempo in cui il cervello si riscrive. La neuroplasticità, ovvero la capacità del cervello di modificare la sua struttura in risposta all’esperienza, raggiunge un picco durante l’infanzia, ma vive un secondo momento di intensa riorganizzazione proprio nell’adolescenza. Cosa succede esattamente nel cervello?
Potatura sinaptica (synaptic pruning): Il cervello adolescente comincia a eliminare le connessioni sinaptiche meno utilizzate per rendere più efficienti quelle ritenute utili. È come se un giardiniere selezionasse solo i rami più forti per dare spazio a una crescita armonica.
Maturazione della corteccia prefrontale: Quest’area, deputata a funzioni esecutive come la pianificazione, l’autocontrollo, la valutazione del rischio e il pensiero astratto, è l’ultima a maturare. Per questo motivo gli adolescenti spesso agiscono in modo impulsivo, seguendo l’emozione del momento, prima ancora di riflettere sulle conseguenze.
Sistema limbico iperattivo: Le aree cerebrali responsabili delle emozioni e delle ricompense, come l’amigdala e il nucleus accumbens, diventano particolarmente sensibili. Ciò rende gli adolescenti inclini a esperienze intense, sia nel piacere che nella sofferenza.
Il risultato? Un cervello potentemente ricettivo, creativo, curioso… ma anche vulnerabile agli eccessi emotivi, alle dipendenze e alle influenze esterne.
2. Il Sé in trasformazione: l’adolescente tra perdita e rinascita
Dal punto di vista psicoanalitico, l’adolescenza non è solo un’evoluzione biologica, ma un vero e proprio lutto psichico. Secondo autori come Peter Blos e Donald Winnicott, l’adolescente deve affrontare la perdita dell’infanzia, con i suoi legami simbiotici e la protezione dell’autorità genitoriale, per costruire un’identità autonoma. Questa perdita, però, non è mai indolore.
Separazione e individuazione: Il ragazzo sperimenta una duplice tensione: da un lato il bisogno di differenziarsi dai genitori, dall’altro il timore inconscio di perderli. È una danza ambivalente, fatta di rifiuto e desiderio, di chiusura e bisogno di contenimento.
Crollo degli ideali infantili: L’adolescente inizia a vedere i genitori come esseri umani, fallibili. Questo processo può generare rabbia, delusione, ma anche aprire la strada a relazioni più autentiche.
Riorganizzazione narcisistica: L’io adolescente attraversa momenti di fragilità e grandiosità alternati. Il bisogno di essere visti, riconosciuti, ammirati è spesso espressione di una struttura identitaria ancora instabile.
Winnicott parlava del “vero Sé” come di una realtà interna che può emergere solo se l’ambiente permette al ragazzo di esistere senza essere giudicato o forzato a diventare “qualcosa per qualcun altro”. Ecco perché il ruolo dell’adulto è tanto delicato: deve proteggere senza invadere, accompagnare senza controllare.
3. Il corpo che cambia: identità e vergogna
Non si può parlare di mente senza parlare del corpo. L’adolescente è costretto a rinegoziare il proprio rapporto con un corpo che cambia rapidamente, spesso senza che la mente riesca a tenere il passo. La pubertà porta con sé:
Sessualizzazione del corpo: La comparsa di impulsi sessuali e l’aumento della sensibilità corporea generano desideri nuovi ma anche confusione, vergogna, senso di colpa.
Riorganizzazione dell’immagine corporea: L’adolescente spesso si percepisce “sbagliato”, si confronta costantemente con l’esterno e cerca disperatamente uno specchio che lo restituisca accettabile. I disturbi dell’immagine corporea, come dismorfofobia e disturbi alimentari, trovano terreno fertile in questa fase.
Corpo come mezzo di comunicazione: Il corpo diventa linguaggio: attraverso il look, il piercing, il tatuaggio, ma anche il silenzio, il ritiro, l’autolesionismo. È il corpo che parla quando le parole mancano.
4. I legami affettivi: tra dipendenza e bisogno di libertà
L’adolescente oscilla tra un bisogno primario di legame e un impulso fortissimo verso l’autonomia. È il tempo in cui i pari diventano fondamentali: non per sostituire la famiglia, ma per affermare una nuova identità sociale.
Il gruppo come specchio del Sé: Gli amici sono contenitori emotivi, ma anche strumenti di identificazione. Essere accettati diventa vitale perché il gruppo offre un senso di appartenenza.
Amori adolescenziali: La sessualità, l’innamoramento, la delusione amorosa sono esperienze che scolpiscono l’identità affettiva. Ma spesso l’adolescente non ha ancora strumenti per elaborare la complessità del legame: per questo le rotture amorose possono essere vissute come traumi.
Ambivalenza verso i genitori: Spesso l’adolescente sembra rifiutare il legame familiare, ma sotto la superficie resta un bisogno profondo di essere contenuto, ascoltato, riconosciuto. L’errore più comune dell’adulto è prendere la distanza dell’adolescente come un reale distacco affettivo.
5. Il ruolo dell’adulto: da guida a presenza silenziosa
L’adulto che accompagna un adolescente deve rinunciare all’illusione del controllo. Non si tratta più di “insegnare”, ma di esserci. Di diventare una presenza che, anche se apparentemente messa in discussione, resta affidabile, coerente, affettuosa. Alcune chiavi per l’adulto:
Accettare l’ambivalenza: L’adolescente ama e odia, si avvicina e si ritrae. Non è incoerenza, è costruzione del Sé.
Non forzare la parola: Se il ragazzo non parla, non sempre è perché rifiuta il dialogo. A volte ha bisogno che l’adulto sappia stare nel silenzio, senza ansia di riempirlo.
Ascoltare senza interpretare subito: Spesso l’adulto risponde prima ancora di aver ascoltato davvero. L’adolescente ha bisogno di sentire che le sue emozioni possono essere accolte senza essere subito etichettate o corrette.
Rinunciare al “tu devi” e scegliere il “ci sono”: L’adolescente non ha bisogno di adulti perfetti, ma di adulti autentici. Che sappiano mostrare i propri limiti, chiedere scusa, raccontarsi con verità.
Perché gli adolescenti si rifugiano nei social? Il bisogno di uno specchio emotivo
Uno dei fenomeni più visibili (e spesso più criticati) dell’adolescenza contemporanea è l’utilizzo massiccio dei social network. Ma al di là della superficie, dietro lo schermo non c’è solo un passatempo: c’è un bisogno emotivo profondo, che merita di essere compreso prima di essere giudicato.
L’adolescente, nella sua ricerca identitaria, ha bisogno di uno specchio. Non solo fisico, ma anche affettivo ed esistenziale. I social rappresentano, per molti ragazzi, una vetrina in cui sperimentare sé stessi, un luogo dove cercare conferme, dove ricevere feedback immediati sul proprio valore. È qui che entrano in gioco i “like”, i commenti, i follower: segnali simbolici di riconoscimento, che spesso riempiono un vuoto di validazione nel mondo reale.
Dal punto di vista neurobiologico, il sistema dopaminergico — responsabile della motivazione e della ricompensa — è particolarmente attivo in adolescenza. Ogni notifica ricevuta può innescare un rilascio di dopamina, generando una piccola gratificazione che si traduce in un comportamento ripetuto, quasi compulsivo.
Ma sul piano psicoanalitico, il rifugio nei social racconta qualcosa di più profondo: il bisogno di appartenenza, di narrazione, di visibilità. Spesso l’adolescente non ha ancora parole per esprimere ciò che sente, e allora costruisce un’identità “social” che funzioni come armatura e maschera allo stesso tempo. Mostrarsi perfetti, cool, in controllo, può diventare una strategia per tenere lontane le proprie fragilità.
Il rischio, naturalmente, è quello della dissociazione affettiva: la distanza tra ciò che si mostra e ciò che si è realmente può diventare fonte di ansia, depressione, senso di vuoto.
Ecco perché l’adulto dovrebbe evitare la demonizzazione dei social. Non si tratta di proibire o colpevolizzare, ma di offrire alternative relazionali significative. Quando un ragazzo sente che nella realtà c’è spazio per lui — per la sua confusione, la sua rabbia, la sua bellezza imperfetta — allora non ha più bisogno di rifugiarsi dietro uno schermo per sentirsi qualcuno.
Comprendere per non perdere il contatto
La mente dell’adolescente è un paesaggio in trasformazione. Un luogo dove nascono nuove connessioni, nuove emozioni, nuove verità. Se l’adulto resta ancorato alla logica del controllo, alla paura dell’errore, rischia di perdere il contatto con quella vita che si sta formando davanti ai suoi occhi.
Comprendere i cambiamenti neurobiologici e psichici dell’adolescenza non serve solo a “gestire meglio” questa fase: è un atto d’amore. Significa riconoscere il valore evolutivo della crisi, rispettare il mistero della crescita, onorare la fatica dell’identità in divenire.
E soprattutto, significa restare. Anche quando il ragazzo ci spinge via, anche quando ci urla in faccia che non ha bisogno di noi. Perché sotto quella ribellione si nasconde un grido antico:
“Resta. Perché io mi sto perdendo. Ma ho bisogno di sapere che tu ci sei.”
È con questo stesso spirito che ho scritto il libro “Il mondo con i tuoi occhi“: un invito a guardare la vita — la propria e quella degli altri — con maggiore profondità, consapevolezza e amore. Ogni pagina è un tentativo di riportarci lì dove tutto comincia: nello sguardo di chi ci ha visto per davvero. E per ogni adolescente che oggi cerca sé stesso nel caos, c’è un adulto che può scegliere di esserci, non con risposte pronte, ma con una presenza autentica. Perché crescere non è mai un atto solitario. E la felicità, quella vera, nasce quando qualcuno ci insegna a vederci con occhi nuovi. Per immergerti nella lettura del mio libro e farne tesoro, puoi ordinarlo qui su Amazon) oppure in libreria.
A cura di Ana Maria Sepe, psicologo e fondatrice della rivista Psicoasvisor
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