Nel 1888, nella sua opera «Il crepuscolo degli idoli», Friedrich Nietzsche scrisse: «Ciò che non mi uccide, mi rende più forte». Da oltre un secolo a questa parte, la frase è passata da bocca in bocca, per proclamare che le avversità possono essere una fonte di forza e d’ispirazione, un’opportunità di crescita. La frase è così suggestiva, che anche cantanti contemporanei (da Tiziano Ferro a Taylor Swift) ne hanno ripreso il senso.
Viviamo in un’epoca in cui tensioni internazionali, paure pandemiche e pressioni economiche mettono a dura prova la tenuta psicologica di tutti noi, ma se la frase di F. Nietzsche è vera, ognuna di queste tempeste potrebbe renderci migliori, più forti e più saggi. Questo vale ancora di più per le sofferenze individuali che abbiamo dovuto attraversare nel nostro passato.
Si sente spesso parlare di PTSD (Post traumatic stress disorder o Disturbo da stress post-traumatico), più raramente, invece, abbiamo sentito l’acronimo PTG (Post Traumatic Growth o Crescita post-traumatica). Il termine PTG si riferisce ad un cambiamento psicologico positivo come risultato di una lotta contro circostanze di vita altamente impegnative, minacciose e sfidanti.
La crescita Post-Traumatica non ha niente a che vedere con la Resilienza
Lo studio di possibili effetti positivi di eventi traumatici è iniziato intorno agli anni ’80 del secolo scorso. Tra gli autori che hanno approfondito questo fenomeno figurano Tedeschi e Calhoun che, nel 2004, hanno studiato un campione di persone vittime di trauma e le relative reazioni psicologiche. Analizzando i dati emersi, gli autori hanno evidenziato, in un gruppo ristretto di individui, un’inaspettata tendenza al cambiamento positivo.
Gli eventi difficili possono sconvolgere e modificano i fattori di personalità che guidano i processi decisionali, nonché la visione del mondo. Tutto questo non ha nulla a che fare con il concetto di resilienza. In psicologia, la resilienza indica la capacità di un individuo di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà. La resilienza implica un buon adattamento, una buona capacità di fronteggiamento dell’avversità in atto.
Il PTG, invece, fa riferimento a ciò che può accadere quando qualcuno che ha affrontato delle difficoltà riesce a superare la sofferenza psicologica impegnandosi con tutte le sue forze. La crescita post traumatica è un processo che richiede tempo, assorbe risorse cognitive e soprattutto, ha inizio con un senso di perdita.
La sofferenza: un mezzo per ricostruire se stessi
Proprio come un terremoto distrugge intere case e città, una forte sofferenza emotiva più stravolgere l’esistenza di una persona. La ricostruzione diviene l’unica alternativa funzionale, proprio come accade dopo una calamità naturale, questa ricostruzione consente di dare vita a strutture nuove e più resistenti.
Secondo il modello di Tedeschi e Calhoun, nelle prime fasi della lotta si attivano diversi processi cognitivi, simili, per certi versi, alla ruminazione sperimentata dalla persone depresse. Questo pensare e ripensare a ciò che è accaduto, però, proietta al futuro e consente di fissare nuovi obiettivi personali e piani per perseguirli. Quando si attraversa una forte sofferenza, in genere, la persona non ha energie ne’ speranze per perseguire obiettivi e così si abbandona in uno stato melanconico. Nel caso della crescita post-traumatica, la persona si aggrappa a uno scopo e fa di tutto per perseguirlo, fino a favorire una schiusura del sé che a sua volta aiuta il processo di ricostruzione.
La sofferenza può renderci più cattivi o più saggi
Indagando nel passato di molti serial killer, si trovano storie di abusi e maltrattamenti. I manuali di criminologia sono pieni di vittime che poi sono divenuti efferati criminali. Parlando di avversità più comuni, è facile individuare un deficit empatico, scarsa sensibilità verso il prossimo, opportunismo e tendenze alla manipolazione negli adulti che sono stati bambini trascurati emotivamente e che hanno subito forme di abuso più sottili.
In egual modo, se si indaga nel passato di grandi personalità dalla spiccata sensibilità, è possibile trovare vissuti traumatici e storie di sofferenze indicibili. Se la sofferenza è stata la stessa, cosa ha fatto la differenza nell’evoluzione? L’elaborazione.
L’elaborazione cognitiva della sofferenza è il fattore che promuove la crescita post-traumatica e, in particolare, è ciò che guida la persona nella ricerca di una nuova visione del mondo. Elaborare significa trasformare le pressioni dettate dall’esterno e integrarle nell’apparato psichico formando un’associazione con il resto delle esperienze vissute.
Il trauma entra a far parte della propria storia personale senza fissarsi nella mente in modi disfunzionali. L’elaborazione richiede molte risorse cognitive come la capacità di riflettere e ragionare, capacità mnemoniche, di pianificazione e soprattutto necessita di uno sforzo protratto. Non è un qualcosa che si verifica dall’oggi al domani!
La crescita post-traumatica non è da tutti
Il processo di crescita post-traumatica sembra essere collegato allo sviluppo di una saggezza diffusa nei confronti della vita, le persone riescono a dare un senso a ciò che è accaduto, si sentono più forti e più sicure nell’affrontare il futuro.
Questo processo, tuttavia, richiede uno sforzo cognitivo non indifferente, pertanto non è per tutti. L’elaborazione cognitiva richiede di attraversare, ancora una volta, la sofferenza che ci ha devastati. In fondo, come osservato da A. M. Sepe, «Per stare bene con se stessi bisogna passare per molte sofferenze e non sempre siamo pronti a farlo».
Talvolta il dolore è così paralizzante che spazza via ogni possibilità di recupero, ma per qualcuno, anche una minuscola molecola di speranza può bastare a gettare le basi della ricostruzione.
I benefici di un vissuto difficile
In seguito alla forte battaglia, la crescita post-traumatica può sortire effetti in diverse sfere principali.
Nelle Relazioni interpersonali si osservano forti cambiamenti comportamentali. Le vecchie relazioni si sfaldano completamente o si risanano, si verifica una maggiore empatia e compassione per gli altri.
Cambiano gli scopi di vita ed emergono nuove possibilità in precedenza ignorate. L’individuo mostra una maggiore apertura mentale e una propensione ad affrontare le scelte più consapevolmente.
Aumenta il grado di fiducia in sé e la forza personale. La persona percepisce la propria identità in modo stabile e diviene consapevole delle proprie risorse e, al contempo, presenta una maggiore accettazione delle circostanze sfavorevoli come parte della vita, correlata a un senso di vulnerabilità. La saggezza è anche questo: saper accettare i rischi della vita.
Si verifica un forte cambiamento nella visione della vita e del mondo, correlato alla sensazione di «essere fortunati», desiderio di vivere pienamente ogni singolo giorno. Al contempo, si verifica una variazione delle priorità e la nascita di nuovi valori.
È opportuno far notare che il processo di crescita NON è una diretta conseguenza del trauma ma è l’evoluzione della lotta individuale nel fare i conti con la nuova realtà imposta dal trauma. Affinché si attivi la crescita post-traumatica, il dolore deve essere tale da destabilizzare l’individuo, deve verificarsi un vero e proprio terremoto emotivo, non basta un piccolo tumulto.
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