Chi usa queste frasi cela un vissuto traumatico

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Dottoressa in psicologia, esperta e ricercatrice in psicoanalisi. Scrittrice e fondatore di Psicoadvisor

Il periodo della vita chiamato infanzia è una tappa cruciale della vita.  È proprio attraverso il modello di attaccamento che il bambino costruisce una propria identità; impara ad interpretare le informazioni provenienti dal mondo esterno e sviluppa una specie di “copione” circa le sue modalità relazionali. Questo è il motivo per cui i traumi e le ferite dell’infanzia rimangono in noi, ci impregnano e vediamo la loro influenza anche durante l’età adulta. Già Sigmund Freud, affermava che le esperienze traumatiche vissute in età infantile determinano nel futuro la tendenza a proteggersi dal ripetersi di situazioni analoghe, al fine di non provare altro dolore psichico.

C’è naturalmente una bella differenza tra una ferita fisica e una ferita emotiva

La ferita fisica si vede a occhio nudo e può essere spesso percepita al tatto; inoltre si può discutere sulla gravità di una ferita fisica ma non si può negarne l’esistenza in una forma o nell’altra. Non è questo il caso delle ferite emotive; poiché non ci sono segni fisici a provarne l’esistenza. Ma è a partire da queste ferite emotive o esperienze dolorose dell’infanzia che plasmeremo la nostra personalità. Negli ultimi tempi sentiamo sempre più spesso parlare di Childhood Emotional Neglet o meglio, Negligenza emotiva infantile o trascuratezza emotiva. La trascuratezza emotiva nell’infanzia, protratta nel tempo, esercita gli stessi effetti di un trauma psicologico. La grossa differenza è che nel Neglet non vi sono eventi eclatanti, così il bambino tenderà a normalizzare il suo vissuto, senza elaborare e mettere a fuoco le mancanze e i torti subiti.

Ma cos’ è un trauma?

Partiamo ovviamente dal suo significato. L’etimologia della parola ci riporta al verbo greco τραῦμα, ovvero “lesionare”, “danneggiare”, “rovinare” ed equivale ad uno colpo così violento da lasciare segni indelebili sull’ individuo che lo accompagneranno per tutta la vita compromettendo appieno il suo modo di reagire agli eventi e a relazionarsi con gli altri. Le esperienze traumatiche vanno dall’abuso sessuale alla negligenza emotiva, dall’esposizione alla violenza domestica alla perdita di una figura di accudimento.

Come un vissuto traumatico influenza la formazione dell’identità

In genere, chi ha un’identità traumatica non è consapevole di avere un problema la cui origine risale alla propria infanzia. Magari, crede di essersi lasciato il passato alle spalle: atteggiamento assolutamente sbagliato, dato che ogni conflitto irrisolto vive ancora nell’inconscio. La formazione dell’identità è un processo complesso che dura tutta la vita.  Un trauma in tenera età può cambiare lo sviluppo del cervello. Infatti, è risaputo che un ambiente in cui prevalgono la paura e l’abbandono genera adattamenti diversi dei circuiti cerebrali, rispetto a un ambiente in cui il bambino si sente sicuro, protetto e amato. E la cosa peggiore è che quanto prima si sperimenta quell’angoscia, tanto più di solito l’effetto è profondo e duraturo. Pertanto, spesso l’identità di un adulto che ha subito traumi infantili è organizzata intorno alla necessità di sopravvivere e raggiungere un livello base di sicurezza nelle relazioni con gli altri. Questo lo conduce a un circolo vizioso in cui, da una parte, rivive esperienze scoraggianti e traumatiche, e dall’altra tende ad evitare le esperienze orientate alla crescita.

Le persone in questa situazione si identificano molto con un “io traumatico”, a scapito di un senso di sé più inclusivo e flessibile. Si dissociano dal loro ambiente e da se stessi fin dall’inizio, come meccanismo di sopravvivenza, e possono restare scollegati da se stessi durante l’infanzia, l’adolescenza o addirittura fino all’inizio dell’età adulta, quando escono dall’ambiente tossico. In pratica, continuano a sperimentare la necessità di sopravvivere.

Le frasi che nascondono una “identità traumatica”

Il prezzo che si può pagare per la mancata attenzione alle piccole ferite si riscontra generalmente in tutta una serie di ambiti della propria vita. Ad esempio, se soffochiamo regolarmente i sentimenti dolorosi con il pedale emotivo, riduciamo la nostra sensibilità verso le emozioni in genere. Questo significa che trattenendo in noi tristezza o rabbia, riduciamo allo stesso tempo la nostra capacità di provare gioia e passioni positive. E anche se non dobbiamo affrontare problemi o difficoltà gravi, rischiamo di scivolare in una specie di vita sottotono.

Là fuori ci sono molti adulti che non sanno neanche di aver avuto un’infanzia terribile! E non conoscendo termini di paragoni, da bambini, hanno “normalizzato tutto”. Vivono con la sensazione che manchi qualcosa ma finiscono per incolpare se stessi. Se sei stato trascurato emotivamente sei cresciuto con una scarsa consapevolezza delle tue emozioni. Più è stato forte la trascuratezza e più ti sarà difficile accedere alla tua sfera emotiva. Ecco alcune delle frasi più emblematiche che possono esserti familiari

1. La perdita dell’infanzia – “Non ho avuto un’infanzia”

Quando le persone vivono un’infanzia particolarmente angosciante, di solito non riescono a ricordare gran parte dei loro primi anni. Queste persone dicono spesso: “non ho avuto un’infanzia” o “non ricordo molto di quando ero bambino”. Possono ricordare momenti particolarmente vividi, noti come “memorie flash”, ma quei momenti non hanno contesto, quindi non hanno molto senso per la persona. È normale che non abbiano una storia molto chiara di se stessi da bambini, fino a quando non raggiungono l’adolescenza o anche la prima età adulta. In senso autobiografico, mancano di quella che viene detta “narrazione coerente”, non possono raccontare la loro vita seguendo un filo logico. In effetti, molte persone affermano addirittura di sentirsi derubati della loro infanzia. E senza quella base, l’identità dell’adulto è seriamente compromessa.

2. Parti perdute di se stessi – “Mi sento come se mi mancasse qualcosa”

A causa dei traumi infantili, i bambini spesso reagiscono scollegando parti importanti di se stessi per sopravvivere, è una sorta di meccanismo di dissociazione. Queste persone spesso dicono: “ho sempre sentito che mi manca qualcosa, ma non so cosa sia”. Il problema è che tendono a disconnettersi dalle aree sensibili, rafforzando altre sfere, come misura di compensazione per sfuggire alla sofferenza emotiva. In questo modo, un bambino con problemi a casa può provare a diventare uno studente modello. Più avanti nella vita, può scoprire di avere grandi capacità in certi campi mentre altre rimangono completamente nascoste, solitamente quelle legate alle emozioni, alla conoscenza di sé e alle relazioni interpersonali.

3. Evitare se stessi – “Sento di non valere”

Molte persone che hanno sofferto traumi infantili dicono: “non mi piace pensare a me stesso, mi fa solo sentire male”. Questa sensazione è particolarmente intensa quando il trauma è legato a persone importanti e significative della loro vita, come genitori o fratelli. Il problema è che l’esercizio d’introspezione, l’atto di approfondimento, diventa un ricordo di quelle esperienze dolorose, il che implica che è necessario ricostruire la propria identità, e spesso è molto più facile fuggire da se stessi che affrontare problemi che affondano le radici in un passato così lontano. Queste persone possono imparare a vivere scollegate dal loro “io”, ma questo spesso li conduce a comportamenti autodistruttivi o ad una profonda insoddisfazione, perché non sanno veramente cosa vogliono e non riescono a costruire un solido progetto di vita.

4. Relazioni distruttive – “Attiro persone sbagliate”

Non è raro che le persone traumatizzate dai loro genitori o da chi si prende cura di loro finiscano per stabilire amicizie, relazioni romantiche o persino rapporti di lavoro che non sono buoni per loro. Dicono spesso frasi come “attiro persone che non mi piacciono” o “sembro avere una calamita per le persone che mi fanno del male”. Il problema è che queste persone incontrano individui che si adattano alla loro identità traumatica, anche se si sforzano di prendere decisioni diverse o che gli altri li avvertano che quelle relazioni non sono buone. Questo genera un circolo vizioso di ri-traumatizzazione attraverso la ripetizione del passato.

Di conseguenza, potrebbero finire circondati da persone emotivamente non disponibili, violente o narcisiste, o finire per cercare di salvare e “sistemare” le persone con cui hanno una relazione, assumendo il ruolo di “salvatore”. È ovvio che queste persone vogliono trovare qualcuno in grado di fornire loro la stabilità emotiva di cui hanno bisogno, ma inconsciamente sentono una forte attrazione nei confronti del maltrattatore psicologico. I continui traumi e delusioni li portano a pensare che “è meglio stare da soli”. La loro esperienza di relazioni distruttive li ha portati ad assumere un’immagine pessimistica degli altri, pensando che li feriranno sempre.

5. Disconnessione emotiva dell’identità – “Non provo emozioni”

Quando i sentimenti non trovano posto nella famiglia d’origine, le emozioni si separano dall’identità. Se una persona è cresciuta con frasi come “piangere è da deboli” o è stata punita o rimproverata ogni volta che ha espresso le sue emozioni, non può sviluppare un legame sano con questa parte del suo “io”. Le emozioni continueranno ad essere presenti, anche se molte persone si afferrano alla convinzione che loro “non sono emotivi” o che “le emozioni sono solo una seccatura”. Per questo motivo, le emozioni finiranno per generare confusione e caos, dal momento che quella persona non sarà in grado di riconoscerle e gestirle assertivamente, perché ha imparato solo a nasconderle e reprimerle.

Il problema è che abbiamo bisogno delle emozioni anche per prendere buone decisioni nella vita. La deregolazione emotiva ci disconnette dal nostro intuito. Può portarci a prendere decisioni impulsive e danneggiare i rapporti con gli altri.

Altri possono descrivere una sensazione di anestesia emotiva perché possono solo sperimentare una gamma limitata di emozioni. Infatti, spesso riferiscono solo di emozioni vaghe, come la frustrazione e la noia, perché non hanno imparato a riconoscere i loro stati emotivi. È anche comune che blocchino sensazioni come l’insoddisfazione, fino a quando non cresce enormemente, per esplodere in seguito in una rabbia contenuta che causa un danno enorme.

Cosa puoi fare?

Senza dubbio, le conseguenze dei traumi infantili nell’età adulta sono scoraggianti. Tuttavia, la persona può ricostruire la propria identità e rigenerare quel “io” traumatizzato. Ciò implica tornare al passato per accettare le esperienze dolorose, in modo che possano venire integrate nella storia della vita ed essere così in grado di girare pagina veramente.

Ci sono due chiavi fondamentali:

  1. Comprendere che ora siamo al sicuro e non siamo più quel bambino spaventato
  2. Assumere che, sebbene adulti, è probabile che continueremo a elaborare emotivamente le esperienze traumatiche come dei bambini.

Preso atto di aver ricevuto cure carenti, con genitori negligenti, poco attenti o disorientanti, arriva il momento di concedersi un secondo apprendimento

Ricorda che è sempre possibile riconnettersi con se stessi, anche se è necessario rimuovere diversi strati, per ricostruire un’identità molto più sana. Le nostre mappe neurali possono cambiare! La plasticità sinaptica e neuronale può essere un’ottima alleata e rendere possibile ogni tipo di cambiamento. Insomma…. si può fare tutto, anche riprendersi da un abuso emotivo lungo quanto l’infanzia. Certo, non si tratta di un’impresa facile (i mutamenti non avvengono dall’oggi al domani) ma vale la pena provarci, ne va della qualità della tua vita oltre che della tua salute mentale.

E’ ora di rinascere!

Pochi di noi hanno avuto la fortuna di essere costantemente valorizzati. Tutte le volte che gli altri non hanno creduto in noi, ci hanno insegnato a non farlo! Le volte che gli altri ci hanno umiliati e scherniti, ci hanno insegnato a essere timorosi e sfiduciati. Famiglia, amici di scuola, insegnanti… ci hanno implicitamente insegnato a metterci da parte, a svalutare il nostro valore intrinseco, a ignorare l’immenso potenziale che ci portiamo dentro.

Non ha senso continuare a portare il peso del passato! Non ha senso chiuderti nel tuo dolore, hai la possibilità di riscattarti, di guardarti per ciò che sei e che puoi essere! Hai la possibilità di liberarti da zavorre emotive e dai condizionamenti, ti mancano solo gli strumenti giusti per farlo. Nel mio libro «D’Amore ci si ammala e d’Amore si guarisce» ho provato a raccogliere e mettere a disposizione, tutti quegli strumenti psicologici indispensabili per garantirti la rinascita che meriti!  Perché come ho scritto nell’introduzione al mio libro: “Non è mai l’amore di un altro che ti guarisce ma l’amore che decidi di dare a te stesso”. Se hai voglia di costruire relazioni sane e appaganti, se hai voglia di scoprire le immensità che ti porti dentro e imparare a esprimere pienamente chi sei, senza timori e insicurezze, è il libro giusto per te.  Passo dopo passo, imparerai un nuovo modo di guardare e trattare te stesso e a quel punto il mondo ti sembrerà un posto inedito! Se hai voglia di ricominciare a volerti bene, è il libro giusto per te.  In bocca al lupo per il tuo percorso di crescita. Il libro lo trovi su Amazon, a questo indirizzo  

A cura di Ana Maria Sepe, psicologo e fondatrice della rivista Psicoasvisor
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