Ciò che provi non è strano, è un sentimento condivisibile!

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Dott.ssa in biologia e psicologia. Esperta in genetica del comportamento e neurobiologia. Scrittrice e founder di Psicoadvisor

So bene cosa possa significare sentirsi strani, distanti e diversi da tutti. Questa condizione costruisce muri immensi, ti isola, mentre tu stai lì fermo e non sai bene come costruire ponti per connetterti agli altri, per sentire vicinanza e comprensione. A un certo punto non sai neanche più se li vuoi quei ponti, così radicato nella tua solitudine, nel tuo essere diverso: vai avanti come se non appartenessi a questo mondo ma sei comunque guidato da bisogni umani… Solo che non lo sai.

In realtà tu, proprio come me, a questo mondo ci appartieni. Con la specie umana condividi il 99,9% dei tuoi mattoncini genetici. Quello 0,01% può fare così tanta differenza da renderti realmente diverso da tutti? No. Sai cosa ti rende unico? Non certo i bisogni codificati nel tuo DNA da milioni di anni di selezione della specie, ma come quei mattoncini genetici hanno interagito con il tuo ambiente di sviluppo. A renderti unico, dunque, è il tuo vissuto, sono le tue esperienze! È stata la tua personalissima storia personale a indurti a farti sentire così.

Così fuori dal mondo, così fuori dal comune. Le tue esperienze di continua auto-invalidazione, ti fanno pensare che provi emozioni irrazionali, sentimenti che vanno nella direzione opposta rispetto al resto del mondo. La costante auto-invalidazione disorienta, ti fa disperdere energie, ti fa concentrare in centinai di interessi diversi distogliendoti da ciò che vuoi realmente.

La credenza «sono fatto così»

Frasi come «sono fatto così», non hanno senso. Noi non siamo «autodeterminati», non veniamo al mondo con un destino o una personalità già assegnati alla nascita. Ci modelliamo in base a una serie di stimoli e una grossa parte la fanno le esperienze che viviamo. Se ti senti tagliato fuori, probabilmente fino a oggi non hai fatto esperienze giuste. Non hai provato l’integrazione, la convalida del tuo valore personale, nel tuo ambiente di sviluppo, è venuta a mancare quella che è la soddisfazione di un bisogno umano fondamentale: l’accettazione. Non avendo mai sperimentato un sano senso di accettazione, adesso non sai neanche di cosa parlo.

Bisogni fondamentali

Quando veniamo al mondo siamo indifesi, abbiamo bisogno di cure parentali per sopravvivere. Ecco perché la selezione naturale ha fatto in modo di rendere l’attaccamento (il legame, la relazione con l’altro), una priorità. Insieme al bisogno di attaccamento, emergono bisogni fondamentali come quello di essere ascoltato, compreso e considerato.

L’attaccamento è uno strumento che si è evoluto per aumentare le nostre possibilità di sopravvivenza e, attraverso la validazione, accogliamo ed empatizziamo con il vissuto dell’altro facendolo sentire meritevole di attenzioni. Nel vissuto di chi si sente diverso da tutti, sempre fuori posto, non c’è mai stata questa esperienza di accoglienza. Non c’è mai stata validazione.

La validazione in psicologia

Validazione. «Processo che consente di riconoscere e legittimare il significato intrinseco delle emozioni e dei comportamenti che esse innescano. Convalidare l’altro significa esprimere a un’altra persona che le sue emozioni sono rilevanti e significative. Convalidare se stessi (auto-validazione emotiva) significa comprendere che tutto ciò che proviamo è importante, perché ha un senso. Confermare la validità delle emozioni aiuta a gestirle in modo adattivo e consente l’accettazione dell’individuo nella sua complessità».

La definizione è tratta dal libro «d’Amore ci si Ammala, d’Amore si Guarisce», Rizzoli, 2023. Se sei confuso e credi di essere stato accolto e validato, sappi che la storia della nostra infanzia è la bugia più bella che ci raccontiamo. Noi non abbiamo realmente ricordi della nostra infanzia. Quando siamo bambini, l’ippocampo (che è la struttura che “immagazzina” i ricordi) è ancora troppo immaturo per formarne, ciò che facciamo è “ricostruire” la nostra infanzia mediante i racconti e i resoconti che abbiamo dai nostri genitori. Ecco che se ci siamo sentiti spesso di peso, messi da parte o inascoltati, più o meno inconsapevolmente, fingiamo che non sia andata così.

Il fatto è che costruire la propria vita adulta su una bugia, per quanto bella e dolce possa essere, arreca non pochi problemi. Da adulti, però, possiamo fare molto più per noi stessi. Anche tu, oggi, puoi fare molto più per te stesso di quanto già non faccia. Puoi imparare a validarti.

Come validare se stessi

Per validare qualcuno, non è necessario essere d’accordo su ciò che fa, ma solo capirlo. Quindi, anche se nei tuoi risultati e nei tuoi comportamenti violi le tue stesse aspettative, mostrati comprensivo. Presta un ascolto sincero e attento alle tue emozioni. Rifletti sulle origini dei tuoi bisogni e ascolta i tuoi vissuti con curiosità, in modo non giudicante.

Fai entrare la psicologia nella tua vita. Le scienze psicologiche possono darti molti strumenti per comprendere meglio le complessità che ti porti dentro. Se un percorso di psicoterapia ti sembra ancora troppo impegnativo, sappi che esistono dei manuali di psicologia molto utili. Ti consentiranno di comprendere perché sei ciò che sei, spingendoti oltre il pregiudizio del «sono fatto così».

Quando impari a osservarti e riflettere attentamente sui tuoi vissuti, capisci che ogni tua caratteristica di oggi è legata -con un filo invisibile- a una tua esperienza del passato. Ci sono delle cause remote che possono spiegare le tue reazioni agli eventi. Solo perché non sai dare ancora una spiegazione a ciò che provi e che pensi, non vuol dire che una spiegazione non ce l’abbia.

Una volta che sarai riuscito a dare un senso a tutto, allora sarai in grado di “normalizzare” le tue esperienze interiori. Non dovrai mai più interrogarti su «come costruire ponti» perché non ti sentirai più così isolato. Il senso di solitudine e il bisogno di indipendenza, saranno ricordi lontani. TU sarai perfettamente integrato in te stesso, in perfetta armonia con ogni parte di te.

Le validazioni mancate

Durante la nostra infanzia, sono i nostri genitori che dovrebbero farci sentire «parte di questo mondo». Nella realtà dei fatti, impariamo ad ascoltarci nella stessa misura in cui ci siamo sentiti ascoltati quando eravamo bambini, impariamo a comprenderci esattamente come ci facevano sentire compresi loro. In definitiva, se oggi non sai validarti per ciò che provi e che sei, è perché nessuno mai ti ha mostrato come si fa.

Il genitore avrebbe la preziosa funzione di insegnare al figlio a riconoscere e accogliere le proprie emozioni così da poterle regolare. Molti genitori, invece, non fanno altro che sostituire i propri bisogni a quelli del figlio, cosicché, quel figlio finirà per vivere una vita non propria (introiettando i bisogni genitoriali e rinunciando per sempre alla propria identità) e non riuscire mai ad ascoltare se stesso.

Un bambino che non sa ascoltarsi perché troppo impegnato a non essere di peso per la propria famiglia, finirà per essere un adulto che non sa ascoltarsi, che non sa regolare le proprie emozioni ne’ tantomeno comprenderle. Sarà un adulto che -non riconoscendoli- non riuscirà a soddisfare i suoi bisogni, ne’ tantomeno riuscirà a creare un’immagine coerente di sé. La scarsa consapevolezza di te è il tuo tormento. Presumi di conoscerti ma, in realtà, hai visto solo la punta dell’iceberg. Soggiacente alla superficie c’è ancora un intero mondo che puoi scoprire e sarà quel mondo a regalarti il benessere che meriti.

È dentro di te che troverai l’ascolto, la comprensione, l’amore, la considerazione e la stima mancati. È con i tuoi occhi che potrai dire «wow». Non ci sarà nessuno da stupire, le bellezze che ti porti dentro non dovranno essere “scoperte” da nessuno se non da te stesso! Se hai voglia di iniziare questo cammino, ti consiglio la lettura di due manuali di psicologia.

Sono i libri che io stessa avrei voluto leggere ancor prima di laurearmi in psicologia. Manuali perfetti per imparare a conoscersi e guardarsi per ciò che si è e non più per come ti hanno fatto sentire.

Autore: Anna De Simone, psicologo esperto in psicobiologia
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