Portarsi una ferita emotiva significa convivere con un evento emotivamente traumatico, e nello stesso tempo qualunque trauma, a modo suo, è un lutto da affrontare. Spesso non siamo consapevoli di cosa ci blocchi, di cosa ci faccia provare paura o malessere. Nella maggior parte dei casi, l’origine di queste emozioni risale all’infanzia, a quelle ferite emotive provocate dalla nostra prima esperienza con il mondo che non siamo stati in grado di guarire. Dobbiamo esserne consapevoli e, di conseguenza, evitare di nasconderle perché, più tempo aspettiamo per guarirle, più si faranno profonde. La paura di rivivere la sofferenza di questi traumi ci costringe a indossare centinaia di maschere che non faranno altro che ostacola re i nostri movimenti nella vita.
Ti porti dentro una ferita emotiva?
Capire perché agiamo in un certo modo, ci permette di capire quali sono le ferite emotive che ci condizionano in età adulta. La prima tappa per guarire una ferita consiste nel riconoscerla e nell’accettarla. Accettare significa guardarla, osservarla, sapendo che il fatto di avere ancora qualcosa da risolvere fa parte dell’esperienza dell’essere umano. Nessuna trasformazione è possibile senza accettazione. Nel caso in cui ancora non siamo stati capaci di riconoscere le ferite che ci hanno fatto (e tutt’ora ci fanno) soffrire, ci basterà far caso a ciò che non accettiamo negli altri: corrisponderà esattamente a quelle parti di noi che non vogliamo vedere per paura di doverlo ammettere e guarire.
L’ego fa tutto il possibile per non farci rivivere le nostre ferite, perché teme che non saremo in grado di gestire il dolore che ne deriverà. D’altronde è stato proprio l’ego a convincerci a creare le maschere allo scopo di evitarci la sofferenza. L’ego crede sempre di prendere la strada più facile, ma in realtà ci complica la vita, e più aspettiamo a risolvere le ferite, più queste si aggraveranno e più avremo paura di toccarle, dando vita a un circolo vizioso che solo noi potremo interrompere con la consapevolezza e l’accettazione. Analizziamo le varie ferite emotive nel dettaglio per capire come riconoscerle e quali conseguenze comporta.
1. Ferite di violenza
Attacco: il bambino è stato esposto a violenze fisiche
Da grande, il bambino diventerà a sua volta, una persona che picchia gli altri. Le punizioni corporali esprimono il messaggio sleale e pericoloso della “legge del più forte”, cioè ferire gli altri, purché essi siano più piccoli e meno potenti di quanto sei tu. Il bambino allora concluderà, da adulto, che è lecito maltrattare le persone più deboli, più giovani o più piccoli. Rientrano anche gli animali domestici). Da adulto, proverà poca compassione per quelli meno fortunati di lui, e avrà paura di quelli che sono più potenti.
Giudizio: il bambino è stato giudicato duramente e frequentemente.
Da grande il bambino si sentirà sempre inadeguato. Rischierà di chiudersi nella zona di comfort e ovviamente di adottare una personalità finta, che modellerà in base a ciò che pensano gli altri. In pratica: diventerà tutto ciò che gli altri vogliono che lui sia. Per conseguenza avranno difficoltà a riconoscere la propria identità perché l’hanno costruita sulle necessità e sui desideri degli altri, per accontentarli e per non ricevere da loro delle critiche.
Dovrà indossare mille maschere, dovrà comportarsi in maniera goffa e troppo rigida, starà bene solo quando riceverà delle conferme positive dall’esterno. Ovviamente, appena queste verranno a mancare, crollerà tutto il suo mondo e le certezze che credeva di avere fino a quel momento.
Vergogna: il bambino è stato umiliato e ridicolizzato pubblicamente
Da grande il bambino tenderà a sviluppare patologie psicologiche quali depressione, ansia, limitato uso delle proprie potenzialità, difficoltà a coltivare rapporti sociali, e incapacità nell’età adulta di gestire serenamente e normalmente l’eventuale ruolo di genitore. Da adulto avrà una bassa autostima autostima, difficoltà a fidarsi degli altri, esprimerà spesso rabbia, risentimento, collera, sarà insensibile alle sofferenza altrui e avrà una certa tendenza all’aggressività e alla violenza.
Violazione: il bambino ha subito un abuso, nello specifico coinvolgimento in attività sessuali da parte di un adulto
Da grande il bambino tenderà (a seconda della gravità dell’abuso), ad essere altamente aggressivo, ad incolparsi ferocemente, avrà una bassa autostima, tenderà a deprimersi o ad oscillare molto tra stati emotivi. Avrà difficoltà a regolare gli impulsi e problematiche ad inquadrare e sviluppare una corretta identità sessuale e una vita sessuale soddisfacente.
2. Ferite di manipolazione
Controllo: è stato un bambino dominato e controllato
Da adulto non permetterà a nessuno di controllarlo perché ha paura che possa accadere di nuovo. Avrà sempre la sensazione di essere indifeso, di essere respinto, non amato. Soffrirà di bassa autostima, di eccesso di dipendenza e di rabbia.
Sfruttamento: è stato un bambino usato per soddisfare i bisogni dei genitori
E’ il caso dei bambini che hanno già un destino segnato ancor prima della nascita e che fin dall’infanzia si troveranno pressati da genitori che puntano troppo sulle loro prestazioni, investendo in modo esagerato, mostrando delusione quando i figli non rispondono nel modo desiderato.
Tradimento: il bambino si è fidato ma è stato tradito
Da adulto avrà difficoltà a dare fiducia; farà fatica a credere che qualcuno possa amarlo veramente. Il ragionamento inconscio è ” se non mi hanno voluto bene nemmeno i miei genitori, chi altro potrà mai amarmi?”
Colpa: il bambino è stato ripetutamente fatto sentire in colpa sulle cose che ha fatto
Da adulto il bambino svilupperà alcuni disturbi di carattere psicologico come: indecisione, insicurezza, ipocondria e paure di diverso tipo, bassa stima di sé, enorme bisogno di essere considerati e amati.
3. FERITE DA RIFIUTO
Rifiuto: il bambino ha cercato di entrare in connessione con il genitore ed è stato respinto
Da adulto il bambino non si aspetterà più di essere apprezzato o di piacere. La paura del rifiuto sarà un tema ricorrente dell’adulto: questa paura lo spingerà ad avre evitamenti sia nella sfera sociale che sentimentale.
Bisogno: il bambino non ha ricevuto nutrimento e cure adeguate
Da adulto si sentirà una persona vuota e bisognosa. Questi sentimenti lo spingeranno ad assumere un atteggiamento accomodante; sarà facile all’innamoramento e tenderà sa stringere legami di dipendenza.
Abbandono: dopo aver ricevuto cura e attenzioni il bambino è stato abbandonato
Da adulto il bambino avrà sempre paura che possa accadere di nuovo. Potrà innamorarsi e vivere il rapporto con costante timore di essere lasciato. Sarà la classica persona alla quale basterà un semplice ritardo o una mancata risposta al cellulare per sospettare e temere gli scenari più cruenti: “Non mi vuole più” E’ arrabbiato con me? “Ha avuto un incidente'”
Invisibilità: non è stato mai apprezzato per i suoi sforzi
Da adulto il bambino tenderà a sabotare ogni suo successo piccolo o grande che sia. Assumerà quasi sempre un atteggiamento depressivo e pessimistico. Screditerà le sue qualità focalizzando piuttosto la sua attenzione su ogni suo piccolo difetto. Questa sua sfiducia in se stesso non lo renderà una persona ambiziosa; sarà portato ad accontentarsi sia in amore che a lavoro.
4. FERITE DA CARENZA
Carenza semplice: il bambino ha avuto genitori poco accudenti
A causa di quello che gli è successo, da adulto si sentirà imperfetto e inadeguato e sempre fuori posto. Sarà sempre molto insicuro, svilupperà una bassa autostima e soffrirà in maniera amplificata il senso di solitudine.
Inamabilità: totale assenza di accudimento da parte dei genitori
Da adulto il bambino non si sentirà mai amato, avrà paura di amare e avrà difficoltà a stringere qualsiasi legame intimo. Il senso di insoddisfazione maturato in età infantile si riverserà in qualsiasi ambito pure in quello professionale. Questi adulti infatti tenderanno a essere insoddisfatti in tutto.
Consentiamo alle ferite emotive di cicatrizzare
Il tempo necessario a rimarginare una ferita dipende dalla gravità. Certo, non sarà qualcosa che accade dal giorno alla notte, ma richiede il suo tempo. È normale che sia faticoso e che faccia male, ma dobbiamo accettare che la vita va avanti e che ci riserva ancora molto di buono. Non lasciamo che il nostro pensiero venga offuscato dalla negatività. Lasciamo cicatrizzare la ferita, guardiamo avanti e sorridiamo alla vita.
Non dobbiamo vergognarci delle nostre ferite: a tutti succede di soffrire, prima o poi. Il vero problema è ignorarle, credere che il tempo e le distrazioni le guariscano. È vero che il tempo e le distrazioni aiutano a curarle ma solo se, prima di tutto, le abbiamo scoperte, osservate, comprese e chiuse. Non si tratta neanche di chiudere un capitolo della nostra vita per non ritornarci più sopra; la questione è, piuttosto, lasciare che la ferita rimargini, affinché, voltandoci indietro, non faccia più male. Prenderci cura delle nostre ferite ci permetterà di trasformarle in un’occasione per imparare e, soprattutto, di superare la paura che le ha causate.
Come sappiamo quando siamo pronti per ricominciare di nuovo?
Ognuno è diverso, e anche i traumi e le lesioni lo sono. Essere pronti a proseguire richiede tempo e non esiste una regola precisa, dobbiamo imparare a connetterci con ciò che abbiamo dentro e ascoltare i segnali che ci invia il nostro io. In generale, una persona è pronta a proseguire quando esistono almeno due delle seguenti condizioni:
1. Il dolore è diminuito. Guardandoci alle spalle ci rendiamo conto che, anche se la ferita è lì, non fa più male. Infatti, probabilmente cominciamo a ricordare più spesso gli aspetti positivi che quelli che ci causavano danni.
2. Abbiamo imparato. Quando analizziamo ciò che è accaduto, riusciamo a dargli un senso e capiamo dove abbiamo sbagliato.
3. Possiamo accettare con serenità ciò che è successo. Quando siamo in grado di accettare quanto è successo, significa che abbiamo superato il trauma, che abbiamo spogliato la situazione della sua drammaticità iniziale. In ogni caso, non dobbiamo aver paura di fare un passo indietro se ci rendiamo conto di essere andati avanti troppo in fretta. A volte possiamo pensare di essere pronti ad andare avanti, ma non lo siamo. Allora è meglio fermarsi per raccogliere le forze e guarire completamente. Ogni nuovo inizio vale la pena, ma è necessario rendersi conto di poter affrontare questa nuova fase con più maturità e sicurezza.
Quanti di noi aspettano ancora?
Quanti di noi aspettano ancora di essere «trattati» con amore? E non parliamo di un surrogato d’amore, quello indubbiamente l’abbiamo conosciuto. Molti di noi, purtroppo, non hanno mai avuto l’opportunità di accogliere un profondo amore incondizionato, quello fatto di accettazione, stima e validazione emotiva. No, questo legame amoroso in cui potevamo davvero esprimere noi stessi, non lo abbiamo conosciuto e ci appare quasi come una chimera. I legami che abbiamo stretto fino a oggi, più che basati sull’amore, vertono sui ricatti affettivi, sui compromessi, sugli obblighi morali indotti, sui sensi di colpa, sulla paura dell’abbandono… insomma su tante sensazioni sofferenti che niente hanno a che vedere con l’Amore. «Se fai questo, se mi appoggi, se sei abbastanza buono, silenzioso, ubbidiente, bravo, capace, intelligente… allora, forse, forse, allora sì, forse sarai amato».
L’assenza dell’amore genitoriale ci avrà pur fatto “ammalare”, ma noi abbiamo tanto amore dentro ed è quello che ci farà risplendere. Se hai voglia di lavorare su te stesso e rivedere i tuoi schemi psicoaffettivi, ti consiglio di leggere il mio libro «Il mondo con i tuoi occhi». Cinque capitoli che ti porteranno alla scoperta di quel potenziale che, da troppo tempo, è assopito dentro di te e non chiede altro di esplodere! Per immergerti nella lettura e farne tesoro, puoi ordinarlo qui su Amazon) oppure acquistarlo in libreria.
A cura di Ana Maria Sepe, psicologo e fondatrice della rivista Psicoasvisor
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