Tracciare un netto confine tra «sono una persona ansiosa» e «ho un disturbo d’ansia» non è semplice per chi non si occupa di clinica. Per questo, nel presente articolo, dovrò necessariamente introdurre alcuni concetti teorici vedendo sempre i dovuti risvolti pratici che noi tutti tocchiamo con mano nella vita quotidiana.
In psicologia clinica vi sono dei prodromi del disturbo, dei criteri diagnostici e finanche dei test psicometrici che riescono a “misurare” il livello d’ansia percepito dal paziente e restituirlo in termini numerici. Professionisti e pazienti sembrano essere rassicurati dai numeri, questo perché i “numeri” sono inequivocabili, danno certezza e divengono un punto di riferimento anche per il trattamento.
Eseguire un test psicometrico per misurare i livelli d’ansia può essere molto utile in ambito sperimentale, mentre in ambito clinico diviene utile solo in determinate circostanze. Per esempio, un test psicometrico potrebbe essere utile se inizi un percorso terapeutico con un training mirato per il disturbo d’ansia generalizzato. In questo caso, con l’aiuto del professionista, potresti misurare i tuoi livelli d’ansia prima e dopo il traning e vedere “quanti progressi” hai fatto. Anche se il recupero potrai sentirlo “in vivo”, nella tua vita quotidiana, quel test psicometrico può essere una conferma, un promemoria che ti ricorda da dove sei partito e dove sei arrivato!
È bene sottolineare che sentirsi ansiosi ogni tanto non significa avere un disturbo d’ansia. È vero, i disturbi d’ansia sono molto diffusi ma è anche opportuno ricordare che l’ansia è una risposta naturale a determinati stimoli interni o esterni. L’ansia rappresenta lo stato di allerta che s’innesca nel corpo (e non solo nella mente!) quando ti senti minacciato. L’ansia diviene patologica quando insorge senza alcuna minaccia o quando la risposta ansiosa è spropositata rispetto lo stimolo minaccioso.
Quali sono gli stimoli minacciosi che innescano ansia?
Si chiamano trigger e funzionano come veri e propri inneschi: quando si presentano, fanno scattare lo stato ansioso, il cosiddetto attacco d’ansia. I trigger possono mediare anche l’insorgenza di attacchi di panico. Ogni persona può avere i suoi personalissimi trigger, tuttavia, anche se gli stimoli minacciosi possono essere innumerevoli e diversi, essi tendono a toccare sempre temi portanti della vita quali: il senso dell’identità individuale, il senso dell’autonomia, il senso di non valere e l’abbandono affettivo.
Quando la minaccia è all’identità, i trigger più comuni sono:
- Prendere l’autostrada
- Visitare nuovi posti da solo
- La lontananza da luoghi sicuri
- Costrizioni fisiche o psicologiche (prendere l’ascensore, la pressione emotiva legata a un dovere da svolgere…)
- Fare attività da solo
In questi casi l’ansia insorge dal nulla, oppure, il pensiero ansiogeno che si percepisce a livello cosciente è: «e se succede qualcosa?». Nei luoghi nuovi, la persona percepisce di non essere in pieno controllo di sé o dell’ambiente e questo comporta un’implicita minaccia al proprio senso d’identità.
La solitudine, il dover fare le cose da solo, innesca ansia non per la paura dell’abbandono come vedremo successivamente, ma perché la persona ha bisogno sempre di un altro per definire la propria identità. Il costante bisogno di avere qualcuno accanto, non deve essere visto necessariamente come “bisogno di protezione”, bensì come il bisogno di figure rilevanti con le quali identificarsi. Ecco perché alcune persone, quando sono sole, possono sperimentare disagio e, in caso di silenzio, sentono il costante bisogno di ascoltare musica. In qualche modo, ascoltando musica stemperano lo stato ansioso identificandosi con ciò che ascoltano o semplicemente con i propri gusti musicali.
Quando la minaccia è alla propria autonomia:
In genere, la minaccia al senso dell’identità può essere accompagnata alla minaccia all’autonomia. In entrambi i casi, la persona, durante la sua crescita, non ha avuto modo di definire se stesso quanto avrebbe voluto. Quando a innescare ansia è la minaccia all’autonomia, la persone ha alle spalle dei vissuti in cui il caregiver di riferimento (la mamma o il papà) è stato invischiante.
Un caregiver che controllante, iperprotettivo o comunque invadente, che non ha concesso il giusto spazio al figlio, ha innescato in esso un forte senso difensivo. L’ansia, in questi casi, insorge per il bisogno di difendersi da qualcuno o qualcosa che può limitare l’autonomia individuale. E così, a innescare ansia potrebbero essere stimoli come:
- Un legame affettivo
- Una relazione stretta
- Lunghe percorrenze in cui si è costretti in spazi delimitati
- Scadenze di lavoro
- Aspettative di figure affettive rilevanti
I trigger, in caso di paura dell’abbandono:
Gli stati d’ansia possono essere innescati dalla prospettiva di una separazione. Tutti i contesti e le evenienze che proiettano alla separazione, possono creare ansia. In questo contesto, spesso, l’ansia si comporta in modo subdolo e la persona può percepire una forte paura della morte dei propri cari, costanti preoccupazioni che le persone amate possano essere vittime di incidenti stradali o malori.
La persona può percepire difficoltà a svolgere attività in solitaria: andare in palestra, al cinema, a cena da solo… L’ansia, infatti, viene aggirata con la costante presenza di un accompagnatore che possa fornire senso di protezione. L’accompagnatore, nel caso della minaccia all’identità, ha la funzione di incrementare il senso di sé attraverso la consapevolezza (c’è un riconoscimento reciproco come amici, amanti…). Nel caso della paura dell’abbandono, l’accompagnatore ha una funzione “protettiva”, un promemoria che dice «non sei solo».
Il senso di non valere e il disturbo d’ansia generalizzato
Gli stimoli ansiogeni in caso di ansia generalizzata possono essere innumerevoli. Dal semplice pensiero del timoroso del giudizio: «chissà cosa avrà pensato di me?» a pensieri astratti che riguardano una minaccia indefinita ma incombente!
In questo caso, la persona non riconosce in se stessa di avere un valore, di avere la possibilità di fronteggiare gli imprevisti. Così cerca certezze, odia gli imprevisti e brama il controllo. L’ansia generalizzata insorge perché la persona non si ritiene capace di fronteggiare le avversità della vita. È cresciuta con un’impotenza appresa, cioè in un ambiente ostile che, giorno dopo giorno, ha veicolato questo messaggio: per quanto tu possa sforzarti e agire, non hai alcun potere sull’ambiente esterno!
Le persone che soffrono di ansia generalizzata hanno avuto ripetute esperienze di frustrazione protratta e, in un certo senso, stanche di combattere, si sono arrese! L’ansia generalizzata insorge sempre dal presupposto che tu non sei abbastanza, che le tue risorse non sono sufficienti a fronteggiare gli imprevisti della vita. Chi soffre di questo disturbo, nelle sue esperienze infantili, ha imparato che la realtà può sopraffarlo.
Quando l’ansia diventa patologica?
Quando l’ansia insorge per un tempo ristretto, in risposta a uno stimolo ben definito e non è sproporzionata allo stimolo, si parla di ansia sana. Un fisiologico stato di allerta che motiva all’azione.
Quando l’ansia insorge come risposta sproporzionata a una minaccia e, talvolta quella minaccia non è neanche ben definita, parliamo di disturbo d’ansia. I sintomi perdurano per lungo tempo e possono innescare evitamenti (che si traducono con occasioni perse) e malessere persistente.
Come gestire l’ansia patologica
Per imparare a gestire l’ansia diviene opportuno rivolgersi a un professionista così da lavorare sui trigger e soprattutto, risanare la ferita che, a monte, genera quell’ansia e ti rende sensibile a determinati stimoli. È anche possibile eseguire un percorso che mira alla gestione del sintomo, tuttavia, da professionista, consiglio sempre un lavoro introspettivo. La scoperta e l’esplorazione di sé, dei propri stati e vissuti emotivi, dovrebbero essere prerogativa di ogni essere umano.
Spesso supponiamo di conoscerci, tuttavia, alcuni di noi si portano dentro numerose complessità difficili da comprendere e ancor più ardue da districare. Sappiamo come ci chiamiamo, quando e dove siamo nati, quanto siamo alti, peso, colore degli occhi… ma se dovessimo descrivere in dettaglio la nostra personalità? E se dovessimo individuare, istante per istante, gli stimoli scatenanti delle emozioni che proviamo? Beh, questi sono fattori ancora più rilevanti di alcune caratteristiche fisiche, eppure li ignoriamo completamente e non facciamo nulla per acquisire le competenze giuste semplicemente per… conoscerci.
Nella nostra società manca una cultura emotiva ed è questo che spesso ci condanna al malessere e ci trattiene intrappolati in un mondo illusorio, fatto di materialismo non-essenziale. Quotidianamente, dovremmo confrontarci con noi stessi, con le nostre esperienze passate e con le nostre emozioni del presente al fine di esplorarci, conoscerci nel profondo e soprattutto individuare i nostri bisogni più autentici.
Il bisogno di autonomia potrebbe essere soddisfatto scandendo dei confini psicologici più flessibili e ampi. La propria identità potrebbe essere rinforzata elemento per elemento. La paura dell’abbandono spazzata via apprendendo che ognuno può bastare a se stesso. Cosa dire poi del «non valere» che muove le fila dell’ansia generalizzata? Qui si tratterebbe “solo” di restituire a se stesso il proprio valore, un valore dimenticato chissà dove, ma che è lì, pronto a riemergere.
A causa di una scarsa cultura emotiva, nel tempo, abbiamo imparato a non amarci, a non rispettarci e a ignorare i nostri reali bisogni. Abbiamo implicitamente appreso che c’è sempre qualcosa di più importante di noi stessi. Nel mio libro «Riscrivi le Pagine della Tua Vita» (già bestseller su Amazon e disponibile in tutte le librerie), ti spiego come ripristinare un equilibrio perduto. Ti insegno a rivendicare il tuo valore di persona completa, degna di stima e amore, vedremo insieme come ascoltare i tuoi bisogni e soprattutto, come farli rispettare dagli altri. In ogni pagina potrai scoprire un pezzetto di te, qualcosa che ignoravi ma che si può rivelare preziosa per il tuo percorso di guarigione.
Inoltre non mancheranno un buon numero di esercizi psicologici (alcuni da fare con l’immaginazione, non essere prevenuto, nel capitolo quattro ti spiegherò l’utilità di quegli esercizi un po’ bizzarri) e tanta, tanta pratica, per rientrare in contatto con se stessi. Se vuoi finalmente riprendere in mano la tua vita, è il libro giusto per te.
Autore: Anna De Simone, psicologo esperto in neuropsicobiologia
Autore del libro bestseller “Riscrivi le pagine della tua vita” – Rizzoli
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