Come funziona il meraviglioso cervello delle persone empatiche

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Dott.ssa in biologia e psicologia. Esperta in genetica del comportamento e neurobiologia. Scrittrice e founder di Psicoadvisor

La gentilezza e l’empatia non sono dei valori astratti, parliamo di fenomeni biologicamente radicati che trovano i loro substrati nel nostro cervello. Quando siamo empatici e gentili, attiviamo una rete che ci rende più connessi agli altri e allo stesso tempo ci fa stare meglio (anche fisicamente). In un certo senso, il nostro cervello è programmato per essere gentile! E questo non dovrebbe meravigliarci. L’uomo è un animale sociale e, quando l’empatia e la gentilezza sono allenate al meglio, le ricadute positive si estendono a tutto il corpo.

Vediamo, allora, come funziona il meraviglioso cervello delle persone empatiche e, infine, ci soffermeremo anche su quel fenomeno che spesso è identificato come “eccesso di empatia” ma che, in realtà, ha spiegazioni più profonde.

1. Corteccia prefrontale ventromediale (vmPFC) molto attiva

Dov’è? Situata nella parte inferiore e centrale della corteccia prefrontale, sopra le orbite oculari. È coinvolta nella valutazione morale e nelle decisioni prosociali. Aiuta a bilanciare l’egoismo con l’altruismo, modulando le nostre azioni in base al contesto sociale.

Studi con neuroimaging mostrano che si attiva quando prendiamo decisioni basate sulla compassione o sulla generosità. Quando è danneggiata, le persone tendono a essere meno empatiche e più impulsive nelle decisioni morali (Koenigs et al., 2007); quando è molto attiva conduce a comportamenti prosociali: disponibilità, supporto e ascolto divengono dei capisaldi.

Attenzione a pensare che i comportamenti prosociali siano problematici, non lo sono affatto. Recenti studi di genetica (Regan et al. 2022), hanno dimostrato che le persona impegnate non solo nell’empatia ma in atti pratici di aiuto -come volontariato, gesti di gentilezza- sono meno esposte a infiammazioni rispetto a chi è estremamente ego-centarto.

2. Corteccia cingolata anteriore (ACC) efficente

Dov’è? Nell’area mediale del cervello, sopra il corpo calloso. Come la vmPFC, anche questa regola le conflittualità che possono emergere tra egoismo e altruismo, aiutandoci a scegliere il giusto equilibrio. Attiva i circuiti dell’empatia, specialmente quando vediamo qualcun altro provare dolore o sofferenza. Studi di risonanza magnetica mostrano che quando ci immedesimiamo in una persona in difficoltà, l’ACC si attiva fortemente (Singer et al., 2004). La stimolazione di quest’area porta a decisioni più empatiche e generose (Hutcherson et al., 2015) pertanto si ritiene che sia particolarmente attiva nelle persone gentili, empatiche e disponibili.

3. Amigdala modulata

Dov’è? Struttura a forma di mandorla situata nel sistema limbico, vicino all’ippocampo. Come è ben noto, è coinvolta nelle risposte di paura e sofferenza, permettendoci di adottare comportamenti appropriati. Si attiva in molti casi, tra questi, anche quando vediamo espressioni di dolore negli altri, facilitando la compassione (Decety & Porges, 2011). Un’amigdala iperattiva, però, può rendere alcune persone troppo sensibili alla paura, alle minacce, alle ingiustizie e al dolore, portando a stress e burn-out nei professionisti dell’aiuto (e.g., medici, psicologi, assistenti sociali).

4. Insula anteriore vivace

Dov’è? Situata all’interno della corteccia laterale, nascosta tra le pieghe del lobo temporale e frontale. L’insula anteriore è cruciale per la percezione interocettiva, ovvero la consapevolezza delle nostre emozioni e sensazioni corporee.

Si attiva quando percepiamo il dolore (nostro e altrui), generando una risposta empatica (Lamm et al., 2011).
È responsabile del “brivido emotivo” che proviamo quando assistiamo a un atto di estrema gentilezza o ingiustizia.
È più attiva nelle persone altamente empatiche, come mostrato da studi di neuroimaging sulla compassione (Singer et al., 2006).

5. Sistema di ricompensa (sistema dopaminergico) caldo

Associamo il sistema della ricompensa al piacere istantaneo di un’azione come mangiare o avere un rapporto intimo. Trascuriamo sempre le implicazioni emotive. Per esempio, anche uno scoppi d’ira produce una scarica dopaminergica, una ricompensa, così come portare a compimento un gesto empatico.

Quando compiamo un atto di gentilezza il sistema di ricompensa si attiva, rilasciando dopamina e generando una sensazione di piacere. Questo è il motivo per cui aiutare gli altri ci fa stare bene (Moll et al., 2006). L’attivazione del nucleus accumbens dimostra che la gentilezza è intrinsecamente gratificante, proprio come il cibo o il sesso.
Un fenomeno noto come “warm glow effect” descrive il calore emotivo che proviamo quando compiamo un gesto gentile, grazie alla dopamina.

6. Giunzione temporo-parietale (TPJ) e Corteccia prefrontale dorsomediale (dmPFC)

Queste aree sono cruciali per la teoria della mente, ovvero la capacità di comprendere le emozioni, i pensieri e le intenzioni degli altri.
Più sono attive, più siamo capaci di prevedere come una nostra azione impatterà sugli altri (Saxe & Kanwisher, 2003).
Si attivano quando cerchiamo di metterci nei panni altrui, migliorando la nostra capacità di essere gentili in modo mirato.
Lesioni in queste aree possono portare a una ridotta capacità empatica e a comportamenti più egoistici.

7. Neurochimica della gentilezza: l’ossitocina

Oltre alle strutture cerebrali, anche i neurotrasmettitori e gli ormoni giocano un ruolo essenziale nella gentilezza. Ho già citato il ruolo della dopamina, ma ci sono altre molecole cruciali. È il caso dell’ossitocina e della serotonina. Studi dimostrano che la somministrazione di ossitocina porta a un comportamento più generoso e fiducioso (Kosfeld et al., 2005) e che la serotonina favorisce i comportamenti prosociali.

Livelli più alti di serotonina, infatti, sono associati a una maggiore empatia e gentilezza (Crockett et al., 2010). Quando siamo gentili, dunque, attiviamo aree associate all’empatia, alla gratificazione e alla regolazione delle emozioni, rendendo la gentilezza un comportamento biologicamente vantaggioso non solo per chi riceve in dono i nostri gesti, ma soprattutto per noi che li compiamo!

Aiutare gli altri ci fa stare meglio a livello cognitivo, emotivo e persino fisico. Quindi, la prossima volta che compi un gesto gentile, ricorda: il tuo cervello ti premierà per averlo fatto! Ma è sempre così?

L’empatia oltremisura

A volte si parla di “eccesso di empatia” o di “ipersensibilità”. In realtà, in queste casistiche sarebbe più opportuno parlare di iporegolazione. L’emparia, infatti, così come la possibilità di esperire emozioni, vengono automaticamente “regolate” dai nostri sistemi neurocognitivi. La modulazione è indispensabile per rendere le emozioni funzionali. Le emozioni, infatti, hanno una funzione biologica: ci forniscono informazioni su come comportarci e danno informazioni anche al nostro organismo. Sono dei segnali: se stiamo bene e ci sentiamo al sicuro, allora il nostro organismo funziona bene! Ripartisce al meglio le sue risorse.

Al contrario, se attraversiamo stati d’ansia e siamo sempre sovrastati da emozioni soverchianti, il nostro organismo non si sente al sicuro, allora indirizzerà le sue risorse in modo non bilanciato, sovraccaricando degli organi e penalizzandone altri. Anche se ti sembra un concetto difficile o strano, ne hai fatto esperienza almeno un milione di volte. Se hai paura, il tuo cuore batte più forte. Quella paura dice al tuo organismo di investire più energie nell’apparato cardio-circolatorio. Tuttavia noi abbiamo risorse limitate, pertanto quell’investimento verrà sottratto da qualche altra parte. Altra esperienza comune è sono i problemi digestivi.

Le persone molto sensibili ed empatiche hanno pagato a caro prezzo questa dote, sacrificando involontariamente la propria modulazione emotiva. Un “iper-empatico” è una persona che, nel periodo più critico della sua vita, è stata costretta a sintonizzarsi costantemente con i bisogni altrui.

Se guardiamo al suo passato, troveremo un’infanzia rubata, caratterizzata da mancanze e adultizzazione. Era il bambino a doversi ingegnare per «accudire» il genitore e non viceversa. L’iper-empatico, così, durante l’infanzia ha imparato a sintonizzarsi con l’altro e non ha mai più smesso di farlo, andando anche a scapito di sé.

Pertanto non ha mai potuto imparare ad accudire se stesso, modularsi, ne’ ad accogliere i suoi bisogni che sistematicamente, al contario, ignora (come, prima di lui/lei, li ignorava il genitore). In pratica, l’iper-empatico porta avanti un modello appreso completamente disfunzionale dove “ciò che è esterno da sé” è importante e di valore, mentre tutto ciò che è interno a sé, non è mai abbastanza e non ha valore.

Con il passar del tempo, l’iper-empatia può addirittura diventare una strategia disfunzionale per sfuggire a se stessi, sposando una logica psicoaffettiva deleteria che potrebbe tradursi così: «io mi occupo di te, del tuo benessere, così da non dovermi fare carico di me» e a volte «io mi occupo di te, mi do al 110%, con l’aspettativa che tu faccia lo stesso con me». Aspettativa destinata a infrangersi dato che, per una serie di meccanismi causa-effetto, l’empatico oltremisura ha imparato a stringere legami solo con chi -come il genitore- dei suoi bisogni non si cura affatto. L’unica soluzione è accogliersi, restituirsi a se stessi e finalmente, imparare ad autoaccudirsi.

  • Comprendersi e non solo comprendere.
  • Accudirsi e non solo accudire.
  • Amarsi e… non solo amare.

Farti carico del proprio benessere e, in definitiva, imparare a comprendersi, è la scelta più saggia e altruistica che tu possa fare. Se credi che l’ipersensibilità e l’eccesso di empatia possano essere uno svantaggio, sappi che in realtà sei fortunato. È più difficile lavorare su se stessi quando si parte da una base iper-regolata, tendente all’anaffettività, che non nella tua casistica. L’iper-sensibilità, quando ben integrata, può aprire le porte alle caratteristiche neurocognitive viste in precedenza.

L’intreccio tra emozioni, sensibilità e identità

Ricordi? Si tratta di apprendere una mera modulazione. Sembra complicato ma si tratta semplicemente di sentirsi al sicuro entro le emozioni che si provano. Le emozioni, infatti, influenzano tangibilmente la percezione che abbiamo di noi stessi. Nel libro “il mondo con i tuoi occhi” esploro proprio questo intreccio profondo tra emozioni, sensibilità e identità, tra esperienze vissute nel passato e il modo in cui plasmano il nostro essere nel presente.

Ogni paura, ogni speranza, ogni scintilla di gioia modella la nostra identità come un mosaico in continua evoluzione. Il cervello, attraverso reti neurali complesse, trasforma le emozioni in memoria, in narrazione, in significati che ci definiscono. Dai un’occhiata al libro su questa pagina amazon o cercalo in qualsiasi libreria, “il mondo con i tuoi occhi”.

Autore: Anna De Simone, psicologo esperto in neuropsicobiologia
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