Sentiamo spesso parlare di perfezionismo e manie di perfezionismo, ma cosa sono in realtà? Di cosa si tratta, quali sono le correlazioni tra perfezionismo e ansia e soprattutto, come guarire dal perfezionismo. A spiegarcelo è la dott.ssa Annalisa Barbier.
Il perfezionismo può essere considerato un “male” che affligge molte persone e che spesso, lungi dal rappresentare la giusta e sana spinta per raggiungere i propri obiettivi, diventa un ostacolo alla realizzazione personale.
La psicologia del perfezionismo
Occorre innanzitutto fare una iniziale distinzione tra perfezionismo funzionale e perfezionismo patologico: solo nel secondo caso infatti possiamo parlare di “malattia”, poiché si tratta di un atteggiamento contraddistinto da standard di prestazione eccessivamente elevati o irraggiungibili.
Standard associati ad aspettative tanto irragionevoli sulle proprie prestazioni da renderle impossibili e compromettere il proprio rendimento.
Il perfezionismo patologico è comune a diversi disturbi quali:
- disturbi ansiosi (ansia generalizzata, ansia sociale…)
- depressivi,
- ossessivo-compulsivi
- disturbi del comportamento alimentare.
Possiamo considerare le “manie di perfezionismo” come la “malattia del momento”, una fastidiosa nevrosi che ci allontana dalla realtà – interna ed esterna – per avvicinarci sempre più all’illusione dell’impeccabilità e dell’ammirazione assoluta.
Il perfezionismo è una tensione interna che può essere costruttiva ma diviene patologica quando esasperata e amplificata da una società che esalta esclusivamente l’efficienza, la prestazione e la competizione indiscriminata, diventando fittizia garanzia di approvazione in una collettività votata alla “vetrinizzazione” della vita privata e del sentire.
Il dover esporsi pubblicamente in ogni ambito, soprattutto attraverso i social media, non fa che rendere ipertrofico il sé-come-immagine e dunque il perfezionismo come guardiano dell’immagine data, della bontà della prestazione fornita o anche solo mostrata.
Perfezionismo patologico: come nasce
Da un punto di vista squisitamente funzionale, possiamo considerare il perfezionismo come una modalità disfunzionale attraverso la quale garantirsi il senso del proprio valore o l’approvazione e l’ammirazione esterne.
Semplificando: “se sono perfetto – o il migliore – valgo” oppure “se faccio le cose alla perfezione o meglio di tutti, mi ammireranno e mi apprezzeranno”.
Il perfezionismo sposta il fuoco dell’attenzione dal piacere della gratificazione per ciò che si fa (così come lo si sa fare) al piacere derivante dallo sguardo ammirato dell’altro, sia esso una persona, un gruppo di persone (capi, colleghi, superiori) o una collettività virtuale.
Se rimane tensione al miglioramento (consapevole di essere tale) e non pretesa di raggiungimento, il perfezionismo conserva il suo potere creativo. Tale potere si esaurisce e si trasforma in patologia nel momento in cui si perde la capacità di considerare ed accettare il limite della propria fallibilità.
Il perfezionismo nelle relazioni
Cosa succede quando si è perfezionisti intransigenti ed ipercritici nella coppia? Un partner ipercritico e perennemente insoddisfatto non può che risultare spiacevole. L’atteggiamento ipercritico e giudicante, così frequente nei narcisisti, se all’inizio può spingere il partner a migliorarsi, nel lungo periodo induce sentimenti di inadeguatezza, vergogna, rabbia e perdita di autostima.
Essere intransigenti nella coppia, così come in ogni relazione umana, porta inevitabilmente ad allontanarsi dalla relazione in quanto tale poiché nell’intransigenza e nella rigidità del perfezionismo non vi è spazio per accogliere l’altro per come è, e non vi è spazio per mostrarsi e sentirsi accolti per ciò che si è al di là delle pretese di perfezione. Dunque si tratta a mio avviso di atteggiamenti non compatibili con una vita di coppia sana e appagante. E onestamente li considero incompatibili anche con una serena e gratificante vita interiore.
Manie di perfezionismo: i costi emotivi
Essere così puntigliosi, precisi e persino maniacali nelle relazioni e nel lavoro comporta tanta fatica, comporta uno sforzo costante destinato ad una costante frustrazione, poiché tendere alla perfezione può esistere, come ho scritto, in quanto tensione verso un ideale che spinge al miglioramento e all’apprendimento ma non come garanzia di perfezione reale.
Comporta un ennesimo spostamento di attenzione e sentimento dall’interno all’esterno, una distrazione di energie: chi o cosa definisce una prestazione “perfetta”? Di solito la risposta viene cercata in parametri dettati dall’esterno del soggetto e distoglie il sentimento di piacere dal vissuto interiore di gratificazione legata al godimento di fare/di essere, al godimento del mostrare. Inoltre, non meno importante, il perfezionismo rallenta l’azione: nella ricerca di qualcosa di meglio e di più, si rischia di perder tempo ed energie e di non portare a termine le cose. Non a caso, infatti, il perfezionismo è legato alla tendenza alla procrastinazione.
Il perfezionismo ci rende eternamente insoddisfatti
Secondo il dizionario, il perfezionismo è la “tendenza a considerare inaccettabile qualsiasi imperfezione”, ma anche una “tendenza nevrotica di tipo ossessivo, che impedisce spesso all’individuo di attuare cose relativamente semplici, per eccesso di narcisismo e di autocritica.”
Nella ricerca spasmodica e interminabile di una perfezione impossibile, il perfezionismo nevrotico fa perdere tempo ed energie, allontana dalla concretezza della realizzazione e dà vita ad un circolo vizioso in cui la frustrazione alimenta l’aspettativa di perfezione in una escalation destinata a non trovare soluzione, se non nell’accoglimento dell’imperfezione, del rischio e del difetto in quanto aspetti connaturati di ogni essere umano.
Sintomi sui social media
Il continuo confronto con gli altri, tipico dei social media, può portarci a essere perfezionisti in senso patologico.
L’esposizione costante di aspetti di sé attraverso i media porta inevitabilmente a fare paragoni e a far parte di paragoni. Si tratta di un fenomeno naturalmente esasperato dal fatto che i media rappresentano una collettività potenzialmente infinita; il termine di paragone non è più la classe, il compagno di scuola, il capo, i colleghi, gli amici del quartiere o del paese.
Il termine di paragone è rappresentato da una moltitudine indistinta di persone che sono “là fuori” a giudicarmi e che, a loro volta, possono mostrarsi perfette grazie alla possibilità fornita dai media di esporre solo il bello, il meglio, solo ciò che si vuole mostrare.
Ciò significa che ci si paragona con una realtà non vera ma modificata, migliorata, epurata da ogni imperfezione, come accade nelle fotografie ritoccate delle modelle: sono perfette ma non sono realistiche. Ma se mi confronto con l’immagine e non con la realtà, il mio destino è l’amarezza del fallimento e il sentimento di inadeguatezza che ne deriva.
Come guarire dal perfezionismo
Per vincere il perfezionismo bisogna “accettarsi”. Credo si debba necessariamente iniziare dal prendere atto della propria imperfezione e della propria perfettibilità.
Laddove non si può essere perfetti, si può comunque cercare di migliorare, sempre però nel contesto di una sana e matura considerazione dei propri limiti.
Migliorarsi per il piacere di imparare e non per essere ammirati. Occorre imparare a sentire il proprio valore attraverso azioni davvero nutrienti, sentite e desiderate; bisogna imparare a sentire e fare ciò che ci piace davvero, invece di ciò che viene apprezzato dagli altri.
Occorre imparare a lasciarsi alle spalle la pretesa di non sbagliare mai, di essere approvati da tutti, di essere i migliori. A volte lo si potrà essere ma altre volte no e ciò è assolutamente normale.
E questo riguarda anche il partner e le persone care: accettare la loro imperfezione ci rende umani, veri, caldi, capaci di esistere ed amare nella realtà delle cose e non nel mondo contratto, metallico e ossessivo del perfezionismo.
Anche essere pigri, quando significa stare nella modalità dell’essere invece che del fare, può essere un insegnamento di aiuto. Lasciar andare le aspettative esterne, le limitanti paure del giudizio altrui, i diktat interiori che ci vogliono performanti e iperefficienti pena un crescente sentimento di vergogna o inadeguatezza è la strada per sciogliere l’abitudine, nevrotica e limitante, al perfezionismo. Occorre semplicemente farlo, imparando a tollerare tutti i pensieri spiacevoli che emergeranno e ricordando a se stessi che il perfezionismo non è – come può sembrare – garanzia di prestazioni eccellenti, ma piuttosto origine di disturbipsicologici, disagi relazionali e procrastinazione degli impegni.
3 esercizi per vincere il perfezionismo patologico
Alla radice del perfezionismo, troviamo distorsioni cognitive come la tendenza a pensare in termini di “bianco/nero” o “tutto/nulla” (pensiero dicotomico), la tendenza a focalizzarsi sugli errori dimenticando completamente i successi e le abilità possedute, la tendenza alla “catastrofizzazione” cioè a pensare che, se le cose andranno male, ci saranno conseguenze devastanti.
La prima cosa è imparare a mettere in discussione questi pensieri distorti, ad esempio producendo prove a favore e prove contrarie a certe convinzioni disfunzionali o distorte (disputing).
Poi ci sono anche molte altre tecniche che a mio avviso possono essere utili, tra cui:
#1 La meditazione di compassione.
Imparare a sentire e provare amore verso noi stessi, indipendentemente dalle nostre prestazioni ma semplicemente per ciò che siamo, per la nostra umana essenza, è fondamentale. In un contesto sociale e culturale in cui la competizione e la performance sono messe al primo posto e ci allontanano dal piacere di fare le cose perché ci va, abbiamo bisogno di tornare a guardare dentro, verso l’interno, con amore e pazienza, come faremmo con un cucciolo.
#2. L’accettazione
Accettare di essere imperfetti, di non poter avere tutto sotto controllo, di poter sbagliare. Si può infatti sbagliare senza che ciò rappresenti una compromissione del proprio valore personale. Accettare il fatto che gli errori sono molto importanti perché servono per imparare.
#3. Le azioni
Imparare a rinunciare alle abitudini che rinforzano il perfezionismo, anche se sul momento fanno sentire rassicurati, come ad esempio:
- comportamenti di controllo continuo della prestazione o del livello di preparazione;
- rituali finalizzati a preparare il campo alla “prestazione perfetta”: come ad esempio stilare lunghe e dettagliate liste di ciò che si deve fare, riordinare la scrivania o tutta la casa prima di potersi mettere a lavoro, mangiare sempre gli stessi cibi prima di iniziare a lavorare o a studiare, ordinare penne, matite e fogli ossessivamente ecc…;
- procrastinare l’inizio o la consegna di un lavoro per il timore di non saperlo fare abbastanza bene o di aver commesso errori inaccettabili;
- Controllare ripetutamente il lavoro fatto al fine di renderlo “perfetto”aggiungendo sempre più elementi e apportando continue modifiche (e rendendolo potenzialmente interminabile…);
- Chiedere ripetutamente ad altri conferma della validità di ciò che si è fatto o della bontà della propria preparazione.
A cura di Annalisa Barbier, psicoterapeuta
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