Come imparare a darsi Valore

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Quando ci si ostina a restare in una relazione che rende infelici, rifuggendo a tutti i costi il distacco dall’altro, mettendo in scena una pantomima amorosa fatta di corsi e ricorsi, andate e ritorni, accuse e assoluzioni, si finisce inevitabilmente per riprodurre all’infinito gli stessi copioni comportamentali disfunzionali, illudendosi che prima o poi la relazione ci doni quello che pensiamo di meritare.

Per questo alcune dinamiche di coppia assomigliano molto a ciò che accade sulle montagne russe.

Si vola in alto fino ad avere la sensazione di toccare il cielo con un dito e proprio quando si crede di aver superato la paura della vertigine, si scivola giù come in un baratro senza confini, dal quale non è possibile intravedere alcuna risalita. E quando ci si illude nuovamente di aver trovato un equilibrio piuttosto accettabile, ci si ritrova improvvisamente in un tunnel buio da cui sembra impossibile immaginare uno spiraglio di luce.

E’ in quel buio che bisogna coraggiosamente scavare

Per svelare i meccanismi sottesi ai propri comportamenti e per consapevolizzare il personale contributo nella dinamica di coppia. E’ nel riflesso di quella sensazione di vuoto che è necessario guardare a se stessi con occhi nuovi. Perché quando si consente a qualcun altro di umiliarci è perchè non abbiamo ancora imparato a difendere il nostro valore.

Perché quando pensiamo di non meritare altro che l’eco assordante di quel vuoto affettivo, cerchiamo qualcuno in grado di riempirlo. E nel tentativo di trovare un balsamo alle nostre ferite profonde rischiamo incautamente di incappare proprio in chi sa bene come cospargerle di sale.

Imparare a darsi Valore

“Dovrei chiedere scusa a me stessa per aver creduto di non essere abbastanza” diceva Alda Merini, la poetessa dei Navigli. E’ che spesso siamo i primi a dimenticarci di quanto sia importante volersi bene. Fagocitati dalla quotidianità, stretti nella morsa dei doveri, incastrati nei ritmi di giornate frenetiche, rischiamo di relegare in secondo piano ciò che conta lasciando terreno fertile a ciò che è superfluo.

Di tanto in tanto bisognerebbe prendersi una pausa e ristabilire il giusto ordine di priorità, convincendosi che è solo una questione di organizzazione. Che imparare a maneggiare senza timore i propri vissuti può trasformarsi nell’opportunità di entrare in contatto con alcune parti sconosciute del proprio mondo affettivo.

Che concedersi la possibilità di ascoltare le proprie emozioni equivale a stipulare un’assicurazione sulla qualità della vita e rappresenta la “conditio sine qua non” per riuscire a simbolizzare rabbia, paure e tristezze. E che se non dovesse bastare a farle scomparire, contribuirà almeno a farle decantare. Abbracciando quando la tristezza prende il sopravvento, chiedendo quando si ha bisogno, osando quando non si trova il coraggio di chiedere, tuffandosi in un abbraccio quando non si ha l’incoscienza di osare.

Ricordandosi che i bisogni soffocati sono il principale carburante della fragilità poiché scalpitano dall’interno e trasformano le proprie risorse personali in un cumulo di granelli di sabbia. I bisogni affettivi soffocati divengono il peggior nemico di se stessi, perchè spingono incautamente ad elemosinare una presenza superficiale che rischia di fare sentire ancora più soli.

Le catene interiori

Si dice che gli ostacoli più insormontabili siano quelli che ciascuno custodisce, suo malgrado, dentro se stesso. Hanno svariate forme e molteplici sfaccettature: sono fatti d’insonnia, di ansia e di previsioni sbagliate.

C’è chi ne prende le misure e chi le distanze. Come quelli che non hanno ancora capito se hanno più paura di volare o di volere. O quelli che sanno ancora se è più conveniente chiarirsi le idee oppure schiarirsi le emozioni. C’è chi inquadra perfettamente gli obiettivi ma poi va fuori tema. Chi decide di disegnare il futuro, ma continua a rotolarsi nel passato e pensa di fuggire lontano portandosi dietro una pesante valigia piena di punti interrogativi.

Ci sono quelli talmente pieni di dubbi che non hanno più spazio per le certezze, così aspettano qualcuno che accarezzi le proprie insicurezze e, nell’attesa, chiedono in prestito attenzioni a tasso agevolato. E poi ci sono quelli che pensano sempre di non essere all’altezza, eppure sono capaci di volare altissimi con la fantasia.

Attese disattese verso il mondo esterno e disamore verso se stessi sono catene invisibili che paralizzano, soffocano, bloccano il cambiamento. La realizzazione dei propri desideri è dalla parte opposta, ma per raggiungerla bisognerebbe imparare a fare i conti con tutte quelle scuse raccontate allo specchio, nel vano tentativo di mettere a tacere il timore di non farcela. Bisognerebbe assomigliare alle parole sottolineate nel nostro libro preferito, alle risate nell’ora della ricreazione e alle promesse scritte sui diari di scuola.

Agli abbracci che facevano sentire a casa e ai baci che sapevano di salsedine. Bisognerebbe assomigliare alle filastrocche recitate in coro, alle canzoni cantate a squarciagola, ai luoghi che tornano alla mente quando abbiamo bisogno di sorridere. Ai voli sull’altalena della nostra infanzia e ai voli pindarici della nostra adolescenza.

Bisognerebbe assomigliare alle funi sottili su cui abbiamo imparato a restare in equilibrio con stile.

Consapevoli che, il più delle volte, è solo una questione di portamento. Bisognerebbe soprattutto afferrare tutte le incognite che ostacolano il cammino e dargli la forma dei sogni lasciati per troppo tempo ad impolverarsi nel cassetto.

Come diceva C.G Jung, il noto psicoanalista svizzero, “Ciò che davvero temiamo è quello che potrebbe provenire dalla nostra interiorità. E cioè tutto quello da cui cerchiamo di tenerci lontani col rumore“. Con il frastuono delle distrazioni e con il disordine dei pensieri. Accontentandoci di soggiornare in relazioni insoddisfacenti per rifuggire il dialogo con noi stessi.

I vuoti si curano facendo spazio

“Possiamo comprare tutto, non l’amore. Non troveremo l’amore in un negozio. L’amore è una fabbrica che lavora senza sosta, ventiquattro ore al giorno e sette giorni alla settimana” diceva Z. Bauman.

Immersi in una società poco votata al sacrificio e all’impegno, sempre in bilico tra il desiderio di relazione e il timore che il legame affettivo diventi catena, bisognerebbe imparare a mantenere il focus se stessi e sulla propria disponibilità a prendersi cura dell’ Altro, prima di investirlo di aspettative e pretese relazionali che barattano la reciprocità con la superficialità di amori di cartone.

E non c’è medicina più efficace della consapevolizzazione dei propri bisogni affettivi più profondi, prima che la fiducia in se stessi lasci il posto alla disistima e l’idea di “essere sbagliati” si faccia largo nella sintomatologia. Lo si può fare riscoprendosi, ritrovandosi, perdonandosi. Imparando ad accarezzare con indulgenza i propri errori e ad evidenziare con colori accesi i propri successi.

A disegnare i progetti futuri e a ricalcare il promemoria con i desideri ancora in attesa di essere realizzati. Ad allargare le braccia per accogliere quei frammenti di felicità che arrivano senza preavviso, spazzano via ogni programma e mescolano tutte le carte accuratamente selezionate.

A scrivere su un vetro appannato un promemoria che ci ricordi che non è mai salutare ripassare con la penna rossa i propri fallimenti. E che sarebbe preferibile usare l’inchiostro per colorare lo spazio tra ciò che siamo e ciò che potremmo diventare.

Che è possibile raccontarsi senza timore di esprimere i propri bisogni, lasciando alle parole l’onore di aprire varchi in noi stessi da cui far passare la luce; trasformandole, come diceva lo psicoterapeuta J. Hillman, in “cuscini che, disposti nel modo giusto, alleviano il dolore“.

Bisognerebbe trovare il coraggio e l’incoscienza di realizzare se stessi.

Prima di diventare le parole che non siamo riusciti a pronunciare per paura o per mancanza di tempismo. Prima di assumere il colore sbiadito dei nostri desideri non realizzati. Prima di perderci nelle sale d’aspetto dei nostri sogni interrotti. Perchè non è mai troppo tardi per “ricominciarsi”.

Perchè non sempre si diventa forti aggrappandosi a qualcosa. Il più delle volte lo si diventa lasciando andare. Liberandosi di ciò che ostruisce l’ingresso alle nostre parti più autentiche, più vive, più creative. I vuoti si curano facendo spazio, non ostinandosi a volerli riempire.

A cura di Annarita Arso, psicologo psicoterapeuta. Riceve su appuntamento on line e nei suoi studi a Lecce e Brindisi. Mail arso.annarita@libero.it

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